Raúl Zibechi

C’è un fiume che nasce dallo scioglimento dei ghiacciai del versante argentino della cordigliera andina, lo arricchiscono le acque di altri venti fiumi e torrenti che alimentano un’arteria azzurra, meravigliosa e importante, per oltre 800 chilometri. E poi c’è il progetto di aprire una nuova miniera di piombo, molto vicino alla sua sorgente, che lo avvelenerà. Il fiume si chiama Chubut, che nella lingua amerindia tehuelche-chupat significa “trasparente”, e dà il nome all’intera provincia del sud dell’Argentina, grande poco meno di quattro quinti dell’Italia. Nell’intervista di Raúl Zibechi con Mauro Millan si racconta perché gli indigeni mapuche hanno organizzato un grande incontro itinerante dalla sorgente fino alla foce di quel fiume, nell’oceano Atlantico. Chiamano trawn quel viaggio della parola, in cui discuteranno a lungo e prenderanno decisioni in modo collettivo, senza bisogno di votare, su come resistere a una minaccia che è molto più di un attentato ambientale. È un’aggressione alla vita. Alla gente che vive lungo il fiume ma anche al fiume stesso, agli alberi, alle pietre che, nella cosmovisione non antropocentrica dei Mapuche, sono un dono vivo della natura e un soggetto dei diritti. È l’estrattivismo, un modello bellico di società cui corrisponde un regime politico, uno Stato, un’ideologia, un tipo di relazioni sociali e, naturalmente, anche un sistema economico. Nel Chubut ha consegnato buona parte delle straordinarie terre situate lungo il corso del fiume in mano agli Emirati Arabi Uniti, al Qatar, a Israele, alla Benetton… “con la complicità di tutti i governi argentini, statali e locali, in violazione degli accordi e della Costituzione stessa”, che prevederebbe una certa protezione della Patagonia. Tutto questo racconta Mauro, lonko – ruolo tradizionale della cultura politica dei Mapuche che si è chiamati ad assumere in modo per noi assai poco convenzionale – di una delle comunità più combattive di quel territorio. Un territorio che loro, da secoli, chiamano Wallmapu, la terra di un popolo che della terra è: mapu è la terra e che sono le donne e gli uomini che la abitano. Noi di Comune lo ricordiamo bene, Mauro, quando vent’anni fa – insieme ai coniugi Curiñanco – venne a Roma, nella nostra redazione del settimanale Cartaa raccontarci di come avevano rifiutato – scandalizzando il sindaco Veltroni, il premio Nobel Perez Esquivel e Gianni Minà che avevano promosso un incontro “pacificatore” molto “riservato” – l’offerta indecente della Benetton. Per questo, vent’anni dopo, siamo certi che il tentativo di avvelenare alla sorgente quel fiume che rappresenta la vita – un autentico atto di violenza terroristica, per restituire al mittente i termini mediatici di quel conflitto – non avrà vita facile

foto contrahegemonia

“Camminare e difendere la vita” è lo slogan essenziale del Trawn Itinerante che percorrerà il fiume Chubut, dalla sorgente andina fino alla foce nell’Oceano Atlantico tra il primo e il 10 febbraio. Il popolo mapuche-tehuelce della Patagonia, Wall Mapu nella lingua indigena, sottolinea che la sua storia è intimamente legata al fiume che oggi è minacciato dalla contaminazione prodotta dalle imprese minerarie e dalle grandi multinazionali che si stanno appropriando di aree sempre più estese nella regione. “Esistiamo come società e come società diverse, a seconda dei legami e delle alleanze che stabiliamo con le sue acque”, si legge nel testo che invita al trawn.

