Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen

In una intervista al “The Daily Telegraph” del 7 maggio 2008, l’ex presidente sovietico Michail Gorbaciov riepilogava gli eventi che erano seguiti al crollo del Muro di Berlino e al disfacimento del Patto di Varsavia, contraltare dell’Alleanza Atlantica nell’est Europa e in Russia. L’uomo che aveva cercato di portare l’URSS nell’epoca di un moderno riformismo progressista, cercando un congiungimento tra pianificazione economica socialista e democrazia, si esprimeva così:

«Gli americani ci promisero che la Nato non sarebbe mai andata oltre i confini della Germania dopo la sua riunificazione, ma adesso che metà dell’Europa centrale e orientale ne sono membri mi domando dove sono le garanzie che ci erano state accordate? La loro slealtà è un fattore molto pericoloso per un futuro di pace perché ha dimostrato al popolo russo che di loro non ci si può fidare».

Rileggendo oggi quell’intervista, così come molte altre fatte a leader di partiti e governi che avevano retto le sorti post-sovietiche dell’Europa dell’est, si ha come l’impressione di trovarsi in quella commedia in campo lungo che Chaplin figurava come metafora dell’esistenza: più che una tragedia, esattamente una grande commediola, piena di stereotipizzazioni, di atteggiamenti guardinghi, di sospetti e di prigionie mentali sorrette dalla difesa dei privilegi che ciascuna nazione riesce a garantirsi a scapito di altre.

E’ un po’ la raffigurazione dell’imperialismo che ha solcato il Novecento dai prodromi colonialisti finali in certi versi, iniziali per altri, che hanno divorato l’Africa, parte dell’Asia e rimesso mano sull’America Latina. Ed è pure il contorno entro cui inserire, con giusta precisione, la torsione iperliberista di un potere che nel militarismo ha continuato a declinare la sua politica espansionista per consolidare posizioni economiche e finanziare tanto sul terreno quanto nelle convulse giornate borsistiche degli affaristi senza scrupoli.

Gorbaciov, dunque, sottolineava come, mentre il Patto di Varsavia aveva cessato di esistere e il mondo transitava dal multi all’unipolarismo, mentre la Comunità di Stati Indipendenti, debole e formale aggregato organizzativo sovranazionale che includeva quasi tutti i membri dell’ex-URSS, non riusciva ad andare oltre la fisionomia dell’accordo di amicizia e di difesa reciproca, l’Occidente nord-atlantico approfittava dell’occasione per rimangiarsi la parola di non far aderire alla NATO i paesi ex satelliti di Mosca.

La riunificazione tedesca era stata, anche geograficamente la rottura della cortina di ferro dal Mar Baltico al Mediterraneo. La linea di confine tra i lander, ancora oggi individuabile tra quelli che facevano parte della Repubblica Federale di Germania e quelli che erano entro la Repubblica Democratica Tedesca, era stata declassata da frontiera di Stato a divisione amministrativa regionale. E l’Europa aveva cambiato volto nel giro di un inverno.

La slealtà dell’Occidente, denunciata da Gorbaciov, ricorda i comportamenti tipici di chi nella Storia dell’umanità, da una posizione di crescente forza, ha sempre profferto garanzie di pace che, alla fine, si sono rivelate le premesse per nuove acquisizioni territoriali, espansionismi economici, vere e proprie sostituzioni etniche seguite a guerre e spartizioni di vaste aree plurinazionali, anticipando così una ciclicità di guerre che parevano termiante sul finire del 1945.

Fu l’illusione che un equilibrio tra due superpotenze si fosse raggiunto e che, con la nascita della Comunità Economica Europea prima e dell’Unione poi, almeno in una certa area del pianeta si fosse al riparo da conflitti interni e da interventi bellici come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Era la speranza anche delle e dei Costituenti italiani, tanto che la misero per iscritto nella Carta del 1948.

Il crollo dell’Unione Sovietica e di quel mondo che le gravitava intorno sono stati l’occasione per gli Stati Uniti e per la NATO, in assenza di un competitore a quel punto in grado di fronteggiare l’espansionismo economico che da ovest si rivolgeva ad est, di allargare la loro sfera di influenza: in Europa con l’adesione dei Paesi Baltici, della Polonia, dell’ex Cecoslovacchia, dell’Ungheria, della Romania e della Bulgaria; in Medio Oriente con le basi permanenti in Turchia, l’alleanza strettissima con Israele e le Guerre del Golfo; in Asia con la guerra al terrorismo in Afghanistan; in Africa con l’intervento nei conflitti interetnici in Somalia.

