Il presidente messicano ha restituito le terre al popolo Yaqui, ma restano ancora molte questioni irrisolte circa i diritti dei popoli indigeni e dei migranti che attraversano il Messico per raggiungere gli Stati Uniti.
Lo scorso 30 ottobre, il presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, ha firmato uno storico decreto con il quale ha restituito quasi 30.000 ettari di terre ancestrali che erano state sottratte alla comunità indigena del popolo Yaqui. Le terre in questione si trovano nello Stato di Sonora, nel nord-vest del Paese, che costituiva la terra nativa del popolo Yaqui insieme ad alcune aree dell’Arizona, oggi facenti parte degli Stati Uniti.
L’iniziativa di López Obrador, seppur meritoria, rappresenta in realtà la prosecuzione di un decreto firmato negli anni ‘30 del secolo scorso dall’allora presidente Lázaro Cárdenas, che nel complesso aveva assegnato al popolo Yaqui oltre 490.000 ettari di terra. La risoluzione, tuttavia, era stata applicata solamente in parte, ed il decreto di AMLO ha posto definitivamente fine alla disputa tra il popolo Yaqui e il governo messicano.
Questo “è un tributo a tutti coloro che hanno perso la vita, coloro che hanno combattuto nella rivoluzione messicana per la giustizia, la libertà, la democrazia e la sovranità nazionale”, ha affermato il presidente messicano al momento della firma del decreto. Alle parole del capo di Stato ha fatto eco anche il governatore Alfonso Durazo Montaño, che ha proposto un progetto per il rifacimento delle strade che collegano i centri abitati dove vive il popolo Yaqui. Governatore dello Stato di Sonora dallo scorso anno, Durazo Montaño appartiene allo stesso partito del presidente, il Movimiento Regeneración Nacional (Morena), che ha tra i propri obiettivi proprio il ripristino dei diritti dei popoli indigeni.
Indubbiamente, l’attuale governo messicano si sta mostrando più sensibile rispetto ai governi precedenti quando si tratta di far rispettare i diritti dei popoli originari. Secondo i dati ufficiali, circa il 19,4% della popolazione messicana, pari a 23,2 milioni di persone, appartiene ad un gruppo etnico indigeno, ma questa percentuale supera il 60% in alcuni Stati come Oaxaca (69%) e Yucatán (65%). Tuttavia, alcune comunità, come quelle proprio dello Yucatán, si oppongono fortemente al progetto voluto dal governo del Tren Maya, una ferrovia interurbana di 1.525 chilometri in Messico che attraverserà la penisola, e che dovrebbe essere completata nel 2024 al fine di sviluppare il turismo in quest’area del Paese.
Oltre alla questione dei popoli indigeni, il governo messicano deve gestire anche un’altra questione molto difficile come quella delle migrazioni. Il Messico è generalmente un Paese di transito delle carovane migratorie che si dirigono verso gli Stati Uniti dalle repubbliche dell’America centrale, ma le politiche anti-immigrazione dell’ex amministrazione di Donald Trump e dei governatori repubblicani hanno scaricato gran parte del problema proprio sulle autorità messicane. Inoltre, alcune carovane sono partite anche dallo stesso Messico, in particolare dal Chiapas e da altri Stati poveri e rurali. Solamente nel 2021, il Customs and Border Protection Office (CBP) degli Stati Uniti ha rilevato oltre 1,7 milioni di migranti privi di documenti al confine con il Messico.
I flussi migratori rappresentano anche una grande occasione di affari per le organizzazioni criminali messicane, che si danno alla tratta di esseri umani, promettendo l’ingresso negli Stati Uniti dietro lauti pagamenti. Per far fronte all’aumento del flusso migratorio e all’attività dei gruppi criminali, inoltre, il Messico ha rafforzato la presenza delle forze dell’ordine e dell’esercito lungo le tratte, ma questo ha creato un circolo vizioso, portando molti migranti a ricorrere a mezzi sempre più pericolosi e illegali per attraversare il territorio messicano e proseguire il loro viaggio verso gli Stati Uniti.
Come anticipato, la questione migratoria rappresenta anche un forte fattore di attrito tra Messico e Stati Uniti. Il governatore repubbicano del Texas, Greg Abbott, ha recentemente affermato di voler fare appello alle clausole di invasione per militarizzare il confine e bloccare gli accessi. Tali propositi sono stati prontamente respinti dal governo messicano, secondo il quale una tale misura interferirebbe nelle azioni di controllo dell’immigrazione e delle frontiere tra i due Paesi. Secondo una dichiarazione del ministero degli Affari Esteri messicano, l’applicazione delle leggi sull’immigrazione, il controllo delle frontiere e la negoziazione di accordi internazionali negli Stati Uniti sono competenze esclusive del governo federale, e non del governo di un singolo Stato federato come il Texas. In pratica, il governo messicano ha affermato di riconoscere unicamente il governo federale statunitense come interlocutore legittimo sulle questioni migratorie.
Secondo molti osservatori, le dichiarazioni di Abbott avrebbero in realtà un intento unicamente propagandistico, visto che il governatore texano viene considerato come un possibile candidato repubblicano alle presidenziali del 2024. Il Messico ha comunque chiesto al governo del Texas di non interferire nei rapporti tra i due governi centrali circa la gestione dei flussi migratori e di preoccuparsi piuttosto di garantire il rispetto dei diritti dei numerosi cittadini messicani residenti nel territorio dello Stato: “Il governo del Messico ribadisce il suo impegno per la protezione dei messicani che si trovano all’estero, quindi la rete dei consolati nello stato del Texas sarà attenta alla violazione dei loro diritti da parte di qualsiasi autorità“, ha avvertito il comunicato del ministero degli Esteri, concludendo che il Messico continuerà a lavorare per ottenere una migrazione più ordinata, sicura e umana.
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Giulio Chinappi – World Politics Blog