Di Patrick Cockburn

 

Ho passato la maggior parte dello scorso anno facendo servizi su due assedi: a Mosul in Iraq e a Raqqa in Siria, che finalmente si sono conclusi con la decisiva sconfitta dell’Isis. Questo è stato l’avvenimento più importante in Medio Oriente nel 2017, anche se le persone stanno già cominciando a dimenticarsi quanto era pericolo il califfato dell’Isis al culmine del suo potere e anche durante il suo declino. Non così tanto tempo fa, i suoi “emiri” dominavano una zona nell’Iraq occidentale e  nella Siria Orientale che era delle dimensiono della Gran Bretagna e i terroristi ispirati dall’Isis o organizzati dominavano le notizie spesso compiendo atrocità da Manchester a Kabul e da Berlino al Sahara. L’Isis conserva la capacità di massacrare i civili – testimoni ne sono gli eventi in Sinai e in Afghanistan nelle scorse settimane –ma non ha più il suo proprio stato potente organizzato dal centro, cosa che lo rendeva una minaccia.

La sconfitta dell’Isis è di per sé confortante e la sua caduta ha altre implicazioni positive. E’ un segno che le fine potrebbe arrivare per il ciclo di guerre che hanno devastato l’Iraq fin dal 2003, quando gli Stati Uniti e la Gran Bretagna rovesciarono Saddam Hussein, e la Siria fin dal 2011quando iniziò l’insurrezione contro il Presidente Bashar al-Assad. Così tanti conflitti si erano intrecciati sui campo di battaglia iracheni e siriani –  sunniti contro sciiti, arabi contro curdi, l’Iran contro l’Arabia Saudita, il popolo contro la dittatura, gli Stati Uniti contro una serie di oppositori – che la fine di queste molteplici crisi diventava sempre incasinata. Stanno però emergendo vincitori e i perdenti che modelleranno la regione per i decenni futuri. Avvertimenti ultra prudenti che l’Isis e al-Qaida potrebbero sollevarsi di nuovo o tramutarsi in una forma ugualmente letale, sottovalutano la profondità dei cambiamenti che sono avvenuti negli scorsi anni. Gli jihadisti hanno perduto l’appoggio regionale, la simpatia popolare dei sunniti, l’elemento di sorpresa, l’impeto della vittoria, mentre i loro nemici sono di gran lunga più forti di quanto erano di solito. La risurrezione dello stato dell’Isis sarebbe praticamente impossibile.

La sconfitta dell’Isis nella sua zona centrale non ha prodotto il tripudio che ci si sarebbe potuto aspettare, in parte perché le persone non sono sicure che il serpente sia realmente morto e sono giustamente timorose che l’Isis possa uccidere un sacco di gente negli spasimi della morte. Ero a Baghdad in ottobre e in novembre dove ora ci sono meno incidenti che in qualsiasi momento del 2003. Paragonate questo con i picchi di 3000 persone fatte saltare in aria, uccise o torturate a morte nella capitale in un solo mese al culmine della guerra civile settaria nel 2006-2007. In quel tempo, i giovani uomini iracheni si facevano tatuare il corpo in modo che potessero essere identificati dopo la morte anche se erano malamente mutilati. Soltanto 18 mesi fa, una bomba su un camion nel distretto Karada di Baghdad ha ucciso almeno 323 persone, e quindi gli abitanti di Baghdad sono comprensibilmente stanchi di festeggiare la pace prima del tempo.

C’è tuttavia una buona probabilità che il periodo di guerre e di emergenze che hanno

colpito l’Iraq negli scorsi 40 anni stia arrivando alla fine. Non c’è in vista nessuna insurrezione locale alimentata da stati stranieri.  Oltre i suoi confini, la parte settentrionale del Medio Oriente tra l’Iran e il Mediterraneo che si estende attraverso l’Iraq, la Siria e il Libano sembra si vada stabilizzando.

Oggi la nuova area di instabilità in Medio Oriente è ulteriormente a sud nella Penisola Arabica dove le agitazioni si sono rapidamente intensificate nel 2017. La guerra in Yemen arrivata a un punto morto, è ora la più sanguinosa e crudele della regione, con 8 milioni di yemeniti che affrontano la carestia a causa del blocco guidato dai Sauditi: ci sono oltre un milione di sospetti casi di colera, la più grossa epidemia della malattia nella storia moderna.