Per non parlare del “giardino di casa” dell’America Latina, del blocco contro il pericolo socialista di Cuba, fino ad oggi, con l’apertura dei fronti piuttosto caldi su Corea del Nord e Taiwan. Vista sotto questa lente, la dinamica imperialista si differenzia da blocco a blocco: la Cina, emersa come potenza negli ultimi trent’anni, preferisce utilizzare il lato economico-finanziario, la conquista interna degli affari di uno Stato, comprandone i debiti e quindi tenendo quel paese in mano senza dover impiegare truppe o muovere guerre di stampo novecentesco.

La Russia di Putin ha mosso le sue pedine wagneriane in Medio Oriente e in Africa, sempre in funzione anti-occidentale; ha stretto relazioni con tutto un mondo che si andava rimodulando sulla scorta delle crisi internazionali di un capitalismo che è l’ingestibilità per antonomasia dell’ineguale sviluppo globale, ed ha risposto ultimamente ad un espansionismo della NATO che è andato ben oltre quello che Michail Gorbaciov lamentava nel 2008.

In questi sedici anni che ci separano dalla data dell’intervista citata, l’Alleanza Atlantica, gli Stati Uniti e l’Europa hanno lavorato ad un ampliamento dei confini militari del Vecchio Continente, puntando le loro armi proprio contro l’orso russo. La guerra del Donbass, durata oltre dieci anni, è anche figlia di un propensione ucraina a separarsi completamente dalla storica posizione geopolitico-culturale che la vedeva come la culla della nascita dell’antica Rus’ di Kiev, sempre e comunque parte della Russia storicamente intesa.

I confini della vecchia Europa degli imperi, quella antecedente la Grande Guerra, arrivavano a lambire a nord la Prussia orientale con il Reich guglielmino e la includevano parte della Galizia, smembrata dalla Polonia, ridotta a granducato sotto il dominio zarista, ed inclusa nella Cisleitania asburgica. Soltanto con la fine della Prima guerra mondiale e la conclusione della Rivoluzione russa, si spostano i confini e si ridisegnano gli Stati sulla carta. Ma l’Ucraina rimane parte di quel mondo: dell’Est con la e maiuscola.

La divisione dell’Europa in due, al termine della Seconda guerra mondiale, ha ulteriormente sconvolto gli antichissimi assetti che avevano creato comunità nazionali entro entità statali abituate alla pluriculturalità, al rispetto delle autonomie e alla compenetrazione delle tradizioni e delle economia. Si può pensare di includere nell’Unione Europea anche l’Ucraina, visto che in osservazione e candidati ad entrarvi vi sono anche la Turchia dal 1995 e la Georgia dal 2023. I radicali italiani, Pannella per primo, chiedevano che pure Israele ne dovesse fare parte.

L’idea degli “Stati Uniti d’Europa” era per loro l’espletazione più completa di quel liberismo-libertario che, per certi versi, somiglia all’arroganza anarco-capitalista di Milei. Sul piano economico, si intende. Perché su quello dei diritti non si pone il paragone. Purtroppo quando si parla della strettissima attualità dei fatti, si commette sovente l’errore di non cercare di capire come si è arrivati al punto in cui siamo.

Si preferisce moralizzare il tutto, banalizzando una divisione del mondo tra buoni e cattivi, tra democratici e antidemocratici, tra cultori della libertà e spietati tiranni. In parte è pure vero, ma l’assenza di democrazia è almeno biasimabile quanto l’esportazione della stessa fatta da grandi potenze che si sono erte a gendarmi del pianeta e che hanno praticato le peggiori torture in basi come Guantanamo, in terre d’oltreoceano, dopo aver bombardato col fosforo bianco intere città dell’Iraq, fatto piovere pappagalli verdi nei villaggi afghani, siriani…

Lasciamo stare per un attimo l’aspetto morale. Perché qui di morale non c’è nulla che possa veramente corrispondere ad un senso etico del potere nei confronti dei popoli. Ogni governo ha la pretesa di preservare i privilegi che ha assunto come linea gestionale del proprio paese, come collegamento tra interesse della classe dirigente e interesse della politica dirigente. La NATO è, così, quell’alleanza a scopo difensivo che ci è stato detto essere soprattutto dopo la fine della contrapposizione tra USA e URSS.

La NATO è la mano militare con cui l’imperialismo americano sfida la Russia e obbliga l’Europa a fare altrettanto. Alcuni analisti statunitensi sostengono la tesi che la guerra in Ucraina sia stata, al pari di quella del Donbass in cui gli aiuti dell’Alleanza atlantica erano pervenuti per tempo (Stoltenberg dixit, proprio in recenti occasioni di incontri al G7 a Kiev), provocata – anche attraverso l’espansione militare nei paesi dell’Est, partendo da quelli baltici – per testare il potenziale offensivo di Mosca.

