Salvatore Bianco

«Generale, l’uomo fa di tutto.

Può volare e può uccidere.

Ma ha un difetto:

Può pensare» (B.Brecht)

In questa strana congiuntura storica in cui pare siamo bene avviati verso l’abisso, come la colonna di ciechi guidata da ciechi raffigurata da Bruegel il Vecchio, quello che più inquieta è il perverso intreccio tra piano di realtà e finzione spettacolare; fa dubitare seriamente sul grado di coscienza con il quale noi tutti vivremmo una situazione prossima di guerra. Anche il “biennio pandemico”, alle nostre spalle, assume un significato sinistramente più attuale. Quello di essere stato, nel suo crescendo marziale, specie nei linguaggi adoperati, una sorta di viatico alla condizione presente.

Viene pure da pensare che quella conciliazione, che ha impegnato buona parte della modernità occidentale, tra particolare ed universale, identità e molteplicità, soggettività ed oggettività abbia trovato la sua paradossale ricomposizione in una forma di estraniazione assoluta   che ha per fondamento il feticismo delle armi. Per stare al piano fenomenologico, l’Italia nel suo piccolo per effetto dell’attuale governo, che si è reso protagonista di un flusso ininterrotto di forniture belliche – in spregio ad ogni dettato costituzionale –, bene incarna il “pensiero magico” dominante intorno alle armi. Cerchiamo di comprenderlo. Noi tutti tendiamo ad attribuire alla tecnica militare, che pur nella sua inusitata potenza resta mezzo, un valore risolutivo e salvifico. Come se funzionassero da sole le armi, si muovessero da sole nello spazio e nel tempo secondo un automatismo. E non fossero invece imbracciate e pilotate da centinaia di migliaia di corpi, che le adoperano e che all’occorrenza ci restano sotto esanimi.

Per i cantori del nuovo verbo bellico non è possibile sia sola bieca propaganda, non si riuscirebbe a mantenere quella parte in commedia così a lungo e in uno scenario che si annuncia catastrofico. No, è più probabile che si tratti della «falsa coscienza necessaria» di marxiana memoria, che rimanda ad un’intima convinzione. Essa attraversa le sempre più sparute oligarchie dominanti, con rispettivo circolo mediatico e clero giornalistico di completamento. Se l’assunto è plausibile, allora la chiave interpretativa non può che essere ancora una volta religiosa. Il neoliberismo o tecno-capitalismo, come converrebbe appellarlo nella sua fase crepuscolare, fra le tante sciagure ha anche prodotto una cattiva teologia di bassa lega, perché astratta che non tiene conto minimamente delle dimensioni della storicità e della pluralità a proposito delle forme politiche. Ha costruito uno scenario semplificato di “buoni” e “cattivi”. Le armi in un simile contesto assumono i tratti superstiziosi degli eventi miracolosi che sono destinati a far trionfare i presunti buoni sui cattivi. Come altrimenti spiegare il parlare così disinvoltamente di «nucleare tattico» senza che ciò generi un’inflessione di orrore nella voce? Solo se si fa delle armi quello che si è fatto in precedenza dei mercati finanziari o delle le agenzie di rating: un feticcio.

L’unica possibilità che forse ci resta è che i più vecchi e i più saggi delle rispettive tribù riprendano parola. Figure ovviamente non corrotte dal denaro e men che meno sedotte dal potere, che abbiano vissuto «l’immane potenza del negativo» e ne custodiscano le cicatrici. Una conferenza internazionale di pace da taluni evocata dovrebbe essere varata ed avere per protagonisti tutti costoro, rappresentanti autorevoli e riconosciuti delle rispettive comunità. Per il nostro Paese sarebbe certamente individuato un “consiglio di saggi” all’altezza del compito e così altrove. Non è un’utopia o quantomeno lo è in forma tragicamente concreta.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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