Leh, capitale del Ladakh

Francesco Cecchini

Il Ladakh, letteralmente “la terra degli alti valichi”, si trova tra l’Himalaya e la catena montuosa Kunlun ad un’altezza di oltre 3.000 metri . È un deserto ad alta quota con panorami straordinari e una cultura antica. Ma è anche uno dei punti più caldi del mondo, grazie alla Linea di Controllo Attuale (LCA) la frontiera tra Cina e India di più di 3500 km, che lo attraversa.

Molti anni fa penso di visitare il Ladakh. Il cielo sopra Srinigar è azzurro limpido e all’orizzonte c’è l’ Himalaya innevato. Il lago Dal brilla e sulle sue acque senza onde c’è il mercato quotidiano con barche al posto di bancarelle e frutta e verdura dai molti colori. Ho la domenica libera, dopo aver bevuto  noon chai dal color rosa, affitto una jeep  e prendo la strada  che porta al Ladakh. L’autista fuma kashmiri bidi una dietro l’altra, ne fumo un paio anch’io. L’ aria gelida che entra dai finestrini aperti spazza via il fumo. Percorro un centinaio di chilometri di strada stretta lungo tornanti  che si inerpicano. A Baltal c’è la deviazione del sentiero per la grotta di Amarnath. Non ci sono cartelli stradali, me lo dice l’autista. Non vado oltre il passo Zoji dove finisce il Kashmir e inizia il Ladakh. Un’altro mondo da Srinigar e dintorni.                                                                

Ritorno a Bombay con il Ladakh in testa. Leggo e guardo foto del piccolo Tibet. I paesaggi sono fuori dal comune. Distese desertiche e rocciose con oasi di verde e  monasteri, i gompa.                                        

Un paio di mesi dopo devo andare in un cantiere della ferrovia Srinigar-Jammu per offrire assistenza tecnica per ingegneria del suolo. Terminato il lavoro ritornerò a Srinigar e prenderò l’aereo per Leh. Appena fuori Srinigar sul pendio di una collina dei ragazzi di un villaggio giocano a cricket. Non hanno divise per distinguere una squadra dall’altra, le mazze sembrano fatte in casa con legno degli abeti del vicino bosco. Hanno la palla, ma non i guantoni. Soldati armati sono gli spettatori. Il cricket in India è lo sport che unisce tutti dal Punjab al Kerala. Forse solo in Ladakh non si gioca.  Durante la riunione vengo informato che nella collina dove i ragazzi giocavano a cricket c’è stato uno scontro a fuoco tra militanti kashmiri e soldati indiani, con morti. Penso alla frase di Mughal Jahangir, citata da  Bhanu. A volte il paradiso si infiamma e diventa un inferno. La strada che conduce a Srinigar è bloccata dall’esercito. Non ho con me il passaporto, ma solo la carta d’identità italiana, buona in circostanze normali. Non posso rischiare un fermo fino a che recupero il passaporto. Possono trascorrere giornate. Raggiungo Jammu in qualche ora attraverso un paesaggio di valli verdi e montagne bianche per prendere l’aereo per Delhi. Il pezzo di Tibet in terra indiana, rimarrà, per me, un tentativo fallito di viaggio.                                                Francesco Cecchini, dal racconto Il Ladakh non raggiunto.                                               

 Comunque continuo a guardare e a leggere tutto ciò che riguarda il Ladakh. Per esempio leggo che l’ anno scorso mentre Jammu e Kashmir da territorio autonomo diventa India, però con un parlamento eletto, il Ladakh è direttamente governato dal governo centrale di Nuova Delhi, ma senza un proprio parlamento. Una decisione che ha infiammato ancora  di più il Kashmir, ma, nonostante il distacco dal Kashmir, ha lasciato, più o meno, indifferente il Ladakh, anche alcuni studenti se hanno celebrato una giornata dell’ indipendenza (sic!).

Ora il Ladakh è al centro dell’ attenzione.

Il 16 giugno, un violento scontro tra militari cinesi e indiani nel Ladakh ha provocato 20 morti indiani, non vi sono notizie di morti cinesi, la Cina non ha informato di nessuna vittima, ma un tweet, del direttore del Global Times, smentito dal governo cinese, parla di decine di morti. Le morti non sono state causate da armi da fuoco, ma da colpi di pietre e di mazze.

