In questa fase di intenso conflitto in Medio Oriente, un’ampia fetta di Sudamerica si schiera contro Israele. La Bolivia ha infatti dichiarato di aver rotto i rapporti diplomatici con Israele a causa dei suoi attacchi alla Striscia di Gaza, mentre i vicini Colombia e Cile hanno richiamato i loro ambasciatori nel paese mediorientale per consultazioni. Le tre nazioni sudamericane hanno criticato duramente gli attacchi israeliani a Gaza e le violazioni commesse da Tel Aviv, che hanno finora causato la morte di oltre 9mila palestinesi. La Bolivia «ha deciso di rompere le relazioni diplomatiche con lo Stato israeliano nel ripudio e nella condanna dell’offensiva militare israeliana aggressiva e sproporzionata che ha luogo nella Striscia di Gaza», ha detto il vice ministro degli Esteri, Freddy Mamani, in una conferenza stampa. Da molti anni i rapporti tra molti dei Paesi sudamericani e lo Stato di Israele sono molto tesi: la carneficina in atto a Gaza in queste settimane non ha fatto altro che esacerbarli.

Il segretario generale della Presidenza della Bolivia, Maria Nela Prada, ha annunciato l’invio di aiuti umanitari alla Striscia di Gaza, chiedendo «la fine degli attacchi» che «finora hanno causato migliaia di morti tra i civili e lo sfollamento forzato dei palestinesi». La medesima e linea è stata sostenuta anche dall’ambasciatore boliviano all’Onu Diego Pary, che di fronte all’Assemblea generale delle Nazioni unite ha invitato a non confondere gli aggressori con le vittime: «La potenza occupante, l’aggressore, il genocida è Israele», ha detto. A reagire con forza alle bombe israeliane sono state anche Colombia e Cile (dove peraltro risiedono circa 500.000 palestinesi, quasi il 3% della popolazione cilena), che hanno deciso di richiamare nei loro Paesi i loro ambasciatori a Tel Aviv. Un passo che, nelle logiche diplomatiche, rappresenta il prodromo di una rottura ufficiale delle relazioni. Il presidente della Colombia Gustavo Petro ha apertamente attaccato lo Stato ebraico, parlando di un intollerabile «massacro» di palestinesi. «Il Cile condanna fermamente e nota con grande preoccupazione che queste operazioni militari – che in questa fase del loro sviluppo comportano una punizione collettiva della popolazione civile palestinese a Gaza – non rispettano le norme fondamentali del diritto internazionale», ha dichiarato in una nota il governo. Il presidente cileno Boric ha chiesto «la fine immediata delle ostilità per mettere in pratica un piano di soccorso umanitario per le vittime e i profughi civili di questi attacchi», accusando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di «violare apertamente il diritto internazionale».

A mantenere una certa equidistanza nella cornice del conflitto sono invece i due paesi più grandi della regione, Brasile e Argentina, che hanno comunque chiesto tregua umanitaria per i civili di Gaza. Una settimana fa, il presidente brasiliano Lula aveva spiegato che – pur condannando aspramente la sua azione – allineandosi al parere delle Nazioni Unite il Brasile non riconosce Hamas come organizzazione terroristica, denunciando al contempo il «folle» proposito di Netanyahu di «distruggere Gaza dimenticando che lì non ci sono solo soldati di Hamas, ma donne e bambini». Il Venezuela, nel frattempo, ha condannato l’attacco israeliano al campo profughi di Jabaliya, chiedendo un immediato cessate il fuoco.

La Bolivia, a dire il vero, aveva interrotto già nel 2009 le relazioni diplomatiche con Tel Aviv quando a guidarla era il presidente Evo Morales, che aveva apertamente protestato contro le offensive israeliane a Gaza. Un Esecutivo provvisorio di destra aveva poi ristabilito i rapporti diplomatici nel 2019. Ma nel 2020 le elezioni furono vinte da Luis Arce, candidato di Morales, che ha inaugurato un netto cambio di marcia sulla questione. Anche i casi di Cile e Colombia non rappresentano un’eccezione. Lo scorso anno, infatti, il presidente cileno Boric – in protesta con le violenze perpetrate da Israele a Gaza e in Cisgiordania – si era rifiutato di ricevere l’ambasciatore di Israele Gil Artzyeli, per poi fare marcia indietro. Subito dopo lo scoppio del conflitto di inizio ottobre, il presidente colombiano Petro aveva minacciato l’interruzione delle relazioni diplomatiche, mettendo sullo stesso piano «l’immensa ingiustizia che il popolo palestinese ha subito dal 1948» e «l’immensa ingiustizia che il popolo ebraico ha subito dai nazisti in Europa dal 1933», affermando che il suo Paese non sarebbe stato complice del «genocidio» messo in atto da Tel Aviv.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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