Adesso si scusa, ma l’ha detto. E per questo si scusa, perché la verità in alcuni casi deve essere taciuta, non si può sputtanare a tutto spiano il sistema economico che ti sostiene. Anche politicamente. «La ragione per cui abbiamo il successo del vaccino è grazie al capitalismo, grazie all’avidità, amici miei», ha garantito Boris Johnson al Comitato 1922 dei Tory. Dimenticatela, perché rischia di dare ragione a noi comunisti quando ribadiamo che nulla sfugge alla trasformazione in merce nel capitalismo. E’ la natura del sistema, una delle sue fondamentali caratteristiche: sfruttamento della forza-lavoro, produzione immane di merci e acquisizione di sempre maggiori quantità di profitti. Profitti, quindi cumuli di soldi privati, irreversibili in questo loro essere tali e sottratti alla ricchezza pubblica.

Mario Draghi, con la compassata eleganza del banchiere internazionalmente riconosciuto, stimato e apprezzato dai potenti delle grandi centrali di gestione delle crisi del capitale, fa una dichiarazione che, comparata a quella del primo ministro britannico, pare quasi “di sinistra“: l’evidenza manifesta delle decine di milioni di dosi del vaccino AstraZeneca ad Anagni stipate e pronte ad essere esportate oltre i confini degli Stati dell’UE, ha indispettito il nostro Presidente del Consiglio che critica le multinazionali del farmaco, si appella alla Commissione europea con cui condivide una linea di blocco delle esportazioni per l’azienda anglo-svedese.

Mutuando Johnson, bisognerebbe chiosare che «E’ il capitalismo, bellezza!». La produzione dei vaccini è, da un lato sovra produzione per i paesi ricchi (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Israele, pure alcuni Stati europei come Germania e Francia…) e quindi forniture in eccedenza, causa di una eccessiva prudenza politica dei governi che sanno molto bene cosa si giocano nella partita delle vaccinazioni di massa contro il Covid-19; dall’altro lato è l’impossibilità di reperire qualunque vaccino creato fino ad oggi sia per la guerra stessa che i poli economico-politico-statali si fanno, sia per indisponibilità finanziarie di Stati che a mala pena si tengono insieme grazie a prestiti usurai di altre potenze emergenti e delle organizzazioni internazionali del commercio e del controllo (si fa per dire) della lealtà dei rapporti concorrenziali.

Insomma, Boris Johnson ha pienamente ragione: l’avidità propria del capitalismo consente ai ricchissimi paesi occidentali di avere in sovra abbondanza vaccini, dispositivi medici di protezione dal virus, siringhe e anche ventilatori polmonari per le terapie intensive, per affrontare i casi più gravi generati dal Covid-19. Altrove invece, dove nessuno può essere avido, si muore disperatamente, dimenticati dal mondo, nonostante le elemosine del progetto “Covax“, una devoluzione di quantitativi di vaccini destinati esclusivamente alla parte indigentissima del pianeta.

Nel corso del Novecento, soprattutto nella seconda metà post-bellica, il ricco Occidente capitalistico, capitanato dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, si è ulteriormente sviluppato grazie anche ad un aumento del debito dei paesi poveri e, nonostante abbia tentato ipocritamente di mostrarsi interessato alla sorte delle popolazioni del cosiddetto “terzo mondo“, niente altro ha fatto – seguendo alla lettera la natura del capitalismo – se non aggravarne la condizione di pauperismo endemico, strutturale.

Gli organismi come il FMI che, secondo la missione che si erano dati, avrebbero dovuto gestire le crisi globali di una economia instabile per condizione innata, a partire dagli anni ’70 – come osserva oculatamente Samir Amin – non hanno impedito questa forma di imperialismo delle grandi potenze sfruttatrici e si sono limitati ad osservare l’andamento dei mercati, eludendo completamente il loro ruolo fondamentale e imprescindibile per la stessa stabilità del sistema criminale del profitto e delle merci: il contenimento dei debiti pubblici.

La guerra modernissima dei vaccini, nel biennio pandemico attuale, non fa che ricalcare passo passo ciò che è avvenuto nel corso dei decenni finali del secolo scorso: un controllo tutelare delle grandi economie pubbliche, sostenendo ogni forma di espansione geopolitica (leggasi: guerre e occupazioni militari nel nome della fine di dittature e tirannie e dell’”esportazione della democrazia“!) a tutto scapito di zone già largamente depresse del pianeta. Dalle “primavere arabe” dell’Africa mediterranea alle instabilità asiatiche e mediorientali.

Tutto si tiene e si tiene anche molto bene: la fase sovranista ha per un certo momento garantito gli estremisti del protezionismo liberista, spaventati dalla incontrollabilità della globalizzazione, dal fermento economico dell’ipersviluppo cinese e del suo puntare ad investire sempre più in determinate zone dell’Africa, fino alla nuova minaccia russa nei confronti dello spettro geopolitico che va dal Baltico alla violenta guerra civile siriana, lambendo i confini degli interessi statunitensi nell’area dell’Arabia felix di un tempo.

Pertanto, quelli che Samir Amin chiamava “i mandarini del capitale globale“, oggi si ripropongono come amministratori della fase liberista e, segnatamente nel momento di crisi economica e sanitaria insieme (oltre che politica ed istituzionale, mai così manifestatamente tale dai tempi del cosiddetto “salvataggio dell’Euro” da parte di Draghi…), di regolatori del mercato dei vaccini, sulla pelle di miliardi di persone indigenti che restano senza protezione contro il Covid-19, mentre in Canada ne hanno a sufficienza per almeno cinque richiami per l’intera popolazione…

Senza prescindere dalla caratteristica propria del capitale di generare crisi di sovrapproduzione che finiscono con l’impantanarsi in una stagnazione economica consequenziale, è bene osservare che anche la “sovrastruttura” statale ci mette un po’ del suo nel non agevolare, a volte, la voracità dei mercati che, incentivati ad espandersi, non conoscono freni. L’Europa di Ursula von der Leyen ha elaborato un piano di acquisizione dei vaccini multipolare, per così dire: dagli USA il preparato di Pfizer-Biontech e Moderna, da Gran Bretagna e Svezia quello di AstraZeneca e, ultimo ma non ultimo il vaccino di Johnson&Johnson. Le big-pharma non solo hanno sovrastimato le potenzialità produttive dei loro stabilimenti, ma nella fase di distribuzione hanno direzionato le spedizioni dei vaccini laddove erano certe di essere prima e meglio pagate.

La crisi di sovrapproduzione qui è talmente palese, talmente cercata e volontaria da sovvertire quasi le leggi economiche anarchiche del mercato stesso. La risposta compulsiva all’accelerazione delle ondate pandemiche che hanno investito quasi tutti continenti del pianeta, ma in particolare l’Europa, è stata tanto imprevedibile quanto ingestibile nel suo esprimersi sempre più su vasta scala.

La domanda e l’offerta si sono scontrate in un gioco al massacro per i popoli di mezzo mondo, sostenute entrambe dall’avidità politica di accaparramento dei vaccini, per la stabilità istituzionale dei governi, e dalla convulsa sistemazione dei conti aziendali davanti agli indici di borsa e ai dividendi degli azionisti. La scienza medica, in tutto questa baraonda di cifre e di vittime innocenti, ha sperimentato molto ma ha anche sentito tutta la pressione di un sistema economico che mortifica ogni intelligenza e ogni scoperta e la riconduce al mero ruolo di merce di scambio.

Boris Johnson è stato sincero. Ringraziamolo e biasimiamolo per le scuse. Non ci si scusa mai se si dice la verità.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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