Dopo aver causato la fine della Repubblica dell’Artsakh, le scelte del governo di Erevan destano preoccupazione in Russia e pongono dubbi anche sullo status dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud.

Nei nostri precedenti articoli abbiano sottolineato come il governo armeno guidato da Nikol Pashinyan, con la sua inopportuna svolta filo-occidentale, abbia contribuito a causare la fine della Repubblica dell’Artsakh, lo Stato de facto che governava gran parte del territorio del Nagorno-Karabakh. La regione montuosa, fino a pochi giorni fa abitata da decine di migliaia di armeni, verrà definitivamente consegnata all’Azerbaigian a partire dal capodanno del 2024, quando la Repubblica dell’Artsakh cesserà ufficialmente di esistere, secondo il decreto del presidente Samvel Shakhramanyan.

Nonostante questa dura sconfitta per l’intera nazione armena e le forti critiche subite in patria, Pashinyan non sembra intenzionato a tornare sui suoi passi. Il governo di Erevan ha infatti ratificato in queste ore lo Statuto di Roma, il documento che ha istituito la Corte Penale Internazionale, un fatto di rilevanza minore se non fosse che questo organismo è stato recentemente utilizzato per scopi politici quando ha lanciato un fantomatico mandato di arresto per il presidente russo Vladimir Putin. Sebbene gli Stati Uniti (come la Russia e l’Ucraina) non aderiscano allo Statuto di Roma, e quindi non riconoscano l’autorità giudiziaria della CPI, improvvisamente a Washington sono spuntati sostenitori dell’organismo in funzione antirussa.

L’atto del governo armeno è risultato essere talmente inopportuno da costringere Hakob Arshakyan, vicepresidente del parlamento di Erevan e copresidente della commissione interparlamentare russo-armena, a giustificare la scelta del suo Paese: “La ratifica dello Statuto di Roma non è affatto un atto ostile nei confronti della Russia o del presidente della Russia, contrariamente all’opinione di alcuni dei nostri omologhi russi. Sono sicuro che le tensioni nei rapporti con la Russia saranno risolte e superate“, ha provato a sdrammatizzare Arshakyan. Da notare che la decisione della maggioranza di governo ha suscitato non poche proteste da parte dell’opposizione, secondo la quale l’adozione del documento non ha nulla a che fare con gli interessi dell’Armenia e persegue obiettivi geopolitici. In un documento, l’opposizione armena ha anche condannato le autorità per la decisione di ratificare il documento, sottolineando che tale passo ha deliberatamente messo a repentaglio le relazioni di alleanza con la Russia.

La mossa del parlamento armeno ha ricevuto non pochi commenti negativi da parte di osservatori ed esponenti politici russi. “Sfortunatamente, l’Armenia ha compiuto questo passo chiaramente ostile nei confronti della Russia. Nessuna forza nel parlamento armeno si è rivelata abbastanza forte da fermare il processo di sottomissione legale di quel paese da parte della magistratura de L’Aia“, ha scritto il senatore Konstantin Kosačev su Telegram, aggiungendo che per qualsiasi Stato la ratifica dello Statuto di Roma della CPI “non significa altro che la perdita della sovranità giuridica“. “È per questo motivo che stati veramente sovrani, come Russia, Stati Uniti, India, Cina, Turchia, Arabia Saudita, Israele, Iran e altri, non aderiscono alla CPI“, ha osservato Kosačev.

Anche Vjačeslav Volodin, presidente della Duma di Stato russa, ha affermato che la mossa del governo di Erevan va contro la volontà dei popoli della Federazione Russa e dell’Armenia di sviluppare le relazioni tra i due Paesi. Secondo Volodin, la decisione del governo Pashinyan è “non ponderata” e “strategicamente scorretta”. Certamente il governo e il parlamento della repubblica caucasica avrebbero fatto meglio a valutare le possibili conseguenze dell’adesione allo Statuto di Roma in questa fase molto delicata per il Paese e per l’intera regione del Caucaso meridionale, che ora rischia di ripiombare nell’instabilità degli anni ‘90 se non verrà raggiunto al più presto un accordo di pace con l’Azerbaigian.

La fine fattuale della Repubblica dell’Artsakh preoccupa infatti anche altre due repubbliche autoproclamate che fino ad ora sono riuscite a mantenere la propria autonomia grazie al sostegno di Mosca, ovvero l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, entrambe situate in quello che viene internazionalmente riconosciuto come territorio georgiano. Nel 2008, il governo di Tbilisi tentò di invadere l’Ossezia del Sud, venendo respinto dall’esercito russo, ma l’attuale situazione geopolitica, con la Russia impegnata in Ucraina e l’esempio della scomparsa della Repubblica dell’Artsakh, potrebbe invitare Tbilisi a lanciare una nuova offensiva.

Proprio per questo, le autorità russe sono in stretto contatto con quello delle due repubbliche autoproclamate, che ora temono di fare la fine del Nagorno-Karabakh. Proprio mentre scriviamo, il presidente Vladimir Putin dovrebbe tenere colloqui con il suo omologo abkhazo Aslan Bžania, attualmente in visita in Russia, al fine di discutere la cooperazione tra i due Paesi. Sebbene i due leader si sentano spesso telefonicamente, l’ultimo incontro in prima persona tra Putin e Bžania risaliva al 2020, e non è difficile comprendere come Bžania sia interessato ad incontrare Putin per chiedere garanzie sulla difesa del suo Paese.

Alan Gagloev, presidente dell’Ossezia del Sud, ha invece recentemente incontrato a Soči il ministro degli Esteri Sergej Lavrov, il quale ha garantito che Mosca continuerà a fornire sostegno alla repubblica autoproclamata nel campo della sicurezza e della difesa. “Apprezziamo la nostra storia condivisa, senza esagerazioni, la fratellanza dei nostri popoli che rafforzeremo in ogni modo, e continueremo a sostenere la Repubblica dell’Ossezia del Sud nei campi della sicurezza, della difesa e dello sviluppo socio-economico“, ha affermato il massimo diplomatico russo. “Siamo anche in stretto coordinamento su questioni di politica regionale, questioni internazionali e comunicazione esterna della Repubblica dell’Ossezia del Sud, che sosteniamo in ogni modo e faciliteremo in futuro“, ha concluso Lavrov.

La regione del Caucaso meridionale, posta ai confini con la Russia, ricopre una grande improtanza per Mosca, che punta soprattutto a garantirne la stabilità. Proprio per questo, i nemici della Russia non stanno facendo altro che fomentare scontri e destabilizzazione, sperando di impegnare Mosca su un altro fronte bellico dopo quello ucraino.

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Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

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