Per comprendere le ragioni della convocazione e le caratteristiche di questo grande forum chimato trawn, al quale parteciperanno in primo luogo coloro che vivono sulle sponde del fiume, siano essi mapuche o contadini, abbiamo parlato a lungo con il lonko Mauro Millán. Lo avevamo conosciuto mesi fa nel suo lof (1) Pillán Mahuiza, nel cuore della cordigliera andina, dove le acque del fiume sfociano già nel Pacifico. Ci siamo incontrati di nuovo a Bariloche, nello scorso gennaio, e adesso abbiamo chiesto a Mauro di raccontarci meglio la sua visione del mondo e la sua spiritualità, ma anche le ragioni della necessità di resistere al capitalismo predatorio e i percorsi dell’autonomia mapuche.

Lui si presenta così: “Sono un lonko mapuche. Si tratta di un ruolo che non si sceglie volontariamente. Nel mondo mapuche noi diciamo che ci si ammala da lonko, oppure da machi (ruolo più spirituale in genere affidato alle donne, ndt). È lo spirito di un antenato che ti chiede di alzarti così, di diventarlo. È la forma con cui storicamente il popolo mapuche mette in piedi le sue autorità ancestrali. Ho deciso di accogliere questa richiesta dei miei antenati e adesso sono un lonko della comunità Pillán Mahuiza. Il lonko è qualcuno che orienta la comunità in termini politici e spirituali, filosofici e ideologici. Nel corso della vita si continua a imparare e bisogna essere molto permeabili, nella cultura del proprio popolo, per avere la capacità di essere un punto di riferimento per le generazioni future”.

FOTO radio jgm

Come sta vivendo il tuo popolo l’insediamento del governo di estrema destra di Milei?

Quello che sto cercando di capire adesso, un po’ come se si trattasse di leggere nel futuro, è quanto tempo impiegherà il bieco progetto che questo governo di Milei, un governo di estrema destra, razzista e suprematista, a privatizzare i territori di questo Paese chiamato Argentina e, in particolare della Patagonia, la terra che noi chiamiamo Puelmapu. Però va detto subito che questa situazione di vulnerabilità in materia di diritti, dal punto di vista giuridico e nella criminalizzazione permanente del popolo mapuche, non è certo nuova, così come non lo sono gli assassinii di giovani fratelli mapuche.

Anche la perpetua presenza di alcuni funzionari delle istituzioni, come Patricia Bullrich (2), è chiaramente in linea con il racconto della storia di questo Paese. I Bullrich, i Pueyrredón, sono la vera casta che è nella genesi dell’Argentina. Loro sono diventati milionari con questo Stato, così come lo stanno diventando adesso i nuovi ricchi, e hanno insinuato nella testa della gente l’idea che il principale male di questo Paese sono i poveri e gli indigeni.

Il peronismo dei molti governi “progressisti” precedenti ha favorito questa situazione e ha creato le condizioni perché il terribile scenario attuale si presentasse. Non dobbiamo dimenticare cosa hanno significato quegli anni per i Mapuche, e soprattutto per quelli di noi che hanno costruito, proprio a partire dal cuore del popolo mapuche-tehuelche, un progetto di vita autonoma fuori dallo Stato. Per noi, per esempio, si è trattato di essere discriminati nella vita politica perché non appartenevamo ad un partito. La repressione del governo che ha preceduto Milei, quello di centrosinistra di Alberto Fernández, ha creato per esempio il Comando Unificato Patagonico, così come il kirchnerismo progressista aveva mantenuto la legge liberticida antiterrorismo. È stato tutto questo a creare le condizioni per la crescita improvvisa e devastante di personaggi come Milei.

Sul Comando Unificato Patagonico, foto La Tinta

Perché proponete il Trawn Itinerante? Di cosa si tratta?

Un trawn è una sorta di parlamento, così lo chiamavano i cronisti che arrivarono in Patagonia, intorno al 1500, cioè in un territorio popolato e controllato da popolazioni indigene, tra le quali c’erano i Mapuche. I cronisti rimasero sorpresi di come migliaia di indigeni discutevano a lungo, fino a raggiungere degli accordi, e consideravano quegli incontri come sessioni di un parlamento. Tutte le strategie commerciali ed economiche, così come la resistenza e la guerra, venivano discusse collettivamente nel trawn e gli incontri erano anche itineranti, perché molti lonko provenivano da altre comunità. Per costruire un pensiero unificante bisognava andare avanti per parecchio tempo.

