di Tracce
Concreti mobili colloquianti. Il drappello in qualche modo pervenuto. Dai più scuri punti del globo. Dislocati in modo da opporsi al passante facendosi scudo uno dell’altro per rendere finalmente gli altri insicuri, incurvati sotto le croci di legno che formano le braccia. Gli abiti ( che siamo noi ) addossati al loro spirito formano un insieme di pensieri e azioni privi di amalgama. E tuttavia è così che diventano visibili, costretti a indossare i nostri pregiudizi, le nostre spinte indietro, che li privano di mani di occhi di gestualità raggelati a braccia spiegate come ali monche.


Passaggi sonori accompagnano l’addentrarsi tra i personaggi, orchestra di vocistrumenti di chi si racconta, e si attivano all’approssimarsi per confondersi e svanire mentre crescono quelli del nuovo incontro. Okoro Prince, Akhgbe Damian, Ahmod Shamin, Soumamoro Namoury forse si danno sulla voce, conoscono per certo il motivo per cui sono respinti, mentre spiegano in un colloquio serrato a tu per tu la loro essenza di non spaventapasseri pur avendone le sembianze. Si confrontano si paragonano con chi li sta a guardare tipi diversi di manichini di quest’epoca mentre Keita Moussa Howlader Nur Jamal, Muhammad Amjad Jayed, MD Azizul Islam, Darboe Sheriff M.L., NjideDawda, intervengono con frasi di sabbia calpestata e di mare salato dal sole, di terrore dei campi libici e degli aerei che la ricca Germania riempie di vite umane per rispedirli come carta straccia là dove hanno poggiato il piede appena emersi dalla rotta verso il sogno nordeuropeo. Miseria scura eredità bianca del tempo delle colonie. Un’associazione culturale, McZee, la CRI di Macerata, il patrocinio di ICOM Italia e l’artista ChiaraValentini e queste presenze ispirate da un romanzo fiaba di L.F.Baum, ci sovrastano.
Più ti muovi e più senti voci.
Anche gli spaventapasseri colloquiano nelle campagne con uccelli migratori senza paura.

Giuliano Scabia portava in giro il suo angelo per cammini interminabili, o accompagnava alberi in fuga con stuoli di personaggi. Questi abiti che rivestono croci di legno, a testa alta fronteggiano chi li attraversa attivando parole per mezzo di un congegno elettronico, senso di esistenza non più invisibile. Il diaframma fra visibile e invisibile è labile. L’invisibile si trasforma in visibile. Altri due ambienti affidati all’ingegno di Daniel Rich e Claudia Peill. Non ci si può scrollare di dosso la presenza incombente dell’umore sonoro che ci insegue e si mischia a quello degli intervenuti; si fa largo da terra fra alberi e muri di cortile uno scorcio di cielo. Voci e voci. Le stesse di prima.
Calpestio di piedi non piedi, ritmato e monotono.Se ne stanno andando. Facendosi largo con mani non mani su braccia allargate.



Invisibili inquietanti presenze assenze.

Di Tracce

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