Paolo Arigotti

Esiste una frase che molti analisti e giornalisti amano ripetere: Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente.

Da quelle parti, eccezion fatta per la “cleptocrazia” libanese, l’unica nazione che si avvicinerebbe (forse) agli standard democratici occidentali sarebbe la Turchia, dove però esiste una minoranza perseguitata, quella curda, che potrebbe fornire qualche spunto per un possibile confronto col caso israeliano.

Mettendo da parte ogni facile polemica, prima di tutto sarebbe necessario stabile cosa si intenda per “democrazia”, per poi applicare il concetto al caso concreto.

L’enciclopedia Treccani[1] definisce democrazia qualunque “forma di governo in cui il potere risiede nel popolo, che esercita la sua sovranità attraverso istituti politici diversi; in particolare, forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza”. Lo stesso dizionario contiene anche la definizione di “democratura”, neologismo riferito a un “regime politico improntato alle regole formali della democrazia, ma ispirato nei comportamenti a un autoritarismo sostanziale”[2].

Il politologo Robert Dahl, nel suo saggio I dilemmi della democrazia pluralista, individua nel pluralismo un elemento imprescindibile per ogni assetto che voglia dirsi democratico; Norberto Bobbio, filosofo del diritto, definiva democratici i gruppi nei quali le determinazioni collettive sono caratterizzate da due regole: un’ampia partecipazione diretta o indiretta e le decisioni scaturiscano da una libera discussione a maggioranza. Naturalmente potremmo continuare con le citazioni, prendendo le mosse dall’antica Grecia, ma come notava qualche anno fa il filosofo Salvatore Veca[3]: “una soddisfacente teoria della democrazia è a tutt’oggi lungi dall’essere disponibile e […] le nostre analisi dei fatti e delle istituzioni dei regimi democratici oscillano fra descrizioni e prescrizioni, aspirazioni e valutazioni che difficilmente risultano a volte fra loro coerenti.”

Secondo l’accezione che va per la maggiore, uno stato compiutamente democratico presenterebbe alcuni tratti comuni: il principio della separazione dei poteri, elaborato dal giurista e pensatore francese Montesquieu; lo svolgimento di libere e regolari elezioni; la garanzia del pluralismo, partecipazione e confronto democratico; il rispetto dei principi del cosiddetto stato di diritto, inteso come un insieme di diritti e libertà, tutelate dall’ordinamento, a cominciare da quella personale e di espressione.

Prendendo per buoni questi standard, Israele sembrerebbe inquadrarsi perfettamente in un assetto democratico, ma, come spesso avviene, arrestarsi al solo dato formale non necessariamente restituisce un quadro aderente alla realtà.

Freedom House[4], una ONG con sede a Washington che ogni anno pubblica uno studio sui diritti politici e le libertà civili in tutto il mondo, scrive sul proprio sito che “Israele è una democrazia parlamentare con un sistema multipartitico e istituzioni indipendenti che garantiscono i diritti politici e le libertà civili alla maggior parte della popolazione. Sebbene la magistratura sia relativamente attiva nella protezione dei diritti delle minoranze, la leadership politica e molti nella società hanno discriminato gli arabi e altre minoranze etniche o religiose, determinando disparità sistemiche in aree quali infrastrutture, giustizia penale, istruzione e opportunità economiche”.

In Israele, in base alle statistiche ufficiali disponibili a fine 2022[5], vivono 9.656.000 persone, 7.106.000 delle quali sono ebrei (73,6 per cento del totale), 2.037.000 arabi (21,1 per cento) e 513.000 di altre etnie (5,3 per cento).

Come dicevamo, una delle caratteristiche di uno stato democratico è rappresentata dall’ampia partecipazione, garantendo a tutti i cittadini eguali diritti e opportunità.

