A dodici anni di distanza dalla sua tragica scomparsa mi piacerebbe ribadire un concetto:: manca alla sinistra italiana quello che vorrei definire come “metodo Magri”.

La capacità, cioè, di sviluppare prima di tutto l’analisi della situazione politica prima di annunciare e compiere le scelte che via via dovevano sempre essere conseguenti e coerenti all’analisi stessa: era un metodo usuale nella sinistra italiana di quell’epoca, un metodo che Lucio seguiva con grande rigore e che ha permesso a Massimo D’Alema ricordandolo alla Camera di definirlo come “un interprete della migliore tradizione togliattiana”.

Non c’era mai nulla di improvvisato nelle proposte politiche: potevano essere sbagliate, ma proprio perché frutto di un’analisi non corretta che a tutti può capitare di sviluppare erroneamente.

Personalmente, ad esempio, mi trovai in forte disaccordo con la proposta del “compromesso per l’alternativa”: ma si trattava, appunto, di un confronto veramente politico.

Nulla, però, era lasciato all’emozione del momento, alla volontà di apparire e meno che mai all’idea di compiere delle scelte e avanzare delle proposte politiche sulla base dei sondaggi e degli umori correnti: il legame vero delle proposte con la realtà del radicamento sociale doveva verificarsi per il tramite del soggetto politico, del partito, attraverso il quale era necessario compiere una duplice operazione, da un lato di ricezione della realtà sociale e dei bisogni delle masse, dall’altra di formazione nel senso di esercizio di una vera e propria “pedagogia delle masse”.

Era questa la lezione impartita dall’assunzione piena del cosiddetto “genoma Gramsci” che proprio Lucio ha ricordato con grande chiarezza ed espressione di spessore culturale nel suo “sarto di Ulm”.

Certo: non tutto era perfetto, furono commessi grandi errori, si peccò di un sovraccarico di politicismo in certe fasi (sto pensando al collettivo nella vita del Manifesto, poi del PdUP e infine dell’area che si oppose alla svolta di Occhetto) e non si riuscì ad evitare la deriva verso cui si era incamminata la sinistra comunista in Italia fino ad auto-annientarsi e a scomparire.

L’idea di un “metodo” però rimane ed è da quella che forse potrà essere possibile ripartire.

Furono quattro, a mio giudizio, i momenti nei quali l’elaborazione promossa da Lucio Magri rappresentò un punto di svolta nell’azione della nostra area politica.

A partire dalla relazione al Convegno del Gramsci nel 1962, quello sulle”Tendenze del Capitalismo Italiano” (poi tradotta in un lungo saggio pubblicato nello stesso anno da Sartre in “Temps Modernes”) con la quale si confutava l’analisi amendoliana del capitalismo italiano come “straccione” e si delineava, invece, un’ipotesi di alternativa fondata su di una vera e propria sfida verso la modernità; poi, naturalmente, le tesi per il Comunismo del Manifesto nel 1970: un’analisi molto approfondita soprattutto dal punto di vista delle tendenze della situazione internazionale con particolare riferimento all’Occidente, al riguardo delle quali tesi oggi si può però affermare –rileggendole- di essere molto legate alla stretta attualità politica di allora; di diverso respiro altri due documenti, quello sulla crisi (all’indomani dello shock petrolifero e l’abbandono di Breton Woods) del Gennaio 1974 che suonò come una sferzata verso forme estremistiche e meramente movimentiste presenti nella nuova sinistra e quello di Bellaria, nel 1977, sulla base del quale si aprì una nuova stagione di confronto politico basato sull’ipotesi (giusta) che la solidarietà nazionale non avrebbe retto e che ci sarebbe stato spazio per un’ipotesi di alternativa.

Infine, nel 1990, la relazione tenuta al convegno di Arco nel corso del quale l’intera area della sinistra comunista che si era opposta alla svolta di Occhetto colpevolmente si divise attorno a due proposizioni altrettanto sbagliate: quella del “gorgo” elaborata da Ingrao e quella scissionista elaborata da Cossutta.

Il testo presentato da Lucio Magri, in quell’occasione, all’apertura dei lavori “Il nome delle cose” conteneva per intero gli elementi per ricondurre il dibattito non solo e non tanto a una pur necessaria proposizione unitaria ma soprattutto a portare avanti una discussione in grado di contrastare davvero quella così negativa esiziale e ormai ristretta dai propugnatori (veri e falsi) della liquidazione del PCI in nome dello sblocco del sistema politico.

Non ci fu la possibilità di far passare quel testo come punto di riferimento di tutta l’area che così, nella divisione e nella ristrettezza di opzioni meramente elettoralistiche, ripiegò paurosamente perdendo gran parte del proprio radicamento sociale.

Ho riassunto questi passaggi non tanto e non solo per ricordare il lavoro analitico di Lucio Magri ma piuttosto per affermare che ci manca il suo “metodo”.

Un “metodo” quello dell’analisi approfondita da cui far discendere scelte e proposte politiche da riprendere in pieno nel momento in cui appare così evidente il vuoto che l’assenza di un soggetto di sinistra comunista ha lasciato nell’intero sistema politico italiano.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

Un pensiero su “SONO TRASCORSI DODICI ANNI: CI MANCA IL “METODO MAGRI””

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