È quello che proveremo a rifare anche oggi con l’intenzione di difendere un fiume che è una delle arterie principali della provincia del Chubut e di Puelmapu (3). Il fiume nasce dallo scioglimento dei ghiacciai della cordigliera andina ed è alimentato da più di 20 fiumi e torrenti che alimentano l’arteria fluviale per oltre 800 chilometri. La storia del mio popolo si è sviluppata come prodotto di questa bontà della natura. Oggi è in pericolo perché le sorgenti sono state privatizzate e gran parte del corso del fiume Chubut è in mano agli Emirati Arabi Uniti, al Qatar, a Israele, alla Benetton, con la complicità di tutti i governi argentini statali e locali in violazione degli accordi e della Costituzione stessa, che prevede una certa protezione della Patagonia.

Per questo siamo partiti con questa grande carovana, per collegare dodici o tredici comunità mapuche che ospiteranno le altre che arriveranno, oltre alla gente dei paesi e delle città. Viaggeremo dalle sorgenti alla foce, connettendoci e discutendo su come continuare a resistere ed a essere custodi di queste acque. La prima linea di difesa del fiume sono naturalmente le persone che vivono lungo le sue sponde.

Foto: Raúl Zibechi

Oltre ai governi, a chi stanno resistendo quelle comunità?

La difesa delle acque implica anche l’identificazione del nemico principale, ovvero l’industria mineraria, alla quale resistono da tempo anche molti paesi e città, anzi l’hanno respinta in maniera massiccia. La provincia del Rio Negro, dove nasce il fiume Chubut, ha abrogato le leggi che proteggevano l’ambiente e le acque a favore di queste compagnie minerarie. Il governo Milei ora distruggerà le protezioni fatte per i ghiacciai, le acque e il territorio stesso. A pochi chilometri dalla sorgente del fiume intendono aprire una miniera di piombo.

Il popolo mapuche ha una moltitudine di espressioni ma noi abbiamo consolidato soprattutto una scelta che ci caratterizza come popolo, ovvero difendere la natura e il territorio. Questa difesa ha un quadro di pensiero e filosofico e ha un’espressione politica che è antagonista al capitalismo estrattivista. I governi, quello precedente e quello attuale, hanno favorito i processi di investimenti esteri e di distruzione delle risorse del territorio che per noi sono vita.

Quali difficoltà e avanzamenti state riscontrando in quanto gruppi autonomi?

C’è un lascito che abbiamo ricevuto dal nostro popolo: la capacità di sostenere un principio di società orizzontale che sia regolato a partire dalle autorità e dagli anziani, ma anche dai giovani e dai bambini, in perfetto equilibrio e armonia affinché la società abbia la possibilità di prosperare. Questa è l’eredità dei nostri antenati. Gli spagnoli non riuscirono a sconfiggere il popolo mapuche perché non aveva un dio sole, un re o un monarca mentre loro adottavano strategie militari basate sulla guerra alle società piramidali come quelle europee. Le sconfitte degli spagnoli hanno permesso al popolo mapuche di vivere in libertà per più di 300 anni.

Questo è un lascito che possiamo trasferire anche ai nostri tempi nonostante la complessità di muoversi come gruppi autonomi più orizzontali. Qui nel Chubut abbiamo mantenuto la forma del trawn e del parlamento senza “cabine di regia” per coloro che hanno il potere e senza direzioni politiche centralizzate. Siamo comunità autonome che si riuniscono quando la situazione lo richiede. A volte l’articolazione su distanze grandi come quelle della Patagonia è molto difficile. I fratelli che vengono da Ngulumapu (Cile) ci dicono: “Essere mapuche in Patagonia è molto difficile”. Abbiamo infatti auto-finanziato questo trawn con non poche difficoltà.