In Israele, però, nel 2018 è stata approvata dalla Knesset una legge, intitolata “The Basic Law: Israel as the Nation State of the Jewish People”[6], che definisce il paese “patria nazionale del popolo ebraico”, relegando le restanti etnie a una sorta di cittadinanza di serie B. In realtà, per quanto la normativa sia stata molto contestata, per parlare di un regime di sostanziale apartheid per la minoranza palestinese non occorre attendere il 2018, visto che la popolazione araba è sottoposta da decenni a pesanti limitazioni – spesso giustificate in nome di esigenze securitarie – che si sono tradotte in condizioni di vita e lavoro a dir poco ostiche, senza considerare gli episodi e fatti criminosi denunziati dall’ONU[7], e da ONG come Amnesty International[8] e Save The Children[9], che purtroppo non risparmiano neanche i più piccoli[10]

Il punto è proprio questo: è possibile qualificare come compiutamente democratico uno stato che esclude e/o limita fortemente l’esercizio dei diritti civili e politici sulla base dell’appartenenza etnica o religiosa, oltretutto contraddicendo platealmente i contenuti del documento che è alla base della sua nascita?

Il riferimento è alla Dichiarazione d’Indipendenza  del 1948[11], nella quale si legge che “la terra d’Israele è il luogo di nascita del popolo ebraico”, aggiungendo che il nuovo stato si impegnava a “promuovere lo sviluppo del paese a beneficio di tutti i suoi abitanti; sarà basato sulla libertà, la giustizia e la pace come annunciato dai profeti d’Israele; deve garantire la piena uguaglianza dei diritti sociali e politici di tutti i suoi abitanti, indipendentemente dalla religione, dalla razza o dal sesso; deve garantire la libertà di religione, coscienza, lingua, istruzione e cultura; salvaguardare i luoghi santi di tutte le religioni e deve essere fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite”.

Ben prima dell’entrata in vigore della legge del 2018, numerosi studi e pubblicazioni – come quelle dello storico israeliano Ilan Pappé, che ha definito la striscia di Gaza come la prigione a cielo aperto più grande del mondo – documentano la condizione fortemente discriminatoria vissuta dai palestinesi, sia a Gaza che in Cisgiordania: privati di ogni libertà di movimento, perfino per ragioni di salute, e vincolati in toto alle autorità israeliane per la fruizione dei servizi pubblici essenziali (acqua, elettricità, approvvigionamenti alimentari). Lo stesso Pappé nega che già a partire dal 1967 si potesse parlare per lo stato ebraico di un assetto compiutamente democratico, in quanto i vari governi avevano ” …  sottoposto un quinto della sua popolazione alla legge marziale, basata sulle draconiane normative di emergenza mandatorie inglesi, che privavano i palestinesi dei diritti fondamentali, umani e civili. I governatori militari locali erano dei monarchi assoluti che dominavano l’esistenza di questi cittadini: potevano instaurare leggi speciali solo per loro, distruggere le loro case, i loro mezzi di sostentamento e incarcerarli a loro piacimento”[12]; su tutto questo si innestava una politica di insediamento a senso unico e/o forme di detenzione amministrativa, con provvedimenti restrittivi adottati senza l’intervento dell’autorità giudiziaria.

Ora, se già molto prima del 2018 molti principi democratici avevano sofferto, volendo essere ottimisti, fortissime limitazioni, tanto di ordine giuridico, che pratico (pensiamo solo all’accesso ai servizi pubblici o al diritto alla mobilità), l’approvazione della nuova legge ha posto una sorta di pietra tombale sui principi di partecipazione, inclusione ed eguaglianza, che pure la dichiarazione del ’48 contemplava. Ricordiamo che con lo stesso provvedimento è stato sancito lo status di Gerusalemme quale capitale unificata e l’ebraico come lingua ufficiale, mentre l’arabo viene definito idioma a statuto speciale, ma soprattutto si dava nuovo impulso allo sviluppo degli insediamenti ebraici: nel paragrafo 7 si prevede che «Lo Stato considera lo sviluppo dell’insediamento ebraico – Jewish Settlement – come un valore nazionale e agirà per incoraggiarne e promuoverne l’istituzione e il consolidamento».

