Da sei giorni, ormai, Gaza si è trasformata in un inferno in terra. I bombardamenti di Israele, in risposta all’offensiva lanciata da Hamas lo scorso sabato, sono quotidiani. Alle 14 di ieri ospedali e strutture sanitarie (oltre a milioni di civili) sono rimasti senza corrente elettrica, dopo che il carburante necessario a garantire il funzionamento della centrale è terminato. Le scorte di cibo sono terminate e insieme ad esse anche quelle di acqua. Le macerie sono ovunque. Migliaia i civili morti, migliaia i dispersi, migliaia i feriti: il numero cresce di ora in ora. Secondo alcune fonti sul campo, Israele starebbe bombardando massicciamente i civili anche con il fosforo bianco, sostanza vietata dalle convenzioni internazionali per i suoi effetti devastanti sull’organismo. E, mentre la città è rimasta al buio, Israele si prepara per «l’assedio totale».
Il quartiere di Al-Rimal, nel cuore di Gaza, è stato completamente spazzato via dai bombardamenti. Una zona brulicante di vita tra edifici universitari, grattacieli, uffici, moschee e venditori ambulanti, completamente rasa al suolo. A Khan Younis i bombardamenti proseguono in maniera incessante, riferisce a L’Indipendente Sami Abuomar, residente a Gaza. L’esercito israeliano ha qui cercato di stanare e uccidere Mohammed Deif, leader di Hamas ritenuto una delle menti dietro all’attacco sferrato contro Israele lo scorso sabato. Nei bombardamenti su Khan Younis, secondo fonti palestinesi, sono morti diversi familiari di Deif (tra i quali il fratello, il figlio e i nipoti), ma di lui non vi era traccia. «La situazione è agghiacciante», ci racconta Sami, che mentre parla con noi si trova in ospedale. «Abbiamo finito acqua e cibo e non c’è più energia elettrica». Intorno alle 14 di mercoledì, infatti, l’unica centrale elettrica di Gaza ha interrotto il servizio per via della mancanza di carburante. Ospedali e strutture sanitarie (tutti ormai al collasso), insieme ad oltre 2,3 milioni di civili, sono ora al buio. L’interruzione di energia “minaccia di far sprofondare la Striscia nell’oscurità completa e di rendere impossibile continuare a fornire i servizi di base, che dipendono tutti dall’elettricità, e non sarà possibile gestirli parzialmente con generatori alla luce dell’impedimento al rifornimento di carburante dalla Porta di Rafah” hanno dichiarato le autorità di Gaza ieri. Le Nazioni Unite hanno dichiarato di avere scorte di acqua e cibo per un massimo di 12 giorni per assistere le circa 180 mila persone che hanno cercato rifugio nelle loro scuole.
Sami ci racconta anche un altro fatto, confermato da sempre più civili e ONG sul campo: nella zona nord di Gaza City, densamente popolata, gli israeliani stanno facendo ampio uso di bombe al fosforo bianco contro i civili. La stessa notizia viene riportata la ONG EuroMed, che cita testimoni verificati sul campo. Si tratta di una sostanza che, se inalata o ingerita, una volta a contatto con i tessuti ne causa la necrosi profonda, fino a livello dell’osso. Se la notizia venisse confermata si tratterebbe di un crimine gravissimo, commesso in violazione delle Convenzioni internazionali (che vietano l’uso del fosforo bianco contro la popolazione), in quanto causerebbe ai civili indicibili sofferenze seguite da morte certa.
«Ho sempre pensato che i miei nonni esagerassero quando parlavano della Nakba, avvenuta nel 1948, ma noi la stiamo letteralmente vivendo ora» riporta la giornalista palestinese Plestia Alaqad, mentre cammina per le strade devastate di Gaza. Per i giornalisti palestinesi che sono rimasti intrappolati in città è difficile raccontare quanto sta accadendo, spiega, non solo perché c’è un altissimo rischio di finire sotto i bombardamenti (sono almeno sei quelli che hanno già perso la vita), ma perché molte strade sono distrutte al punto da essere impraticabili anche a piedi. Tra le macerie di quelle che una volta erano abitazioni spuntano oggetti personali, coperte, foto di intere famiglie, alcune in bianco e nero, altre a colori. Per molte di loro, nessuno sa che fine abbiano fatto. È probabile che i bombardamenti le abbiano spazzate via per sempre.
