Prego i compagni di prendere visione dei documenti allegati: sono materiali riguardanti l’esposizione allestita dal nostro paese in Pakistan.

Da che tipo di gente proviene questa animosità così forte contro la Cina? Quanti sono quelli che la fomentano? Sono gli imperialisti di alcuni paesi occidentali, i reazionari e semireazionari di taluni paesi, i revisionisti e semirevisionisti che si annidano nel movimento comunista internazionale. A voler calcolare in percentuale sull’umanità intera l’ammontare complessivo di questi tre gruppi, si dovrebbe forse parlare d’un 5 per cento, al massimo d’un 10 per cento, non di più. Ebbene, ipotizzando che su cento uomini dieci siano contro di noi, risulterebbe che su 2.7 miliardi d’individui, nel mondo intero ci sarebbero avversi solo 270 milioni. Ci sosterrebbero, invece, 2.43 miliardi di persone che non hanno sentimenti a noi ostili o che solo per breve tempo hanno manifestato dubbi nei nostri confronti in quanto ingannate dal nostro nemico.

Stando a questi fatti, la situazione presenta oggi spiccate somiglianze con quella della Cina prima del 1949. Il Kuomintang proclamava ai quattro venti che il Partito Comunista Cinese ammazzava senza pietà, estorceva tutto a tutti, si riprometteva di porre ogni cosa in comune, donne comprese. La maggior parte della gente rifiutava di crederci, una parte ne dubitava. Dopo qualche tempo “rifulse la verità in tutta la sua purezza”. Il Partito Comunista Cinese fu considerato come il partito più disciplinato e moralmente sano di tutti, la cui linea e la cui politica rispondevano meglio alle attese del popolo, mentre il Kuomintang fu bollato come il peggiore dei partiti. Nel nostro popolo, che conta 650 milioni d’individui, coloro che sono di fatto anticomunisti ammontano tutt’al più al dieci per cento, vale a dire a non più di 65 milioni, mentre ben 585 milioni ci sostengono o al massimo nutrono ancora qualche dubbio nei nostri confronti. La situazione del Pakistan è esattamente di questo genere e lo stesso si dica dell’India: di realmente ostile alla Cina non v’è che un pugno d’uomini. All’esposizione di Nuova Delhi i padiglioni agricoli di tutti i paesi furono inaugurati all’insegna di sentimenti anticinesi straordinariamente aspri; ebbene, che cosa è successo? Le masse popolari che hanno visitato lo stand cinese hanno raggiunto la considerevole cifra di 3.5 milioni, ben superiore a quella dei visitatori dei padiglioni agricoli di tutti gli altri paesi.

Esorto dunque i compagni ad analizzare tre gruppi di persone: gli imperialisti dei paesi occidentali; i reazionari e semireazionari di altri paesi; i revisionisti e semirevisionisti del movimento comunista internazionale.

In primo luogo, sono gruppi assai ridotti di numero; in secondo luogo, i loro sentimenti anticinesi non ci torcono nemmeno un capello; in terzo luogo, i loro sentimenti anticinesi devono rinsaldare la solidarietà di tutto il partito e di tutto il popolo, fomentare il valore e il coraggio necessari al conseguimento di quella che è la nostra meta incondizionata: raggiungere e superare in campo economico e culturale i paesi occidentali evoluti. Infine, è certo che finiranno col farsi cadere sui propri piedi il macigno che hanno tentato di sollevare, così da smascherarsi, con il loro brutto ceffo, agli occhi degli onesti e cioè agli occhi di oltre il 90 per cento degli uomini. Le loro manifestazioni di sentimenti anticinesi sono qualcosa di positivo e non di negativo per noi: sono una riprova che noi siamo autentici marxisti-leninisti e, inoltre, che non abbiamo compiuto troppo male il nostro lavoro. Sono qualcosa di brutto, invece, un segno infausto per loro. Non appena si diede all’anticomunismo, Chiang Kai-shek conobbe continue delusioni; nel
1946 passò all’attacco con tutte le sue forze: trascorsero appena tre anni e mezzo e il popolo gli inflisse una sconfitta totale. È in cose come queste che il popolo si riconosce. Gli stranieri che si rivelano oggi come anticinesi devono limitarsi a gettarci un po’ d’insulti in faccia, ma non possono muovere un dito contro di noi; se mai vi si azzardassero, non sfuggirebbero nemmeno essi alla sorte toccata a Chiang Kai-shek, a Hitler e a Toyo Hideki. Vorrei che i compagni riflettessero semplicemente su questo: se la gente che in tutto o in parte ci vuol male e che abbiamo valutata a un 10 per cento, non fosse più anticinese, ma al contrario difendesse la Cina e le fosse alleata, se questi individui fossero d’accordo con noi e facessero spreco di buone parole nei nostri confronti, forse ne risulterebbe mutata la nostra posizione? Volteremmo forse le spalle al marxismo-leninismo e diventeremmo revisionisti, voltando le spalle al popolo?

Ma tutto il mio discorso ha un altro aspetto ancora. I malevoli, totali o parziali, i loro sentimenti anticinesi non li manifestano in tutte le nazioni, ogni santo giorno, ma a intervalli di tempo. Quando vi è un argomento che gliene offra il destro, lo colgono per ripresentarsi in veste di anticinesi (ad esempio, la questione del Tibet [1] o quella dei confini cino-indiani [2]). Ma non sono argomenti sfruttabili in eterno contro la Cina: un bel giorno ne rimarranno pur privi. Del resto, il 90 per cento della gente non presta fede a costoro ed essi nel mettersi quotidianamente contro la Cina si pongono su di un terreno sempre più infido. Il contrasto tra gli USA e noi è ancora di notevoli proporzioni; eppure nemmeno gli americani possono spendersi generosamente ogni giorno nella campagna anticinese: anche loro devono prendersi delle vacanze.

