Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che impone sanzioni e politiche più stringenti sulle banche, gli istituti finanziari e in generale tutti gli enti che supportano celatamente il finanziamento e il traffico illecito di armi, equipaggiamento, tecnologia e componenti per la produzione militari alla Russia, agendo contrariamente ai vari pacchetti di sanzioni lanciati contro Mosca in questi quasi due anni di guerra. Questa disposizione è stata largamente attesa dai partner commerciali degli USA che hanno deciso di fare fronte comune contro Mosca, e rientra all’interno di una serie di provvedimenti atti a disincentivare la collaborazione con il comparto bellico russo. Non è infatti la prima volta che l’amministrazione Biden prova a destabilizzare Putin agendo in maniera trasversale, ma ogni tentativo precedente si è rivelato in prospettiva completamente inefficace. Dopo tutto, è ormai cosa pubblica come le varie misure restrittive promosse dal blocco Occidentale, UE nel particolare, non siano solo risultate inefficienti nei confronti della Russia, ma siano addirittura andate a rafforzare l’economia moscovita – e statunitense – e a indebolire quella europea.

La misura varata nella giornata di ieri fa parte di una strategia discussa in coordinazione col G7 e rientra nelle cosiddette “sanzioni secondarie”, ovvero di quel genere di punizioni rivolte a persone od organizzazioni non soggette alla giurisdizione del Paese coinvolto, e hanno lo scopo di minare la stabilità russa attaccandola indirettamente, e colpendone più che il mercato e l’economia, ciò che li muove e viene mosso da essi. Nel comunicato condiviso dalla Casa Bianca si legge come «coloro che stanno fornendo beni o portando avanti transazioni che supportano materialmente l’industria di base militare russa sono complici della brutale violazione da parte della Russia nei confronti della sovranità e dell’integrità territoriale ucraine». Per tale motivo, queste organizzazioni saranno punite e correranno il «rischio di perdere accesso al sistema finanziario statunitense se promuovono transazioni significative in relazione alla industria militare russa». Non è la prima volta che Washington prova a varare provvedimenti secondari nei confronti di Mosca. Come riporta il New York Times, gli USA hanno infatti fatto della lotta al rifornimento militare russo una delle chiavi della propria strategia di sostegno a Kiev.

Nonostante i primi mesi di sanzioni siano sfociati in un rallentamento della macchina di produzione bellica russa, il loro effetto è andato via via sempre più scemando e Mosca è risorta più forte di prima, facendo affidamento su una fitta rete di commercio illegale, fondata sul traffico di seconda mano da Paesi che vietano l’esportazione verso la Russia a Paesi che si sono dichiarati neutrali, che hanno reindirizzato le merci verso Mosca. È sicuramente anche per la parziale inefficacia delle passate sanzioni che la nuova disposizione è stata accolta positivamente dai sostenitori delle sanzioni alla Russia. Daniel Tannebaum, partner della Oliver Wyman Financial Services e leader del ramo globale contro i crimini finanziari, ha condiviso su X un post in cui si mostra entusiasta nei confronti delle nuove risoluzioni, rimarcando come le sanzioni secondarie siano la migliore decisione per «forzare una scelta di schieramento». Effettivamente, una sanzione secondaria che intacchi il commercio e la produzione di armi, e generalmente parlando di componenti belliche, potrebbe tradursi in una strategia vincente per disincentivare i partner illegali di Putin a mollare la presa e allontanarsi dal Cremlino.

Con le sanzioni secondarie gli USA mirano a far fronte all’incessante crescita russa, che pare aver incassato egregiamente il colpo delle precedenti sanzioni. Di fronte agli innumerevoli tentativi di rallentare l’economia moscovita, la Russia pare infatti non volersi fermare e, malgrado iniziali difficoltà, è sempre riuscita a cadere in piedi e a trovare una soluzione alle sanzioni impostele, tanto dagli USA quanto – e soprattutto – dall’UE. Come riporta lo studio di Banca d’Italia, dopo ben dodici pacchetti di misure restrittive, a fare i conti con un indebolimento economico è stata infatti più l’Unione che Mosca, soprattutto a fronte di un paragone tra le due economie. Non si può invece dire lo stesso degli Stati Uniti, che da questa guerra hanno solo guadagnato, sia attivamente, aumentando notevolmente l’esportazione di GNL, che passivamente, riducendo gli scambi tra Unione e Federazione. Insomma, nella guerra economica che si sta svolgendo parallelamente alla guerra militare, gli sconfitti sembrano più gli europei, che i russi o gli statunitensi, e per tale motivo agire in maniera diretta sulla rete bellica russa è necessario per i Paesi del blocco che decidono di schierarsi contro la Russia.

La risposta russa alla misura di Biden non si è fatta attendere. La TASS stessa, agenzia di stampa russa, riporta le dichiarazioni di Anatoly Antonov, ambasciatore della Russia negli Stati Uniti, il quale ha evidenziato come l’obiettivo degli USA sia quello di «intimidire i nostri partner e spingerli a tagliare scambi mutualmente benefici con la Federazione Russa sotto il clamore di slogan geopolitici». Nel suo annuncio, Antonov ha attaccato duramente la mossa degli Stati Uniti, sottolineando anche che così facendo Washington sta sostanzialmente «cancellando ogni possibilità di restaurare un dialogo mutualmente rispettoso tra le grandi potenze anche nella breve lista di argomenti in cui Russia e USA possono ancora condividere posizioni simili». La situazione diplomatica tra USA e Russia è insomma, sempre più tesa e la finestra di dialogo che pareva essere ancora mantenuta semi-aperta sembra chiudersi; dopo la mossa di venerdì, i rapporti tra le due superpotenze si stanno definitivamente incrinando, e a detta dell’ambasciatore russo la responsabilità di tale piega ricade interamente sugli Stati Uniti.

[di Dario Lucisano]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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