Gabriele Germani

Per capire i cambiamenti avvenuti nell’economia-mondo e nel capitalismo globale durante il ‘900, basta fare tre nomi di città: Detroit, Wolfsburg, Torino. Il primo per Chrysler; il secondo per Volkswagen, il terzo per FIAT.

I cambiamenti nel capitalismo globale

L’industria automobilistica: il suo portato è enorme sui consumi individuali e sullo stile di vita della massa, sull’aria che tutti respiriamo e sull’indotto.

Per capire i cambiamenti avvenuti nell’economia-mondo e nel capitalismo globale durante il ‘900, basta fare tre nomi di città: Detroit, Wolfsburg, Torino. Il primo per Chrysler; il secondo per Volkswagen, il terzo per FIAT.

Queste città un tempo centri nevralgici del sistema produttivo mondiale, oggi sono ridotte a ruoli di secondo piano, in affanno rispetto a un nuovo modello di capitalismo e alla concorrenza.

Tre aziende, simbolo dell’intervento (e della protezione) statale. L’automobile stessa era un simbolo: il possesso di un’automobile trasformava l’operaio, in piccolo borghese.

Diventavano accessibili per il grande pubblico nuove spese, nuove esigenze, nuove possibilità di intrattenimento, persino nuovi modi di sedurre o di accoppiarsi (in automobile appunto), l’orizzonte spaziale si allargava.

I governi per gonfiare la domanda costruivano autostrade, ponti, investivano in sicurezza, aree di sosta, autogrill, benzinai.

Lo Stato creava la domanda (con posti di lavoro), le fabbriche assumevano altri lavoratori, l’azienda vendeva, i lavoratori guadagnavano e spendevano.

Era il capitalismo keynesiano della produzione “dura”, in fabbrica (molto dura, gli scioperi erano spesso piegati da crumiri e picchiatori) e del benessere diffuso dalla culla alla tomba, delle prime ragazze in minigonna e delle sigarette accese negli ospedali e nei cinema, come nulla fosse (Keynes stesso creò il motto: “Nel lungo periodo saremo tutti morti”; tanto vale godersela).

Furono decenni d’oro, si aveva l’impressione di non poter morire: la pubblicità diventava pervasiva, i benestanti (e coraggiosi) cominciavano a girare il mondo su aerei con zero controlli di sicurezza, si poteva trasportare di tutto (furono i primi attentati spinti dalla Libia e dall’OLP a cambiare in parte il corso, ma il vero colpo arrivò con l’11 settembre).

Il sistema sociale per sua natura repressivo, mostrava l’orco (nei confronti di minoranze o dissidenti, poco raccontanti, se non con alone mitologico, che li rende irreali e romantici ormai) e la fata dei desideri.

Fu una grande ubriacatura ideologica mista di liberazione e libero mercato che inebriò tutti, persino la sinistra, persino i comunisti.

Gli anni ’70 segnarono un po’ la svolta, per la prima volta le automobili furono guardate con sospetto, pian piano arrivarono gli ecologisti, la difesa degli animali, le domeniche ecologiche.

I ragazzini degli anni del boom non erano più solo i ragazzini che correvano nei campi, con un padre un po’ assente con un lavoro parastatale e una madre che cercava di entrare nel mondo del lavoro e rivendicare una propria vita.

In sequenza: fine della convertibilità del dollaro in oro, shock petrolifero, socialismo nelle ex colonie portoghesi, sandinisti in Nicaragua, cacciata dello scià, sconfitta USA in Indocina e socialismo di mercato in Cina, Laos e Vietnam.

La ricreazione era finita, bisognava rientrare nei ranghi.
Non si fanno compromessi col diavolo e nemmeno col capitalismo.

Quattro decenni di keynesismo, sei decenni di rivoluzione russa e la decolonizzazione dagli anni ’60, aveva creato il mondo più eguale di sempre. La fine degli anni ’70, fu il momento di minor disparità tra ricchi e poveri.

Sappiamo come andò a finire: finanziarizzazione e neoliberismo per tutti, con distruzione del tessuto produttivo industriale europeo e nord americano.

Non esistevano più operai e settore automobilistico, ma piccoli imprenditori da spremere con tasse, che media ideologici ribadivano continuamente essere mal spese per mantenere in piedi settori ormai non competitivi (vedi l’automobilistico di cui sopra).

Il vecchio capitalismo erano più automobili, più autostrade, più sigarette, più aerei, più discariche (sempre di più, bevete più latte!)

Il nuovo capitalismo è più voli a basso prezzo, più serie tv, più velocità, più trasparenza: il capitalismo dell’informale o cognitivo, lo ha chiamato qualcuno.

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Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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