I materiali utilizzati per incartare e confezionare gli alimenti pullulano di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) che non potrebbero essere presenti al loro interno. È quanto emerge dai risultati di un articolo scientifico, sottoposto a revisione paritaria, comparso su Environmental Science & Technology (ES&T) la scorsa settimana. Secondo il report – che armonizza quanto attestato da ben 47 studi scientifici in molti Paesi del mondo – all’interno di  imballaggi alimentari e molti altri materiali che vengono posti direttamente a contatto con il cibo sono infatti state rinvenute ben 68 tipologie di PFAS, 61 delle quali “inaspettate”, in quanto non autorizzate per l’utilizzo nelle specifiche confezioni. In larga parte dei casi, precisamente il 72,5%, gli PFAS sono stati trovati nella carta e nel cartone, ma essi sono stati identificati anche all’interno di imballaggi in plastica, nonché in metalli rivestiti.

7 dei 68 PFAS trovati nel corso dell’indagine risultano essere stati inseriti negli elenchi normativi o industriali delle sostanze chimiche specificamente utilizzate nella fase della fabbricazione di quei materiali. Il discorso cambia, però, per gli altri 61 – ovvero il 90% dei PFAS rintracciati – la cui tipologia, in quelle liste, non trova menzione. Alcuni PFAS, invece, sono stati rinvenuti in materiali per il quali non è stato indicato il loro utilizzo (come ad esempio il bisfenolo, rinvenuto in plastica e metalli rivestiti, che è in elenco solo per l’uso nella gomma). “Il frequente rilevamento di PFAS di cui non si conosceva l’uso e l’ulteriore evidenza di composti fluorurati non identificati negli FCM (materiali a contatto con gli alimenti, ndr) dimostrano le difficoltà di gestione dei PFAS negli FCM – hanno sottolineato gli autori del report nel documento –. Inoltre, la restrizione di singoli PFAS potrebbe portare a sostituzioni deplorevoli, poiché sul mercato sono presenti numerosi PFAS diversi che possono avere funzioni simili e potrebbero essere utilizzati come alternative”. Proprio questo aspetto induce i redattori dello studio a rifiutare l’ottica che vede gli PFAS essere regolamentati singolarmente, ritenendo al contrario opportuno un divieto globale dei PFAS “per evitare che continuino a essere prodotti e utilizzati nei Paesi che non hanno una legislazione o la capacità di monitorare la conformità”.

I PFAS sono un gruppo che raccoglie oltre 10.000 molecole sintetiche non presenti in natura, utilizzate in vari processi industriali. Essendo molecole fortemente stabili, esse sono impossibili da degradare nell’ambiente e sono state definite “inquinanti eterni”. Recentemente, nella rivista The Lancet Oncology è stato pubblicato un articolo scientifico in cui trenta scienziati dell’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) hanno concluso che una delle tipologie di PFAS più diffuse, quella dei PFOA, è certamente cancerogena, mentre i PFOS, altro appartenente al gruppo dei PFAS, sono stati indicati come “possibilmente” cancerogeni. In Italia, nel 2013 è stato riscontrato uno dei casi più gravi di contaminazione da PFAS dell’intero continente europeo tra le provincie venete di Padova, Verona e Vicenza, mentre qualche mese fa in Lombardia è stata scoperta una grave contaminazione da Greenpeace. Più di recente, è stata attestata dall’Organizzazione la contaminazione delle acque di oltre 70 centri in Piemonte e, in ultimo, in quelle della Toscana.

[di Stefano Baudino]

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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