Il filosofo Davide Assael[13], commentando il provvedimento subito dopo la sua approvazione, scriveva come lo stesso “si inserisca in un progetto neo-nazionalista e identitario, che avvicina l’Israele di Bibi ai crescenti nazionalismi europei, con cui, del resto, i rapporti si sono fatti via via più stretti. Se questa è la tendenza politica e geopolitica, non si può non registrare una rottura rispetto alla tradizione etico-giuridica ebraica.” In altre parole, una misura che apriva molti scenari problematici proprio sul versante democratico. E la sua non fu l’unica voce critica: perfino l’allora presidente israeliano Reuven Rivlin (del Likud), in una lettera indirizzata ai membri della Knesset, paventava che la norma approvata con un ristretto margine (62 voti a favore, 55 contrari e due astenuti) “potrebbe danneggiare il popolo ebraico, gli ebrei di tutto il mondo e lo Stato di Israele, venendo persino usata come arma dai nostri nemici”.

Alcuni osservatori hanno intravisto nel provvedimento il timore della dirigenza israeliana[14] che, a causa degli elevati tassi di natalità, gli ebrei potrebbero un domani divenire minoranza etnica, decidendo così di azzerare formalmente diritti e prerogative della minoranza araba, a cominciare da quel diritto all’autodeterminazione dei popoli, sancito dalla carta delle Nazioni Unite[15].

Lo stesso Haaretz, uno dei quotidiani più letti in Israele, criticò aspramente la legge[16] voluta dal Likud dell’allora (e attuale) premier Benjamin Netanyahu, evidenziando la palese contraddizione di uno stato che si professi allo stesso tempo ebraico e democratico, in aperto contrasto col principio di eguaglianza e non discriminazione, finendo per minare alla base l’assetto democratico dello stato.

E se già il governo del 2018 si collocava su posizioni piuttosto radicali, che dire di quello attuale, che vede tra le componenti essenziali alcune delle forze più estremiste e xenofobe del panorama politico israeliano, come Potere Ebraico di Itamar Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale, o il partito nazional religioso Sionismo ebraico del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich: anche senza considerare le dichiarazioni incendiarie contro i palestinesi e l’incitazione alla violenza, parliamo di partiti favorevoli all’espansione delle colonie e dei territori occupati; Smotrich è arrivato persino a negare l’esistenza stessa di un popolo palestinese. Inoltre, premesso che lo stato ebraico non ha mai marcato in modo chiaro i propri confini, fece molto discutere l’episodio del 22 settembre 2023, quando il premier Netanyahu, intervenendo dinanzi all’Assemblea generale delle Nazione Unite, mostrò una cartina del Medio Oriente senza la Palestina[17].

Come riconosce Fritz Froehlich, esperto del conflitto israelo-palestinese con un’esperienza ventennale nella cooperazione internazionale se è vero che “… a partire dai cosiddetti Accordi di Oslo del 1993, la comunità internazionale ha finanziato i territori palestinesi occupati con 50 miliardi di dollari, ma poiché la comunità internazionale non ha richiesto ad entrambe le parti il ​​pieno rispetto del diritto internazionale e del diritto internazionale dei diritti umani, il pacchetto di aiuti internazionali pro capite più elevato a livello globale non ha favorito la pace.”[18]

Ma il vulnus alla democrazia israeliana non riguarda solo il capitolo riferito alle discriminazioni nei confronti delle minoranze non ebree, tra le quali occorre ricordare anche i drusi, un gruppo etnico e religioso arabo praticante una dottrina monoteista di derivazione musulmana sciita ismailita, che protestò duramente contro la legge del 2018.

Non possiamo dimenticare, difatti, il progetto di riforma giudiziaria promosso dal governo Netanyahu, fortemente osteggiato da molti cittadini israeliani[19], che prevedeva una serie di limitazioni alle prerogative della Corte suprema, in particolare circa i suoi poteri in merito ai provvedimenti varati dal Governo, per i quali venivano compresse le facoltà d’intervento della stessa Corte circa il rispetto della “clausola di ragionevolezza”.

In questo caso scesero in campo alcuni dei più importanti organi d’informazione, come il Times of Israel, che parlò del pericolo di uno scontro catastrofico dal punto di vista istituzionale[20].

