Riceviamo e pubblichiamo

di Franco Astengo

Carlo Galli, in conclusione di un suo intervento in ricordo del 250° anniversario della nascita di Hegel (Repubblica 25 agosto 2020) traccia i termini di una riflessione che vale la pena riprendere per intero: “Hegel, con la sua dialettica, è da tempo inattuale; benché abbia visto e pensato i grandi problemi della filosofia e della storia, la soluzione che avanza sembra oggi impraticabile: il mondo non sta tutto dentro alla filosofia. E’ questo il contrappasso di chi, come lui, non ha voluto essere migliore del proprio tempo ma ha insegnato a stare nel proprio tempo nel modo migliore”.

Eppure, dalla sua inattualità ci viene ancora un messaggio: di non credere né all’illusoria autosufficienza di ciò che è particolare né alla forza bruta dell’universale ragione strumentale che dileggia la dialettica per meglio dominare il mondo e gli uomini; e di opporre a entrambe la forza mobilitante se non dello Spirito almeno del pensiero critico”.

In questo modo l’autore pone (finalmente?) un interrogativo di fondo: quello del come ricostruire una possibilità di concreto esercizio del pensiero critico.

Mi piacerebbe poter definire un pensiero critico come recupero di un illuminismo progressista.

Per muoverci nella direzione appena indicata il primo atto da compiere allora sarà quello di rompere la gabbia della subalternità del pensiero verso la tecnica, ormai giudicata come”neutrale”.

In secondo luogo si tratterà di tornare all’articolazione che la storia ha sempre offerto al pensiero umano.

Negli ultimi tempi sembra entrato in crisi l’individualismo esasperato che ha caratterizzato fin dagli anni’90 un vero e proprio punto di “svolta” nell’elaborazione del pensiero umano.

Nel ritorno al “pensiero critico” si deve recuperare un punto nevralgico a partendo da una espressione di giudizio sul valore complessivo del “pubblico” rispetto al “privato”.

Ci sarà da riflettere sull’acquisizione di una nuova nozione di “senso del limite”.

L’idea del “senso del limite” ci arriva direttamente dallo stare vivendo “questa” tragedia epocale, ma non basterà neppure aprire questo livello di riflessione per giungere a un piano di elaborazione sulla quale poggiare una prospettiva di “pensiero lungo”.

Servirà una ripresa di costruzione dell’ideale.

Un ideale che rompa l’idea dell’ineluttabile soggezione all’esistente proponendo anche di riappropriarci del senso del limite, senza che ciò significhi ritorno all’indietro.

Si rovescia così l’impostazione hegeliana come tradotta da Galli: sarà necessario essere migliori del proprio tempo.

Sarà banale affermarlo ma l’ottimismo della volontà dovrà tornare a prevalere sul pessimismo dell’intelligenza.

Il rapporto tra cultura e politica accusa ormai da molti anni un ritardo particolarmente vistoso rispetto alle necessità dei tempi.

Un rapporto quello tra cultura e politica ormai uscito dalla richiesta di “organicità totalizzante” ma che, in compenso, è stato ridotto all’assemblaggio di un insieme di tecnicismi.

Ciò è avvenuto in diversi campi da quello accademico, per arrivare a quello istituzionale, economico e soprattutto della comunicazione laddove la politica appare ormai confusa con l’economicismo e il giurisdizionalismo astratto.

Si tratta invece di ripartire per una ricognizione di fondo, prescindendo dal proposito di sviluppare una “ricerca di parte”.

L’ambizione di questa ripresa di ricerca dovrebbe essere quella – prima di tutto – di intrecciare i diversi insegnamenti che ci vengono dalla storia della filosofia politica.

Il risultato dovrebbe essere quello di provocare una riflessione complessiva con il superamento delle settorializzazioni e degli schematismi oggi imperanti.

Schematismi che, alla fine, hanno danneggiato non soltanto la qualità degli studi e delle ricerche, ma soprattutto la qualità dell’“agire politico” privandolo della possibilità di costruzione /ricostruzione del “pensiero critico” e della dialettica di parte che ne è sempre stata la diretta conseguenza.

Nel compiere l’operazione intellettuale di ritorno alla dialettica il primo traguardo da indicare dovrà essere quello di ricostruire una sorta di percorso nella storia del pensiero politico, cercando di riassumerne le fasi più importanti, individuare i passaggi al fine di orientare l’idea di una dialettica possibile.

L’esigenza di ricercare questo equilibrio tra “storia del pensiero politico” e realtà “dell’agire politico”, deve nascere dal ritorno alla convinzione che il pensiero politico sia un “pensiero concreto”.

Un pensiero politico coinvolto attivamente nel mondo, sia come critica dell’esistente, cioè come de-costruzione / costruzione, cioè come progetto di edificare un ordine migliore, ovvero rispondente a criteri di legittimità diversi da quelli dell’ordine presente.

Servirà legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che il pensiero politico non si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le medesime categorie.

Insomma, è necessario mettere in rilievo che la concretezza del pensiero politico consiste proprio nel fatto che esso aderisce alle drammatiche discontinuità dell’esperienza storica, e anzi le riconosce, le interpreta, le mette in forma.

Sarà importante anche sottolineare la coesistenza della storia con la geografia del pensiero, rivolgendosi quindi all’illustrazione tanto dell’evolversi delle tradizioni intellettuali che innervano la riflessione politica quanto alle specificità, rilevanti e riconoscibili, con cui ciascuna delle grandi aree geografiche le ha sviluppate e interpretate.

Occorre mostrare, come, di volta, in volta nel corso della storia si sia strutturato quello spazio nel quale si sono attuate le relazioni tra i sistemi politici; la globalità nelle scelte, il rapporto tra la politica e la guerra (o la pace), la relazione fra l’ordine interno e l’ordine (o disordine) esterno.

Si deve avere fiducia nell’importanza e nell’efficacia formativa della storia del pensiero politico, nel suo senso più vasto, lavorando per costruire strumenti che ci mettano in grado di decifrare i momenti di crescita e di crisi, di dramma e di trionfo, di chiusura localistica e di apertura universale della nostra civiltà intellettuale e politica.

Sarà necessario accingersi ad affrontare la complessità assolvendo a un compito di vero e proprio recupero di cognitività rispetto al quale, dal mio modestissimo punto di vista, ben pochi altri compiti possono essere giudicati più importanti e affascinanti .

Un lavoro da cui deve sortire la riattualizzazione nella capacità di individuazione della qualità delle contraddizioni sociali favorendo così l’elaborazione di una teoria del cambiamento all’altezza del presente e del futuro.

Una teoria del cambiamento che appare indispensabile per affrontare ancora il senso dei nostri inalterabili richiami storici alla relazione tra democrazia e uguaglianza e all’evocazione di un adeguato concetto di progresso morale, sociale, economico evitando le trappole di cui appare disseminato il futuro.

Ricostruire l’idea di progresso: questa appare essere oggi la sola sintesi possibile per indicare la necessità e l’urgenza di aprire un discorso molto difficile in questo momento di apparente invisibilità dell’orizzonte

Di AFV

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