Tutti i maggiori giornali oggi aprono con la notizia della morte dell’oppositore di Putin, Alexey Navalny. Non solo quelli italiani, è un concerto di tutte le più forti voci del panorama mainstream a livello globale: dallo statunitense Washintgon Post al britannico The Guardian, passando per il francese Liberation e lo spagnolo El Mundo. Naturalmente l’obiettivo è il presidente russo, tra chi sottolinea le accuse delle cancellerie occidentali e chi ha già emesso sentenza come, in Italia, La Repubblica che senza timore di smentita titola «omicidio di stato». Formalmente è tutto giusto, Navalny – nonostante la biografia quantomeno controversa, di leader politico formato negli USA ed aiutato direttamente con finanziamenti della NED, potente «fondazione privata non-profit» statunitense che, anche con fondi forniti direttamente dal Congresso Usa, finanzia migliaia di organizzazioni in oltre 90 paesi per «far avanzare la democrazia» – era un detenuto politico e la sua morte in carcere chiama in causa direttamente il regime autocratico russo, dove dissidenti e pacifisti anche molto meno famosi e non certo tutti accusabili di lavorare per il “nemico” americano, stanno finendo in carcere con preoccupante sistematicità. Tuttavia la reazione di politici e grandi media occidentali non può che lasciare un evidente sapore di ipocrisia. Se è vero che con la morte di Navalny il Cremlino ora ha un nemico in meno, è altrettanto evidente che i democraticissimi Stati Uniti d’America stanno aspettando quella di Julian Assange per pareggiare il conto.

Il fondatore di WikiLeaks è perseguitato e detenuto senza processo (prima nell’ambasciata ecuadoriana a Londra e poi nel carcere britannico di Belmarsh) da ormai 14 anni, colpevole di aver rivelato al mondo informazioni riservate che ci hanno permesso, ad esempio, di conoscere le vere ragioni dietro la guerra alla Libia, le stragi di civili compiute dai soldati statunitensi in Iraq, le atrocità delle carceri speciali di Guantanamo, le malefatte di numerose tra le multinazionali più potenti al mondo. A ben guardare, inoltre, le sue condizioni detentive son addirittura peggiori di quelle che erano riservate dalla Russia a Navalny. Seppur detenuto in isolamento in una colonia penale siberiana, l’oppositore di Putin era libero di aggiornare con regolare frequenza il proprio account su X, nonché di proseguire la sua attività di oppositore attraverso diversi siti internet attraverso i quali stava pianificando e lanciando la “Campagna della fondazione anticorruzione contro Putin” in vista delle elezioni del 2024. Niente di tutto questo è previsto per Julian Assange, che dal maggio 2019 si trova detenuto in isolamento e senza nessuna possibilità di comunicare con il resto del mondo per volere degli Stati Uniti.

Tra pochi giorni, il 20 e 21 febbraio, la Corte Suprema di Londra si dovrebbe pronunciare in via definitiva sull’estradizione di Assange negli Stati Uniti, dove lo attenderebbe una condanna fino a 175 (centosettantacinque!) anni di prigione in un carcere di massima sicurezza. Julian Assange è un detenuto politico, e sulla sua pelle si sta abbattendo spietatamente una violenza di Stato dello stesso tipo di quella che si applica a Mosca, e allo stesso modo di Navalny sta rischiando di morire in carcere. «Julian resiste ma non sta bene, la sua anima è indebolita dall’isolamento. Julian potrebbe morire a causa di un omicidio lento. Julian Assange sta morendo per il tuo diritto di sapere cosa sta facendo il tuo governo alle tue spalle», ha affermato l’ex ministro delle Finanze greco e fondatore del Movimento per la democrazia in Europa (DiEM25), Yanis Varoufakis, dopo averlo visitato nell’ottobre scorso. Eppure gli stessi grandi media globali sempre pronti a denunciare le violazioni dei diritti umani nei Paesi nemici dell’occidente continuano a tacere e, c’è da starne sicuri, se Assange dovesse malauguratamente morire in carcere si guarderebbero bene dall’accusare l’amministrazione americana di aver commesso un «omicidio di Stato».

[di Andrea Legni – direttore de L’Indipendente]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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