La risposta di Israele alla resistenza di Hamas è stata brutale. La più brutale in 75 anni di occupazione illegale del territorio palestinese. Una reazione perfettamente allineata, d’altronde, con la politica di ultradestra del primo ministro Netanyahu, rieletto alla fine del 2022, mirata a espandere l’estensione di Israele mediante un massiccio aumento degli insediamenti israeliani illegali e il rafforzamento di quelli esistenti. Il ministro della Sicurezza del suo governo, Ben-Gvir, aveva definito «eroi» gli israeliani che uccidono civili palestinesi. E ora sono soprattutto le strutture civili a finire nel mirino dei bombardamenti: ospedali, scuole, mercati, abitazioni. Il linguaggio usato dai coloni è volto a deumanizzare i palestinesi e quindi a giustificare qualsiasi atrocità venga commessa contro di loro. Nell’annunciare «l’assedio totale» di Gaza, nella quale «non ci sarà elettricità, cibo, acqua, carburante», il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato di star lottando contro «animali umani» e di avere intenzione di agire di conseguenza. Un sapiente utilizzo della semantica che, questo è certo, ha saputo sedurre buona parte dei mezzi d’informazione occidentali.
Così, a Gaza non esiste un luogo che possa offrire riparo sicuro alla popolazione civile: qualsiasi edificio, qualsiasi persona è potenziale obiettivo della furia dell’IDF (le Forze di Difesa Israeliane). I civili si rifugiano nelle scuole e negli spazi pubblici, ma la distruzione è sistematica. E non c’è via di fuga. La popolazione della Striscia (oltre 2,3 milioni di individui, età media 18 anni, perché come sostenuto dall’attivista italo-palestinese Karem Rohana, «invecchiare a Gaza è difficile») è, in tutto e per tutto, ostaggio del governo israeliano, rinchiusa in una prigione a cielo aperto dalla quale non esiste via di fuga.
Nei giorni scorsi, infatti, le forze militari israeliane hanno bombardato l’unica via d’uscita da Gaza verso l’Egitto, ovvero il valico di Rafah. Al momento, l’esercito israeliano ha dichiarato di non poter “né confermare né smentire” alcun attacco al valico. Solamente poche ore prima dei bombardamenti, lo stesso esercito aveva suggerito ai palestinesi di lasciare la zona proprio attraverso quel passaggio. «Il valico di Rafah è ancora aperto. A chiunque possa uscire, consiglio di farlo» aveva dichiarato ai giornalisti Richard Hecht, portavoce dell’IDF, dopo che lo stesso primo ministro israeliano Netanyahu aveva suggerito ai palestinesi di lasciare la Striscia. Dichiarazioni avevano allarmato il governo egiziano, che aveva chiesto a quello israeliano di fornire un passaggio sicuro agli abitanti di Gaza piuttosto che spingerli tutti nel Sinai attraverso Rafah.
La devastazione di Gaza costituisce l’apice di un’escalation senza precedenti nella repressione dei palestinesi da parte di Israele. Come ricorda Human Rights Watch, al 1° settembre 2023 erano 1264 quelli detenuti da Israele senza processo o accuse (in quella che viene chiamata detenzione amministrativa), il numero più alto in oltre 30 anni. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari (OCHA), al 19 settembre gli israeliani avevano ucciso più palestinesi in Cisgiordania nel 2023 che in qualsiasi altro anno dal 2005 (anno in cui le Nazioni Unite hanno iniziato a registrare sistematicamente il dato): 182, dei quali 39 erano bambini. Numerose associazioni palestinesi per i diritti umani sono state messe al bando, mentre dal 2007 Israele mantiene la totale chiusura di Gaza, controllandone l’accesso all’acqua, al cibo e ai rifornimenti, con effetti devastanti sulla popolazione. Il blocco ha infatti creato una situazione di “moderata o grave insicurezza alimentare” per almeno un milione di persone e le restrizioni israeliane all’accesso ai terreni agricoli e alla pesca hanno ridotto drasticamente la quantità di cibo che i gazawi possono produrre da soli. A questo si aggiunge la drammatica, quotidiana carenza di acqua. Bombardamenti su Gaza e le sue infrastrutture sono frequenti, le vessazioni sulla popolazione quotidiane. Lo scorso agosto, la polizia israeliana ha impresso a fuoco la stella di David sul viso di un palestinese, arrestato perché accusato di spaccio di droga (ma poi, stranamente, rilasciato). Ad aprile, la polizia ha fatto irruzione nella moschea di Al-Aqsa, lanciando lacrimogeni e picchiando i fedeli. Lo scorso anno, ha demolito una scuola mentre i bambini vi facevano lezione all’interno.
La lista è lunga e potrebbe andare avanti per giorni. Le prove di quanto accade quotidianamente a Gaza e in tutta la Palestina sono sotto gli occhi di tutti. L’occupazione israeliana è stata definita illegale persino dall’ONU, che ha anche ricordato come «l’assedio totale» messo in atto contro Gaza sia vietato dal diritto internazionale. Eppure, le bombe israeliane continuano a cadere senza sosta (con l’appoggio dei governi occidentali), mentre la comunità internazionale si limita ad osservare, immobile, il massacro.
[di Valeria Casolaro]