Gran parte della destabilizzazione della Penisola Araba ha origine dalle politiche estere e interne del Principe della Corona Mohammed bin Salman (MbS) che hanno reso l’Arabia Saudita, una volta recisamente cauta e conservatrice, il “jolly ” regionale. Alcune delle sue azioni, come la detenzione e le forzate dimissioni del Primo Ministro Libanese Saad Harari, hanno un aspetto da opera comica per loro, ma altri sono più seri.

Quando il Presidente Trump ha visitato l’Arabia Saudita in Maggio, MbS deve aver percepito che i venti del cambiamento stavano soffiando in suo favore, ma poche cose si sono risolte come ci si aspettava. Trump ha lusingato i suoi ospiti sauditi dando la colpa di tutti i guai del Medio Oriente all’Iran, ma finora l’attacco anti-iraniano della politica statunitense è rimasto in gran parte retorico. La principale iniziativa saudita nel Golfo è stato il blocco del Qatar che finora ha ottenuto poco per il Regno e per gli Emirati Arabi Uniti – UAE, a parte spingere il Qatar verso la Turchia e l’Iran. Questo scontro ha prodotto un po’ di leggero sollievo con furiosi scambi tra Emirati Arabi Uniti e la Turchia con il Presidente turco  Recep Tayyip Erdogan che twittava al ministro degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti: “Quando i miei antenati difendevano la Medina, dove erano i tuoi,  uomo impudente?” Sul lato del Mar Rosso dell’Arabia Saudita, il Sudan sta considerando di ritirare le sue truppe dallo Yemen dove hanno fornito molte delle truppe di terra per la coalizione appoggiata dai Sauditi.

Gli Stati Uniti e i paesi dell’Europa Occidentale trattano l’Arabia Saudita come se fosse un paese egemone regionale in formazione. I loro motivi sono egoistici e ovviamente essi vogliono continuare a vendere armi al Regno e ai restanti alleati del Golfo. Però gli avvenimenti dello scorso anno nella Penisola Araba illustrano una verità generale circa gli stati petroliferi: il loro denaro può far loro acquistare potere e influenza fino a un certo punto, ma la loro capacità operativa è molto più limitata di quanto si immaginino. Questo vale per l’Arabia Saudita, il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti, l’Iraq e perfino per il piccolo Kurdistan iracheno che poco saggiamente aspirava a essere un nuovo emirato ricco di petrolio.

La storia recente di questi stati illustra una regola generale: il possesso di grandi entrate provenienti dal petrolio, dal gas o da qualsiasi risorsa naturale, come i minerali, alimenta l’arroganza e l’ambizione autodistruttiva. Quando dissero a Re Idris della Libia negli anni ’60 che le compagnie petrolifere avevano trovato il petrolio nel suo paese, si reputa che abbia detto: “Desidererei che aveste trovato l’acqua. L’acqua fa lavorare gli uomini. Il petrolio fa sognare gli uomini.” La citazione è un po’ troppo peparata, ma ogni cosa che è accaduta in Medio Oriente e in

il Nord Africa nello scorso mezzo secolo ha evidenziato la verità di questa osservazione. Il denaro del petrolio soltanto può ottenere tutto questo: può comprare armi moderne costose, ma non può far vincere le guerre, come vediamo ora in Yemen. Può comprare alleati ma fanno proprio il meno che possono per la loro paga e la loro realtà termina proprio appena il denaro si esaurisce.

La buona notizia per il 2018 è che le guerre barbariche in Iraq e in Siria potrebbero finalmente arrivare alla fine. Non soltanto gli iracheni e i siriani e i loro vicini beneficiano di questo: ciò che accade nella regione ha subito ripercussioni per il resto del pianeta, come abbiamo visto quando l’invasione dell’Iraq del 2003 ha trasformato al-Qaida in un movimento di massa e alla fine ha prodotto l’Isis, un culto militarizzato di ferocia demoniaca. Qualunque altra cosa sia accaduta nel 2017, la distruzione del califfato dell’Isis lo ha reso un buon anno.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/iraq-and-syria-wars-coming-to-an-end

Originale: The Independent

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

dicembre  2017

 

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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