Una piattaforma petrolifera offshore in Nigeria © Karo Kes/iStockphoto

Urgewald parla di 3,7 miliardi di dollari di trade financing erogati dalla Banca Mondiale per lo sviluppo del settore oil&gas nel 2022

Valentina Neri

La Banca Mondiale, la principale organizzazione finanziaria internazionale per il sostegno allo sviluppo e la riduzione della povertà, cita esplicitamente la lotta alla crisi climatica tra le proprie priorità assolute. E fin dal 2018 ha promesso di smettere di finanziare le fonti fossili, a cominciare dai nuovi progetti per l’esplorazione di petrolio e gas. Ma diversi studi indipendenti sollevano dubbi sul fatto che abbia davvero rispettato questo impegno. L’ultimo in ordine di tempo porta la firma dell’organizzazione tedesca Urgewald. E parla di 3,7 miliardi di dollari di trade financing per lo sviluppo del settore oil&gas nel 2022.

Come funziona il trade financing e perché è poco trasparente

Quando si tratta di project financing, ricostruire i flussi finanziari è piuttosto semplice, perché sono indirizzati a governi, organizzazioni e consorzi per un progetto ben definito. L’investitore recupera i costi operativi e il capitale investito grazie ai flussi di cassa garantiti dal progetto stesso.

Il trade financing, invece, comprende svariati strumenti finanziari con cui le banche forniscono capitale circolante a imprese o enti pubblici. Il quotidiano Guardian lo spiega con un esempio. Se una società petrolifera nigeriana volesse importare delle attrezzature per la trivellazione o per la raffinazione del petrolio, il finanziatore potrebbe fare da garante con il produttore sul fatto che le merci saranno regolarmente pagate.

Questo è un meccanismo che la Banca Mondiale usa spesso perché abbatte il livello di rischio dei prestiti ai Paesi in via di sviluppo, spesso penalizzati dai tassi di interesse più alti della media. Nel triennio 2021-2023, la International Finance Corporation (cioè il braccio operativo del gruppo) ha già stanziato oltre 40 miliardi di dollari sotto forma di trade financing. Ma nel 70% dei casi, sostiene Urgewald, tali operazioni sono tutt’altro che trasparenti. Nemmeno i governi, che poi sono gli azionisti della Banca Mondiale, sanno chi sono i beneficiari.

Perché esiste ancora un legame tra la Banca Mondiale e le fonti fossili

Questa mancanza di trasparenza, secondo Urgewald, fa sì che il trade financing finisca per sostenere petrolio, gas e carbone. Tutto questo senza contravvenire, almeno formalmente, alle policy della Banca Mondiale. Perché esse escludono la produzione di combustibili fossili, ma soltanto dai finanziamenti diretti. Il trade financing ricade tra i finanziamenti indiretti. Ma di che cifre si tratta? Il report di Urgewald svolge diversi calcoli, scontrandosi con la scarsità di dati pubblici. E arriva a una stima per il 2022: 3,7 miliardi di dollari.

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Dura la replica della Banca Mondiale. «Il report di Urgewald contiene gravi inesattezze sui fatti e sopravvaluta in modo grossolano il supporto dell’International Finance Corporation (IFC, organismo membro del gruppo Banca Mondiale, ndr) ai combustibili fossili», dichiara un portavoce. L’IFC, continua, «esclude il carbone dal trade financing e permette il gas e petrolio soltanto in forma limitata, ai fini di distribuzione (non di produzione), a seconda dell’impatto sullo sviluppo. Lo prendiamo in considerazione soltanto in Paesi in cui la sicurezza energetica è essenziale».

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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