Le piazze pro o contro l’Europa rivelano una frattura insanabile: da un lato, una massa popolare contro riarmo e governance UE; dall’altro, élite ZTL tra sogni europeisti e silenzi imbarazzanti su Gaza. Il “campo largo” si sfalda tra retorica, illusioni e dissenso reale.
La piazza del 5 aprile e quelle di Letta e di Picierno
– Fausto Anderlini*
Dopo la grande partecipazione alla manifestazione del 5 aprile, i sostenitori delle altre piazze – quella per l’Europa convocata da Serra, e quella in tono minore bandita dal sindaco Lepore – hanno alternato una livorosa ostilità a idilliaci richiami unitari.
Soprattutto la sinistra del PD e dintorni (o quel che ne rimane) ha insistito sul carattere complementare e sovrapponibile in più parti dei diversi raduni, alludendo a uno stesso popolo e a comuni sentimenti e motivazioni. Posizioni, queste ultime, abbarbicate, irenicamente quanto disperatamente, alla visione compossibilista del cosiddetto campo largo.
Non è qui in discussione se tale aggregabilità sia augurabile o meno, quanto piuttosto lo stato delle cose. Le situazioni di fatto sono, a mio parere, altamente divergenti, malgrado non siano mancate talune delegazioni pendolari (quasi sempre espressione del ceto politico sia del PD che di AVS).
La prima divergenza riguarda la composizione sociale. Nel caso dei Fori Imperiali, una prevalenza di popolo minuto, tipico target elettorale dei 5 Stelle, probabilmente alla prima esperienza di un corteo di massa politicamente orientato. E assieme ad esso una larga messe della diaspora militante di sinistra.
Donde un carattere nuovo (inedito) e vetero-ideologico convergente nello stesso alveo: il profilarsi, per la prima volta, di una casa comune progressista e di sinistra, con caratteri di massa. La vera novità in campo.
Laddove Piazza del Popolo, assai meno numerosa, era saturata da ceto politico strutturato (classe amministrante PD) e da ceti medi appartenenti al target de La Repubblica (di fatto coincidenti con il PD e le formazioni centriste), frammisti a delegazioni della diaspora NATO-europea delle nazioni minacciate (emblematiche le bandiere ucraine e georgiane).
Circa l’Onda blu (in realtà un’increspatura da bonaccia) di Piazza Nettuno a Bologna, a chiarirne la composizione bastano le stesse parole estasiate del cronista di Repubblica, che la descrive proprio come una festa di laurea (al netto del goliardico “dottore dal buco del cul”): “Studentesse con le unghie laccate di blu, dottorandi, anziani, professori, la generazione Erasmus con tutto l’albero genealogico fatto di mamme, padri e nonni di bolognesi che vivono e lavorano a Bruxelles come una seconda casa”.
Mai descrizione del popolo glocal della ZTL fu più acconcia di questa. Per chi, come il sottoscritto, ha seguito le orazioni, l’immagine immediata sovveniente è stata quella del binomio quaternario Studio e mercatura, essendo stata la Bologna operaia e manifatturiera (cioè comunista) non solo ridotta a pallido ricordo, ma violentemente rimossa.
Ci fosse stato anche Farinetti a parlare di ficate e altre amenità agro-alimentari, la triade medievale e barocca (comprensiva anche dell’aratro) sarebbe stata completa. Sarà anche per questo climax augiasiano che Serra, anche ispirato da una suora, ha rammentato l’europeismo ante litteram del monachesimo. Le circumambulazioni della post-modernità…
Detto per inciso, i discorsi dei professori che si sono alternati sul podio erano di così fatuo spessore da far rimpiangere l’epoca in cui lo Studio, specie in campo umanistico con grandi figure intellettuali, era semmai internazionale, piuttosto che europeo. Quando il pensiero era tutt’altro che unico, ad anni luce da quello oggi impartito in università omologate…
Ma la divaricazione più marcata si è evidenziata nei due palinsesti politico-culturali. Da un lato una ferma opposizione al riarmo, alla cosiddetta pace giusta (cioè alla guerra permanente) in Ucraina, e al genocidio palestinese, assieme a una critica radicale della leadership europea e all’involuzione dei dispositivi della governance. Questo in linea con le posizioni assolutamente coerenti assunte dal M5S al Parlamento di Strasburgo.
Dall’altro lato, il rinvio a una impossibile difesa comune incastonata in un’utopistica Europa ventoteniana, mai peraltro esistita e oggi più chimerica che mai. Nessuna critica alla coalizione dirigente dell’UE, solo qualche cenno en passant, salvo qualche presa di posizione – come quelle di Mannocchi e Lerner a Bologna – sulla mattanza palestinese. Un approccio meramente umanitario al caso palestinese.
Un mero identitarismo proiettivo che scarica sulla cattiveria degli autocrati (come desolatamente insiste l’Urbinate in un recente editoriale) l’inconsistenza intrinseca dell’Europa. Lo scandalo trumpiano e il neo-antiamericanismo sono una mera foglia di fico per celare quell’identificazione tra Europa, NATO e amministrazione democratica USA, con il suo suprematismo imperiale, che è la vera causa di tutti i mali, a partire dalla questione ucraina.
Quanto al PD, la leadership della Schlein è superata nei fatti. Alcune voci fuori dal coro, come quelle di Cuperlo, sono allo stato di vox clamantis in deserto. L’humus culturale prevalente nelle due piazze intonate da Repubblica e i pochi interventi politici (vedasi quello di Lepore: un vero florilegio) hanno rispecchiato la linea ostinatamente dominante nel PD, platealmente confermata nella più recente deliberazione del Parlamento europeo – finalmente unitaria, salvo lo scarico di Tarquinio e Strada – che Michele Prospero su L’Unità, parafrasando ironicamente un celebre motto del PCI in epoca berlingueriana, ha stigmatizzato come il Partito di Letta e di Picierno.
Europeismo onirico, paranoico e proiettivo, russofobia, imbarazzante aderenza al format von der Leyen. Ursolotti imbottiti di napalm. Se si fa lo spelling al discorso colmo di zelo di Lepore in quel di Bologna – vero florilegio, se non una bomba-grappolo – se ne possono trovare tutti gli elementi. Eppure costui passava come un anti-renziano e un dinamico sostenitore della Schlein e del campo largo…!
La divisione è perciò profonda e, allo stato attuale, incontenibile, non eludibile con generici richiami unitaristici. Prima di passare all’autonomia del politico, è bene – seguendo Gramsci – che il rischiarante spirito di scissione rispetto a questa depravazione segua il suo corso fino in fondo. Prima di trovare alleati, il movimento autenticamente riformatore deve costituirsi come tale. Fu così dopo che, nel ’14, i rinnegati votarono i crediti di guerra.
* Dalle riflessioni social di Fausto Anderlini