di Filippo Zingone

Dopo l’uccisione del Presidente Moïse e il colpo di mano del Premier Henry, il caos è dilagato ad Haiti L’appello dell’Onu per un intervento internazionale di polizia è stato raccolto dal Kenya con molti contrasti interni e la situazione comincia a sbloccarsi solo con le dimissioni di Henry

Le violenze ad Haiti non si placano. Più passano i giorni più le bande criminali diventano padroni della metà haitiana dell’isola di Hispaniola. Ormai la capitale Port au Prince è sotto il giogo dei banditi che controllano anche porti, aeroporti e le stazioni di rifornimento della benzina. Questa settimana le gang sono entrare anche nei quartieri ricchi della capitale, dove si trovano le sedi delle ambasciate e delle Ong internazionali, lasciando dietro di sé 18 corpi abbandonati per le strade. Negli scorsi giorni sono state prese di mira le centrali elettriche, alcune delle quali a oggi non più funzionanti, con la conseguente mancanza di elettricità in ampie fette di Port au Prince. La situazione sembra non avere soluzione da quando nel luglio del 2021 l’allora presidente di Haiti Jovenel Moïse è stato assassinato nella sua abitazione da mercenari stranieri, secondo le autorità haitiane, sostenuti da una parte dell’élite dell’isola. Pochi giorni prima dell’omicidio di Moïse, il suo posto era stato preso da Ariel Henry, come presidente ad interim che avrebbe dovuto portare la piccola nazione caraibica al voto nel 2023, dopo che dal 2016 non c’è stata occasione per la popolazione di Haiti di esprimere il proprio diritto di voto.

Le urne però, anche questa volta, non si sono aperte a causa della situazione di totale insicurezza dettata dalla quasi guerra civile tra le bande armate e le forze dell’ordine haitiane.

Proprio nel luglio dell’anno scorso, davanti alle richieste sempre più pressanti del governo di Port au Prince e delle Nazioni unite, il Kenya si era detto disponibile a guidare la missione di Sostegno alla Sicurezza Multinazionale (Mss) che prevedeva lo schieramento sul campo di 2.500 ufficiali di polizia per far fronte al dilagarsi delle violenze perpetuate dalle bande armate. Una soluzione che molti paesi, in prima fila gli Stati uniti, avevano accolto favorevolmente, avendo escluso l’invio di propri contingenti sull’isola. Quando il Presidente Henry è volato a Nairobi per confermare l’invio delle forze armate keniote, alla fine di febbraio, sull’isola le gangs, capitanate dall’ex-capo della polizia Jimmy Chérizier detto Barbecue, hanno preso di mira le infrastrutture fondamentali al funzionamento della capitale e alcune prigioni, liberando 3.600 persone. L’accordo sull’invio di personale di polizia da parte di Nairobi però era stato bloccato da una sentenza dell’Alta Corte keniota a gennaio. Nonostante questo stop voluto dai giudici, il presidente keniota William Ruto non ha mai messo in dubbio la Mss e il ruolo di Nairobi. Il leader dell’opposizione in Kenya, Ekuru Aukot, però ha annunciato che farà causa per la decisione incostituzionale dell’invio di forze keniote ad Haiti.

Più volte Barbecue, in quanto capo di un’alleanza di diverse bande chiamate G9, aveva chiesto a gran voce le dimissioni di Henry.

Nell’intervista rilasciata a Sky news la scorsa settimana, in uno dei rari momenti di un fragile cessate il fuoco, Chérizier ha attaccato la comunità internazionale «che ha imposto un sistema corrotto: Haiti non è una loro proprietà» e ha continuato avvertendo che «se la comunità internazionale non capirà che gli haitiani dovranno decidere del loro futuro, si potrà arrivare a una guerra civile». Il Presidente Henry, dopo aver concluso l’accordo con la sua controparte keniota Ruto, non è potuto rientrare ad Haiti dove le bande armate avevano già preso il controllo dello scalo aereo di Port au Prince. Atterrato quindi a Porto Rico il 5 marzo, il giorno 11 dello stesso mese Henry si è trovato in Giamaica per una riunione straordinaria della Comunità dei Caraibi (Caricom), con all’ordine del giorno la crisi haitiana. La sera stessa, a seguito del summit, il Presidente haitiano ha rassegnato le sue dimissioni, che avverranno dopo «l’istituzione di un consiglio presidenziale di transizione e la nomina di un primo ministro ad interim» – ha annunciato Irfaan Ali, presidente della Caricom. A Kingston era presente anche il Segretario di Stato americano Anthony Blinken, che ha promesso 100 milioni di dollari per sostenere una forza internazionale di stabilizzazione, ai quali ha aggiunto 33 milioni di assistenza umanitaria immediata.

Il Consiglio di transizione, come riporta Af, già la scorsa settimana ha emesso un comunicato in cui si impegnava a «ripristinare l’ordine pubblico e democratico» ad Haiti.

«Tutti insieme lavoreremo per alleviare le sofferenze del popolo haitiano, che paga le conseguenze del malgoverno e delle violenze delle bande criminali» conclude il comunicato del Consiglio che però ancora non è entrato ufficialmente in funzione.

A metà della scorsa settimana, tramite X, l’Ufficio integrato delle Nazioni Unite ad Haiti ha fatto sapere che l’Onu aprirà un ponte aereo dalla Repubblica dominicana. Infatti alla crisi politica e di sicurezza si aggiunge la crisi umanitaria nel paese più povero dell’America latina, dove più del 60% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. «La comunità internazionale deve fornire immediata assistenza umanitaria per alleviare la sofferenza delle persone sfollate e di quelle colpite dalla violenza», ha detto Ana Piquer, direttrice di Amnesty International per le Americhe. La recente escalation ha raggiunto livelli allarmanti: vengono segnalate decine di uccisioni, secondo l’Onu sarebbero più di 1500 i morti e più di 800 i feriti dall’inizio dell’anno al 22 marzo, rapimenti, violenza sessuale contro donne e ragazze e lo sfollamento forzato, dall’inizio del 2024, di oltre 35.000 persone. «Questa crisi è il risultato di decenni di instabilità politica, di povertà estrema e di assenza di un impegno reale da parte della comunità internazionale, che hanno reso la popolazione haitiana vulnerabile alla violenza»,  ha concluso Piquer.

immagine di copertina Wikicommons

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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