Riceviamo e ben volentieri pubbichiamo

di Tiziano Ferri*

Nei 40 anni della democrazia riconquistata, le elezioni presidenziali in Argentina consegnano il paese a Javier Milei, l’economista ultraliberista della coalizione “La libertad avanza”. Sergio Massa, candidato peronista in continuità col presidente uscente Alberto Fernández, dal comitato elettorale di “Unión por la patria” anticipa la diffusione dei risultati, lasciando increduli i propri sostenitori per il riconoscimento della vittoria all’avversario. Uscito in vantaggio nel primo turno del 22 ottobre col 36% dei voti, contro il 30% di Milei e il 24% di Patricia Bullrich (“Juntos por el cambio”, conservatrice), Massa subisce la saldatura politica al ballottaggio tra le due destre, sotto la regia dell’ex presidente Mauricio Macri. Milei ottiene così il 56%, relegando Massa al 44%, con quasi 3 milioni di voti di scarto.

L’outsider “liberal libertario” si è presentato sulla scena politica come candidato antisistema, imbracciando una motosega, a rappresentare i tagli alle spese governative. Contro l’intervento dello stato in economia, è a favore della privatizzazione di sanità e istruzione, di fiumi e mari. Non ama i sindacati, propugna prezzi liberi ed eliminazione delle sovvenzioni pubbliche, la chiusura della Banca centrale e l’apertura alla dollarizzazione. Con proposte del genere, non sorprende che nel suo pantheon annoveri la signora Thatcher e Ronald Reagan. Famoso per il video in cui cancella da una lavagna la maggior parte dei ministeri, come pure per le offese al pontefice argentino Bergoglio, che accusa di promuovere il comunismo e di essere “rappresentante del male nella casa di dio”. Un’altra proposta che ha fatto scalpore, e destato qualche dubbio etico, è la libera vendita di organi.

Nel primo discorso da presidente eletto, Milei mette immediatamente le cose in chiaro: “Oggi comincia la fine della decadenza argentina. È la fine del modello dello stato onnipresente”. Perciò promette un governo “limitato” che sostituisca, al modello impoverente della casta, “il modello della libertà”. Nella sua ricerca del mito fondativo della nazione, un pensiero di riguardo ai nativi mapuche, che dovranno proteggere le loro terre dall’idea del nuovo governo di metterle sul libero mercato: “Torniamo alle idee dei padri fondatori, che in 35 anni fecero di un paese di barbari la prima potenza mondiale”. Rappresentando una forza politica nata da poco, il neopresidente potrà contare su un numero esiguo di parlamentari al congresso, e su nessun governatore di provincia. Anche per questo, rivolto ai dirigenti politici, dichiara che chi vuole unirsi alla nuova Argentina sarà benvenuto, al di là delle appartenenze passate. Chiede al governo uscente responsabilità fino al passaggio di consegne del 10 dicembre, e che si renda conto che è arrivata una nuova Argentina. Siccome la situazione economica è grave, “non c’è posto per gradualismo e mezze misure”. Toni apocalittici per sostenere le misure economiche liberiste, dallo smantellamento delle politiche pubbliche alla vendita di settori rilevanti al capitale estero: “Se non avanziamo rapidamente con i cambi strutturali di cui abbiamo bisogno, andremo incontro alla peggiore crisi di tutta la nostra storia”. Il rifiuto di integrazione con i Brics del vicino Brasile, di Cina e India, e l’allineamento in politica estera con Stati Uniti e Israele, lo sintetizza così: “Lavoreremo gomito a gomito con le nazioni del mondo libero per aiutare a costruire un mondo migliore”. Niente di nuovo da inventare; basterà fare le cose che la storia ha dimostrato funzionare: “Faremo lo stesso che facemmo nel XIX secolo nel nostro paese”. Questo approccio, per Milei, garantirà all’Argentina di tornare ad essere una potenza mondiale nel giro di 35 anni, grazie anche a un piccolo aiuto: “La vittoria nella battaglia non viene dalla quantità di soldati, ma dalla forza che viene dal cielo”, enuncia sognante. Non una parola per gli 11 milioni di persone che non lo hanno votato, né per l’avversario Massa. Conclude il discorso incitando gli astanti con un poco presidenziale “Viva la libertad, carajo!”.

Oltre la retorica anti-establishment che ricorda gli affini Trump e Bolsonaro, il rischio per l’Argentina è di ritrovarsi davvero nell’Ottocento; come arretratezza dei diritti sociali, però. Quanto alla libertà, sicuramente Milei tutelerà quella economica di chi se la può permettere, facendo impallidire le riforme neoliberiste di Menem. Per chi resterà escluso e per eventuali oppositori, l’avvertimento del nuovo presidente è chiaro: “Dentro alla legge, tutto, fuori dalla legge, niente”.

*Laureato in scienze politiche indirizzo internazionale (tesi su Plan Colombia e politica strategica statunitense nella regione amazzonica), cooperante a Jenin (Palestina) e Mboro (Senegal), scuola di giornalismo Basso (Roma), collaboro con L’antifascista (ANPPIA) e Pagine Esteri.

Di AFV

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