Una cosa importante che ancora non abbiamo ricordato è che lo stato ebraico, per una serie di ragioni storiche e politiche, non ha mai avuto una vera e propria Costituzione scritta[21], ma solo un complesso di leggi fondamentali, tra le quali rientra quella del 2018. Il procuratore generale presso la Corte suprema, Gali Baharav-Miara, ha sostenuto che la riforma voluta dal governo “rimuove le barriere chiave che proteggono la democrazia e altera fondamentalmente l’equilibrio di potere tra i tribunali, il governo e il Parlamento a tal punto da minare Israele come democrazia”, mentre altri movimenti di opposizione paventavano il rischio di rendere illimitate le prerogative dell’esecutivo. I politici della maggioranza, favorevoli alla riforma, replicavano che la Corte non aveva il diritto di insinuarsi nelle prerogative del Parlamento, richiamandosi al principio della separazione dei poteri.

Noam Gidron, professore presso il dipartimento di scienze politiche dell’Università Ebraica di Gerusalemme, definì la riforma giudiziaria come il frutto di un tentativo di “cambiamenti istituzionali che i partiti populisti di destra in Ungheria e Polonia hanno utilizzato per allontanare i loro paesi dall’approccio liberale. democrazia. La preoccupazione che le riforme proposte portassero ad una concentrazione del potere nell’esecutivo e ad un indebolimento dei tribunali ha scatenato proteste in tutto Israele.”[22]

La Corte non si è lasciata intimorire e, forte del sostegno popolare, ha ritenuto di potersi pronunciare nel merito. Il primo gennaio del 2024, pertanto, l’Alta Corte ha “annullato l’annullamento” della clausola di ragionevolezza, con una decisione a maggioranza di otto giudici su quindici, rimuovendo così uno dei profili essenziali della riforma voluta dal governo, motivando la decisione affermando che l’esclusione di qualunque critica giudiziaria della ragionevolezza di decisioni del governo, del primo ministro o di ministri potesse rappresentare “un colpo duro e senza precedenti inferto alle caratteristiche essenziali dello stato d’Israele quale Stato democratico”. In quella stessa occasione, la Corte Suprema, con una maggioranza di 12 su 15, ha ribadito di poter intervenire anche sulle leggi fondamentali “in casi eccezionali ed estremi nei quali la Knesset abbia varcato i limiti della sua autorità prestabilita”[23].

Per quanto apparentemente questa decisione della Corte rappresenti una vittoria della democrazia, contro qualunque tentativo di fuga in avanti del potere esecutivo, sarebbe un errore vedere nella vicenda qualcosa di diverso da quello che era: uno scontro interno tra i poteri dello stato, che non tocca minimamente le discriminazioni nei confronti delle minoranze etniche e religiose. Per averne una dimostrazione, sarebbe sufficiente leggere un breve passaggio di un articolo di Neve Gordon[24], professore di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra: “… la Corte Suprema israeliana, dipinta dai media internazionali come un modello di rettitudine morale, è infatti un difensore di principio dei diritti democratici – ma solo per gli ebrei. Come hanno dimostrato numerosi studi, la Corte ha svolto un ruolo fondamentale nel consentire il progetto coloniale di Israele e nel legittimare gli abusi dello Stato contro i palestinesi. Le sue sentenze hanno fornito legittimità all’esproprio della terra palestinese e copertura legale per esecuzioni extragiudiziali, demolizioni di case, deportazioni e detenzioni amministrative contro i palestinesi.” A onor del vero, pronunciandosi sulla famosa legge del 2018, la massima istanza giudiziaria del paese fece salva la norma a condizione che la stessa non potesse, né dovesse, essere utilizzata per negare agli israeliani i loro diritti di cittadini[25].

A questo punto il lettore potrebbe osservare che non abbiamo praticamente parlato di quanto accaduto dal 7 ottobre 2023 in avanti: non è stato un caso o una dimenticanza, ma il frutto di una scelta precisa: ci premeva sottolineare come una serie di questioni sono presenti nell’assetto istituzionale e nella società del paese ebraico da molto prima, come del resto sono risalenti le origini della conflittualità arabo israeliana.