Questa è, oltre tutto, la ragione per cui la gente trova rivoltante che si prendano senza motivo presuntuose posizioni anticinesi, prima e dopo i pasti: lo spaccio perde clienti e non resta altro che chiuder bottega! Se, dopo qualche tempo, si presenta un nuovo tema o argomento propizio, ecco una reviviscenza della campagna anticinese. Per ora gli intervalli sono relativamente brevi, mentre in futuro saranno sempre più lunghi: ma ciò dipende dal modo in cui svolgeremo il nostro lavoro. Se, ad esempio, stringiamo in reale e reciproca solidarietà tutto il partito e tutto il popolo, creando una vera unità, i volumi complessivi della nostra produzione nei settori principali e della produzione media pro capite si avvicineranno ai risultati ottenuti dai nostri avversari e finiranno anzi col superarli: si avrà allora un intervallo più esteso delle ostilità. Si può perfino pensare sin d’ora che il nostro successo costringerà gli USA a stabilire rapporti diplomatici e relazioni commerciali paritetiche con noi, per non restare isolati.

Abbiamo a nostra disposizione le esperienze positive dell’Unione Sovietica da tener presenti. Nei decenni scorsi l’antisovietismo non ha prodotto il minimo risultato positivo per i suoi fautori. L’ascesso antisovietico più brutale fu l’aggressione armata contro l’URSS, intendo soprattutto quella, assolutamente folle, scatenata da Hitler durante la Seconda guerra mondiale: la disfatta che subì l’aggressore fu tanto più miserevole.

Vorrei perciò esortare i compagni a meditare sui nostri compiti e sul nostro lavoro alla luce del materiale relativo al Pakistan e ciò nel contesto di una più ampia riflessione sul carattere e sul significato del cosiddetto problema dell’animosità anticinese, al fine di compiere i preparativi necessari per essere pronti ad affrontare il fenomeno di cui abbiamo parlato e cioè il fenomeno del 10 per cento della popolazione mondiale che ci sarà contro a lunga scadenza, ma a intervalli sempre più lunghi. Parlando “di lunga scadenza” intendo per lo meno dieci anni, ma non si può escludere che si debbano mettere in conto addirittura gli ultimi quattro decenni del secolo ventesimo. Se ci lasciano quarant’anni di tempo, la situazione mondiale sarà possentemente trasformata. La maggioranza, la stragrande maggioranza di quel 10 per cento di persone a noi ostili in tutto o in parte sarà abbattuta con la massima probabilità dal popolo del paese di cui fa parte. Allora, con tutta probabilità, avremo in media una tonnellata di acciaio per persona, ci saranno da 3.000 a 4.000 chin di cereali e di foraggio pro capite; la maggioranza della popolazione nel campo della cultura e dell’istruzione dovrebbe aver raggiunto un livello universitario. Allora lo stato di coscienza politica e il livello teorico degli uomini saranno sostanzialmente più elevati di oggi; con grande probabilità l’intera società umana compirà allora il passaggio alla società comunista. Il nocciolo di tutti i problemi insomma sta nella nostra stessa capacità di essere solidali e di affrontare e svolgere con successo il nostro lavoro.

NOTE

[1] Il 17 marzo del 1959 le forze feudali tibetane, sostenute dagli imperialisti, dai reazionari indiani e dai revisionisti sovietici si rivoltarono contro il governo della Repubblica Popolare Cinese. La rivolta venne soffocata e il Dalai Lama fuggì in India.

[2] Nel 1959 su sollecitazione degli imperialisti e dei revisionisti sovietici il governo indiano assunse un atteggiamento sempre più reazionario all’interno (il 31 luglio sciolse il governo e l’Assemblea legislativa del Kerala dove i comunisti erano in maggioranza) e anticinese in politica estera. Alla fine dell’agosto del 1959 le truppe indiane lanciarono un attacco contro le guardie di frontiera cinesi, sulla base di una contesa sulle frontiere che andava persino oltre quanto i colonialisti britannici avevano strappato all’impero cinese con i trattati ineguali dal 1840 al 1949. L’attacco fu rapidamente respinto dalle truppe cinesi che però non oltrepassarono il confine cino-indiano nonostante le truppe indiane fossero in rotta.

CLICCA QUI PER LA PAGINA FACEBOOK

Giulio Chinappi – World Politics Blog

Di Giulio Chinappi - World Politics Blog

Giulio Chinappi è nato a Gaeta il 22 luglio 1989. Dopo aver conseguito la maturità classica, si è laureato presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, nell’indirizzo di Scienze dello Sviluppo e della Cooperazione Internazionale, e successivamente in Scienze della Popolazione e dello Sviluppo presso l’Université Libre de Bruxelles. Ha poi conseguito il diploma di insegnante TEFL presso la University of Toronto. Ha svolto numerose attività con diverse ONG in Europa e nel Mondo, occupandosi soprattutto di minori. Ha pubblicato numerosi articoli su diverse testate del web. Nel 2018 ha pubblicato il suo primo libro, “Educazione e socializzzione dei bambini in Vietnam”, Paese nel quale risiede tuttora. Nel suo blog World Politics Blog si occupa di notizie, informazioni e approfondimenti di politica internazionale e geopolitica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.
Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy