Lontano dia riflettori, tutti puntati sui drammi di Gaza e dal conflitto ucraino, si consuma una grande tragedia. Dal 15 aprile – data dell’inizio del conflitto tra l’esercito e i paramilitari delle Rapid Support Forces – sono morte in Sudan circa 10 mila persone. 5,6 milioni di persone sono state inoltre costrette a sfollare e in 25 milioni risultano ad oggi bisognose di aiuti.
Sudan, massacri e milioni di profughi
Nel 2019, quando fu rovesciato il dittatore Omar al Bashir, invece di avviare il Sudan a un processo democratico e migliorare la condizione di una popolazione tra le più povere del mondo, iniziò una nuova guerra civile a partire dal golpe militare dell’ottobre 2021.
Le milizie delle “Rapid Support Forces” (Rsf), che obbediscono al generale Mohammed Dagalo, detto Hemedti, temendo di perdere potere, rinunciarono all’accordo per costituire un unico esercito nazionale, scontrandosi con l’esercito (Saf) del generale Abdel Fattah Burhan, capo del Consiglio di transizione dopo il suddetto golpe.
Lo scontro è degenerato immediatamente in massacri soprattutto contro la popolazione civile. Le stime ufficiali parlano di 10mila morti, e di un enorme numero di profughi, 4,6 milioni internamente e 1,3 milioni fuggiti principalmente in nazioni poverissime come il Ciad (circa mezzo milione) e il Sud Sudan (oltre 300mila) che non hanno assolutamente la capacità di supportarli.
L’Onu e l’Organizzazione dell’Unità Africana appaiono del tutto impotenti. Da ottobre sono in corso a Gedda trattative sponsorizzate da Usa e Arabia Saudita, volte a porre termine alla guerra civile, mentre ad Addis Abeba si è svolta una riunione preparatoria per un piano di pace.
A intorpidire le acque ulteriormente, si parla della presenza dei mercenari russi della Wagner che starebbero affiancando le truppe di Hemedti, mentre l’Egitto starebbe aiutando le Saf di Burhan.
Ma nel grande risiko mondiale in corso, i civili di questa parte del mondo sono estremamente sacrificabili.