Ti dice qualcosa la recente celebrazione del 30° anniversario della sollevazione zapatista?

Lo zapatismo mi ha ispirato. Ero molto giovane quando c’è stato il levantamiento e sono sempre stato molto attento a ciò che accade nel mondo zapatista. Lo sono ancora.

Alla fine di gennaio un enorme incendio ha devastato una parte del Parco Nazionale Los Alerces, nella provincia patagonica del Chubut. Il governatore della Provincia, Ignacio Torres, ha pubblicamente e scandalosamente accusato del terricidio Moira Millan, sorella gemella di Mauro e molto nota, anche a livello anche internazionale, come figura di spicco della resistenza indigena e del femminismo tra i Mapuche in Argentina. L’accusa serve a sostenere la militarizzazione e l’immagine mediatica del nemico interno “terrorista”, ma è quantomai paradossale perché quelle pratiche sono tradizionalmente portate avanti dal capitale immobiliare, che brucia le foreste e poi impone le sue iniziative di speculazione fondiaria.

Per concludere, vorrei che mi dicessi ancora qualcosa sulla spiritualità mapuche

È bene che si sappia che esistono società come la nostra che non sono né monoteiste né politeiste. Sono società che hanno interagito intensamente con la natura, che hanno saputo decodificare il messaggio della natura così come lo facevano i nostri antenati. Loro decodificarono il modo di comunicare con ciascuno degli elementi della natura, ed è così che è nata la nostra lingua. Noi siamo parte di questo infinito mondo dello spirito. La natura non interviene nella moralità umana, ci dà cibo e acqua ma esige piena reciprocità ed è per questo che dobbiamo difenderla e onorarla, ma anche perché è la nostra Mapu (terra natale) e lì ci sono i nostri antenati.

Ecco perché combattiamo contro la predazione, contro le mega-opere estrattive e le dighe, contro l’estrattivismo. Questo sistema così perverso ci ha stigmatizzato come terroristi, perché lottiamo in difesa della vita.


Note

1. Nella nostra lingua, il Lof è una comunità, una delle basi dell’organizzazione sociale del popolo mapuche, ma anche in questo caso il concetto di comunità differisce radicalmente da quello cui siamo abituati in Occidente. Ed è curioso, e allo stesso tempo poetico, che fosse proprio l’idea di comunità una delle prime che abbiamo dovuto reimparare. Perché è in questo concetto tanto familiare e imprescindibile nel mondo Occidentale contemporaneo, base di tante rivendicazioni sociali e culturali nate all’insegna della lotta al sistema capitalistico, che il popolo mapuche riconosce una delle prime grandi differenze. È diverso dal concetto occidentale di comunità come gruppo di esseri umani che condividono alcuni elementi, come un luogo geografico, una lingua, dei costumi e dei valori.

mapuche riconoscono come membri del Lof tutti gli esseri che abitano il territorio. Anche quelli che secondo la nostra visione occidentale del cosmo cataloghiamo come inanimati, come privi di vita: dai fiumi alle cascate, dai boschi alle montagne, dagli animali alle pietre, annullando così la visione antropocentrica che separa l’essere umano, sempre superiore e sempre perfetto, dagli elementi che in Occidente chiamiamo natura. Quelli che vediamo come una serie di elementi, a noi estranei, a cui non riconosciamo il diritto all’esistenza senza la mediazione umana (tratto da www.tbqvoices.com/anche-le-pietre)

2. Attuale Ministro degli Interni, appartiene ad una famiglia che partecipò alla “Conquista del Deserto” (1878-1885) quando gli indigeni Pampa, Ranquel, Mapuche e Tehuelche furono espropriati dei loro territori.

3. Territorio mapuche ad est delle Ande, cioè nell’attuale Argentina.

Versione originale in lingua castigliana: Desinformémonos

https://comune-info.net/ci-chiamano-terroristi-perche-difendiamo-la-vita/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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