Non ci sono riscontri in tal senso, ma è una delle ipotesi che sosterebbero maggiormente l’evidenza della “guerra per procura” che, oggi, rischia di fare un pesantissimo salto di qualità negativa tramite le dichiarazioni del presidente francese Emmanuel Macron. La difficoltà della tenuta del fronte in Ucraina è ormai un dato oggettivo: i russi avanzano e avanzano tanto ad est quanto a sud.

Non soltanto si fa sentire la stanchezza fisica delle truppe di Zelens’kyj, la scarsità di munizioni (il rapporto è: una pallottola per gli ucraini e dieci per i russi…) e la ritrosia statunitense ad alzare il mirino e l’asticella delle ostilità, ma soprattutto, complice l’allungamento temporale del conflitto, si mostra sempre più evidente la capacità russa di armarsi senza sosta, di avere sostegni in questo frangente dall’Iran, di poter contare sul tacito assenso cinese.

Citiamo le dichiarazioni dei leader europei che, da sole, sono la cartina di tornasole della volontà espansionista dell’Europa, della piena adesione alla linea imperialista nord-atlantica:

Macron: «Non c’è consenso oggi per inviare truppe di terra… ma nulla dovrebbe essere escluso. Faremo tutto il necessario per garantire che la Russia non possa vincere questa guerra».

Von der Leyen: «La minaccia di guerra potrebbe non essere imminente, ma non è impossibile. I rischi di una guerra non dovrebbero essere esagerati, ma dovrebbero essere preparati. E tutto ciò inizia con l’urgente necessità di ricostruire, rifornire e modernizzare le forze armate degli Stati membri».

La conclusione è un parallelismo tra pandemia da Covid19 e guerra in Ucraina: produrre tante armi, prioritariamente rispetto a tutto, a scapito dunque della spesa sociale, con un ritmo pari a quello con cui si sono prodotti i miliardi di vaccini per fronteggiare il coronavirus. Gorbaciov aveva ragione: qualunque promessa di contenimento dell’espansionismo atlantista è verba vana. Se per ipotesi le truppe di terra, come auspicano Macron e Attal, truppe con marchio NATO, venissero impiegate in Ucraina direttamente al fronte, quale si pensa possa essere la reazione di Mosca?

Si biasimerebbe il Cremlino se affermasse che la NATO, quindi Stati Uniti ed Europa sono entrati in guerra contro la Federazione russa? I mezzi di informazione troverebbero certo la formula, aiutati dalle ispirazioni provenienti dai vari gabinetti governativi, per far passare il tutto come una tragica necessità dei tempi. Ma noi sappiamo che non è e non sarebbe così.

Senza dimenticare le altre guerre: Gaza è un deserto di macerie, Khan Yunis pure e Rafah rischia di diventarlo prestissimo. Questa è la grande vittoria della democrazia occidentale sulle altre civiltà che non condividono il nostro modello di vita e di organizzazione della stessa nel diritto, nella rappresentanza e nella costruzione delle comunità nazionali e locali che provengono dalla tradizione ellenica, romana, medievale, illuminista e progressista?

Quelle di Macron, Attal e von der Leyen sono parole che stanno entro quel solco di unità europea proclamata come collante per uno sviluppo di pace, mentre si sono mandati a Kiev tanti di quei miliardi e armamenti che nessuna guerra moderna ha mai visto impiegare in due anni di combattimenti? Non era più logico cercare la via della trattativa? Certo che lo sarebbe stato. Ma forse non era nei piani di Washington, di Stoltenberg e di Bruxelles. Forse nemmeno in quelli di Putin, visto che ha invaso l’Ucraina.

Ma continuare a considerare una parte migliore dell’altra, senza rendersi conto che il livello di allerta sta pericolosamente aumentando, non fa di noi occidentali dei lungimiranti combattenti per la democrazia e la libertà. Così come non fa della Russia la nazione satanica che viene descritta in mille editoriali di un giornalismo incapace di parlare veramente di pace.

Perché la pace sovverte i piani degli imperialismi: ridimensiona gli appetiti, lo smorza, decostruisce i piani del capitalismo che divora e ammassa ricchezze, mentre sul fronte ucraino si muore, mentre nella Striscia di Gaza proprio non si esiste più, mentre si fanno sempre più agitate tanto le acque del golfo di Aden così come quelle intorno a Taiwan.

Il destino del mondo moderno è nelle mani di questa gente, al soldo di sé stessa, dei potentati che li finanziano e, naturalmente, dei mercanti di armi e dei grandi finanzieri che sostengono gli sforzi delle democrazie da un lato, delle oligarchie dall’altro. Il destino del mondo è, così, difficile da vedere in chiave di futuro. Sempre più difficile.

MARCO SFERINI

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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