L’ora X del governo sembra arrivata: mercoledì o giovedì prossimi, quando la discussione si terrà al Senato della Repubblica, quando il presidente del Consiglio Conte riferirà al Parlamento in merito allo scandalo “Metropol“, potrebbe accadere uno scenario surreale ma proprio per questo molto reale. Dai banchi del governo o da quelli del gruppo della Lega a prendere la parola potrebbe essere Matteo Salvini per perorare magari la causa di una frattura ormai insanabile nell’esecutivo e innescare così apertamente la crisi, trovando un pretesto nella correttezza perlomeno istituzionale del venire a riferire alle Camere che, fino a prova contraria, sono il centro della democrazia repubblicana e quindi hanno tutto il diritto (ed il dovere) di chiedere spiegazioni su quanto combinano ministri e viceministri. Uno scenario potrebbe essere questo. Oppure potremmo avere innanzi un abbassamento di quei toni che Fontana e Zaia hanno alzato in questi giorni a proposito di un altro tema divisivo nella maggioranza giallo-verde: l’autonomia differenziata per Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna (ma qui lo scontro è limitato alle ex due province di un Impero Austro-Ungarico mai dimenticato da certe popolazioni italiane, nostalgiche di una mitteleuropa oggi somigliante più alla congrega conservatrice e reazionaria di Visegrad che alla dinastia Asburgo-Lorena). Comunque sia, l’agonia del governo sembra ormai irreversibile, accelerata dall’apertura pentastellata alle politiche pseudo-riformiste dell’europeismo di matrice germanica della Von der Leyen che mostrano il fianco alle più che giuste critiche al M5S di essere tutt’altro che una forza progressista, ma anzi profondamente legata ad un impianto liberista con tratti di modernismo ecologista e pseudo ricreazione di uno “stato-sociale” in Italia volti soltanto a coprire il segmento di sinistra sin dalle origini del grillismo attratto dalla “novità” rappresentata da questo ibrido tricefalo, mostruoso ma dall’apparenza innovatore e persino rivoluzionario! La medesima agonia del governo, del resto, è anche emblematicamente resa plastica e concreta dalla contraddizione che vive la Lega tanto in seno al governo quanto nelle amministrazioni locali: lasciare la rappresentanza politica dell’economia di mercato di medio e grande ceto ai Cinquestelle, al PD o a ciò che rimane di Forza Italia, alla fine non paga elettoralmente, perché finisce col privilegiare l’aspetto propagandistico per attrarre un sempre maggiore consenso in termini di voti ma può creare i prodromi di una crisi politica proprio interna alla Lega stessa. Il caso della secessione mascherata da “autonomia differenziata” è a questo proposito addirittura lampante: i presidente delle regioni Lombardia e Veneto attaccano il governo di cui ormai i leghisti sono azionisti di maggioranza per mandato popolare, pur non avendo il riscontro medesimo nella composizione delle Camere, e tutto ciò dovrebbe apparire come una normale dialettica tra locale e nazionale? La crisi di governo, qualora dovesse trovare una sua specifica “ora X“, quindi un ben calcolato momento in cui farla deflagrare come bomba lanciata non contro l’ingiustizia (di gucciniana memoria) ma nuovamente contro la democrazia repubblicana e i compromessi cui la Costituzione costringe il mercato nell’equilibrio socialdemocratico-liberale tra ricerca del bene comune e tutela dell’interesse privato (preferisco comunque chiamarlo “profitto“!), complicherebbe non soltanto il quadro generale della politica italiana ma anche i rapporti con un’Europa che finirebbe col dover fare i conti tra lo scegliere un asse di protezione dal sovranismo o il sovranismo stesso. Preso atto che il sovranismo leghista è tutto tranne che nazionalismo, essendo un surrogato di esaltazione di particolarismi regionali uniti dal solo scopo di proteggere gli interessi dei padroncini “padani“, ne deriva che Bruxelles farà i suoi conti e se non vi sarà una chiara alternativa al leghismo di nuova maniera, allora potremmo anche assistere a riedizioni di “grandi coalizioni”, magari trasversali e non direttamente chiamate tali, ma definibili con nuovi equilibri parlamentari. Per questo la sinistra comunista e di alternativa deve attrezzarsi anche per l’”ora X“, ma deve soprattutto prendere atto che fare muro contro il salvinismo e il melonismo è un imperativo categorico tanto politico quanto morale. Ciò non toglie che i progetti della sinistra di alternativa sono e devono rimanere progetti esattamente opposti alla ricerca di un piglio governista per “attenuare” il liberismo. Così si finisce col far sedere nuovamente il diavolo sulla propria spalla senza nemmeno accorgersene. Tutto è molto complicato e per questo non possiamo pensare di avere una soluzione semplice tra le mani, nelle nostre menti e persino nell’unione tra pensiero e azione, tra volontà e concretizzazione della medesima. Ma considerarsi a priori fuori dalla scena politica perché oggi irrilevanti nei rapporti di forza è andare oltre l’irrilevanza stessa, è decisamente peggio e non renderebbe alcun servizio a quel moderno mondo di sfruttate e sfruttati che necessariamente devono tornare ad avere forze politiche comuniste, socialiste ed ecologiste che li tutelino davvero. Il nostro compito è ricostruirci come soggetti pensanti e agenti di una coscienza di classe che è oggi l’ago nel pagliaio. Senza qualcuno che lo cerchi disperatamente non ci sarà nessun progresso sociale, nessuna difesa della democrazia, nessuna tutela della Costituzione e della Repubblica. All’”ora X” bisogna arrivarci in qualche modo preparati. O quanto meno non così sprovvedutamente…

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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