E’ il più sanguinoso conflitto con vittime fra Cina e India dal 1975, lungo un confine incerto per l’ esitenza di fiumi, laghi e neve che cade e si scioglie. La linea di confine fu tracciata nel 1914 dall’Inghilterra colonialista su mappe poco precise, inoltre  la zona è geomorfoligicamente difficile con montagne sopra i 5000 metri, il Nun Kun è alto 7135 m.

L’ origine è la  guerra sino-indiana dell’ottobre 1962 un breve, fu chiamata la guerra dei 30 giorni anche se furono un pò di più, ma il  conflitto fu intenso. Furono uccisi 1.383 soldati indiani e 722 cinesi; furono feriti 1.047 indiani e 1.697 cinesi e quasi 4.000 soldati indiani sono stati catturati. Molte delle vittime sono stati causati dalle dure condizioni a quell’ altezza piuttosto che dal fuoco nemico. Molti furono  morti per l’ esposizione al gelo, prima che i loro compagni potessero ottenere cure mediche per loro.

La guerra di fatto non si concluse, perché non fu firmato un trattatto di pace, ma solo un armistizio. L’ ultimo episodio di questa pluridecennale vicenda bellica è avvenuto quindi il 15 giugno 2020, nella valle himalayana di Galwan, dove il Ladakh conflna con l’Aksai Chin controllato dalla Cina. Una terra d’alta quota, ricca di ghiacciai.

Militari indiani e cinesi in Ladakh

Lo scontro del 15 giugno non viene, quindi, dal nulla ma è il frutto di un gioco di posizioni in corso da decenni, aggravato negli ultimi mesi dai presunti sconfinamenti cinesi e dal ripristino di un collegamento stradale, del 2008, da parte di Nuova Delhi, intenzionata a servire meglio e più in fretta il Ladakh, uno dei territori più remoti e meno accessibili dell’Himalaya indiano.

Anche se i rapporti economici sono importanti, tempo fa si parlava di Cinindia, probabilmente il loro confronto, anche armato, in Ladakh non terminerà. Ne sono prova le dichiarazioni di Subrahmanyam Jaishankar, ministro degi esteri indiano che subito dopo lo scontro ha dichiarato: “A Galwan c’è stata un’azione premeditata, pianificata dalla Cina, che è responsabile della sequenza degli eventi. Questo sviluppo senza precedenti avrà un grave impatto sulle relazioni bilaterali. Ora c’è bisogno che la Cina riveda le proprie azioni e intraprenda correzioni”.

Il  ministro degli Esteri cinese, Wang Yi ha così risposto: “L’India non deve sottovalutare la situazione e la ferma volontà della Cina di salvaguardare la sovranità territoriale”

India e Cina, quindi,  su fronti opposti, come nel lontano 1962. Forse anche grazie alla pandemia da coronavirus, che coinvolge entrambe le nazioni, vi sarà un abbassamento di parole e azioni, ma non definitivo.

Infatti il 23 giugno India e Cina hanno raggiunto un accordo per allentare le tensioni.  Giornali indiani, hanno parlato di “disimpegno” delle truppe dai punti di frizione dopo gli scontri nella valle di Galwan, con un accordo arrivato dopo undici ore di colloqui tra i generali dei due eserciti tenutosi ieri in una “cordiale, positiva e costruttiva atmosfera”. Stessi contenuti e toni da Pechino.

Mappa del Ladakh tra India e Cina

Conclusione. Il Ladakh terra di incroci strategici è sempre stato oggetto di invasioni da parte di Cina, Tibet, India e anche Pakistan. Rari sono stati i periodi di indipendenza, specialmente nei secoli XVI-XVII quando la dinastia Namgyel si impose. Sotto il re Sengge, il regno di Ladakh visse il suo apice, sia territoriale che culturale. Ma dopo molti furono gli episodi di occupazione. Una storia lunga secoli. Comunque va riaffermato, anche ora, che il Ladakh, per il suo popolo, la cultura e la storia non è né India, né Cina. La domanda, quindi, è: quando il Ladakh verrà lasciato in pace ?

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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