Crisi secca della Linke; scissione di Syriza; deriva rosso – bruna in Italia, difficoltà di Podemos: la sinistra radicale o d’alternativa pare soffrire , a livello europeo, di una discesa di apparentemente inarrestabile nella capacità di esprimere un’elaborazione autonoma tale da produrre aggregazione e organizzazione.

Una difficoltà non definibile sul piano identitario ma di vero e proprio smarrimento.

Tutti soggetti, quelli citati come altri, che sono stati molto influenzati dall’approccio movimentista no-global evidenziatosi soprattutto – nell’occasione del G8 di Genova (2001) ; un approccio quello movimentista che ha anche contribuito (sia pure parzialmente) alla crisi della socialdemocrazia arretrandone settori sulla semplice frontiere della “radicalità” e impedito di vedere i processi di scomposizione e frammentazione operati in lunghi anni di riorganizzazione del capitale e del suo sistema. Ci troviamo così in una situazione di molteplicità di soggetti antagonisti privi di un punto di riferimento egemonico, attirati nelle indeterminatezze delle teorie della “moltitudine” o nella rivalutazione del populismo e della “sovranità”. In un quadro simile la responsabilità dell’espressione di un pensiero politico come elemento riunificante è ancora maggiore rispetto al passato. Nello stesso tempo è impensabile che si possa procedere attraverso l’elaborazione in ambiti ristretti per incontrare il grande fiume dei movimenti che pure si stanno esprimendo sulle più grandi piazze d’Europa, come è stato nel caso dell’appoggio alla causa palestinese, tanto più che il vero tema all’ordine del giorno è quello della “sconnessione” dalla politica.

Le cronache ci assalgono e ci stringono alla gola mentre cerchiamo di individuare la verità, descriverla, farne oggetto di una “critica sociale” da rendere collettiva: la guerra che spazza via intere regioni del mondo, il “privato” che ci deruba di beni che dovrebbero risultare essenziali come l’acqua e l’ambiente naturale; la violenza esercitata a tutti i livelli, dai singoli agli Stati, per sopraffare i più deboli; la differenza di genere usata come esercizio di un improprio dominio; la costrizione del bisogno che impone ai migranti di fuggire dalle loro terre per incontrare l’ignoto; la mistificazione del messaggio che viene dai “media” e cerca di farci intendere che viviamo in un mondo diverso da quello reale; l’intrusione dell’etica nella vita delle persone costrette a subire coercizioni morali nell’esercizio della vita quotidiana, nella gestione dei propri corpi, nella realtà dei minuti rapporti sociali, primi fra tutti quelli familiari.

Ogni giorno brancoliamo nel buio di una ricerca senza fine, angosciati sempre e comunque da un presunto “nuovo” che avanza, cui dare risposta, cambiando le forme della nostra azione, adattandole a quelle degli schemi dominanti, incontrando chi afferma che tutto sta cambiando e ci fa guardare dentro ai nostri fallimenti, nascondendo la realtà drammatica dell’insieme della “commedia umana” regolata da apparentemente inscalfibili rapporti di forza: i rapporti di forza che derivano proprio dalla perdurante egemonia dello sfruttamento.

Cartesio scriveva che bisogna avere idee “chiare e distinte”: ebbene in questo coacervo di contraddizioni al riguardo delle quali fatichiamo ad individuare priorità, strumenti lotta, ricerca di soluzioni cerchiamo di ritrovare la chiarezza delle nostre nozioni di fondo.

Considerare la persona, un mezzo e farne oggetto di uno “scambio” da esercitarsi, in dimensione gigantesca, su tutta l’umanità: questa la logica dello sfruttamento, da superare quale obiettivo vero della Liberazione.

Non intendiamo seguire l’idea che il concetto di modernità possa tradursi, semplicisticamente, come idea della “modernizzazione” conseguente all’irrompere di “novità” nelle scienze, nella tecnologia, nelle multiformi espressioni della cultura .

In questo modo, come si è già cercato di far rilevare, si chiarisce l’altra faccia della modernità , il suo contraddistinguere un’età intrinsecamente dinamica che alla fine provoca smarrimento e confusione.

Il punto di partenza deve essere quello del non arrendersi alla filosofia della “fine della storia” cercando ancora una volta con tenacia, di introdurre nell’arena del conflitto l’idea di una volontà egemonica che rinnovi – appunto – la discontinuità storica rispetto all’astrazione rappresentata dalla modernità capitalistica.

Di Franco Astengo

Lunga militanza politico-giornalistica ha collaborato con il Manifesto, l'Unità, il Secolo XIX,. Ha lavorato per molti anni al Comune di Savona occupandosi di statistiche elettorali e successivamente ha collaborato con la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Genova tenendo lezioni nei corsi di "Partiti politici e gruppi di Pressione", "Sistema politico italiano", "Potere locale", "Politiche pubbliche dell'Unione Europea".

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