E si tratta di questioni che ci sembra incomprensibile, se non assurdo, che si possa continuare a ignorare, e che potrebbero un domani mettere seriamente in pericolo la stessa stabilità di una nazione, nata all’indomani di uno dei crimini più atroci mai perpetrati nella storia dell’umanità. E lascia basiti che la dirigenza politica, e una parte del popolo, non sembri aver compreso una delle lezioni più importanti che quella tragedia possa offrire: il fomentare odio e divisioni, specie su base etnica, alla lunga non porta nulla di buono, né fronte della democrazia, che sugli altri.

Se i fatti di ottobre scorso sembravano aver ricreato una certa unità e coesione interna, si potrebbe trattare solo di una parentesi: è notizia di questi giorni come proprio la conduzione della questione degli ostaggi stia creando nuove fratture all’interno della società israeliana, la quale, già fortemente contraria alla riforma giudiziaria, potrebbe ora trovare una nuova ragione di opposizione all’attuale corso politico.

E restano da fare alcune ulteriori considerazioni riferite al capitolo della partecipazione politica, altro elemento cardine di qualunque democrazia compiuta.

Nel 2019, quando in Israele si votò – per la quarta volta in sei anni – per le elezioni generali Mehdi Raza Hasan[26], conduttore televisivo e autore britannico-americano, ricordava come a parte i “…sei milioni e mezzo di ebrei israeliani, possono votare anche un milione e mezzo di cittadini palestinesi di Israele, che vivono nello stesso Israele. Ma 5 milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza, in territori occupati e colonizzati dagli israeliani da più di 50 anni, non possono votare alle elezioni israeliane. Cinque milioni. Ciò significa che meno di un quarto dei palestinesi che vivono in quella parte contesa del mondo, che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, sia in Israele che nei territori occupati, la cui vita quotidiana è controllata da Israele, e hanno ormai da decenni, solo un quarto di loro ha voce in capitolo su quale partito politico o primo ministro controlli le loro vite. La stragrande maggioranza dei palestinesi non ha voce in capitolo”, senza dimenticare – come ricordava ancora Hasan – che i partiti arabi, pure presenti nella Knesset, vengono di fatto estromessi dalla politica attiva.

Gli faceva eco Noura Erakat, giurista palestinese-americana e autrice di Justice for Some: Law and the Question of Palestine, precisando come “ciò che Israele fa è biforcare la nazionalità ebraica dalla cittadinanza israeliana, in modo che se sei un cittadino ebreo e un cittadino israeliano, hai l’intero insieme di diritti che saranno a tua disposizione come cittadino e nazionale. Mentre se sei semplicemente un cittadino israeliano, non hai accesso a tutta questa gamma di diritti. Questa è la distinzione principale che rende, francamente, la cittadinanza uno status di seconda classe.”

Per Marwan Bishara[27], analista politico di Al Jazeera “lo Stato ebraico riconosce due strati di persone: gli ebrei che hanno diritto a pieni diritti e i palestinesi che devono accontentarsi di pochi o nessun diritto. Questi palestinesi sono tollerati a malincuore come cittadini di seconda classe, occupati e repressi come sudditi coloniali, o tenuti lontani come rifugiati indesiderabili, il cui diritto inalienabile al ritorno distruggerebbe lo Stato ebraico”, aggiungendo che il caso “Israele/Palestina non è diverso dal Sudafrica dell’apartheid, dove anche i bianchi privilegiati godevano di un certo grado di democrazia comunitaria. Ma le élite ipocrite occidentali, che si riferiscono all’“unica democrazia in Medio Oriente”, non hanno mai parlato di “l’unica democrazia in Africa”. La conclusione dell’analista – che si riferiva alla tornata elettorale di fine 2022 – era impietosa: “Questo è lo stato terribile della “democrazia israeliana” oggi. Fanatici di estrema destra e generali sanguinari dominano la maggioranza assoluta dei seggi nel parlamento israeliano e competono per i seggi della sinistra terribilmente in contrazione. Purtroppo, più elezioni Israele tiene, meno democratico e più dispotico diventa nei confronti dei palestinesi.”

Ma le divisioni non sono solo tra ebrei e non, ma pure all’interno della stessa componente maggioritaria.

Se circa la metà della popolazione ebraica mondiale ha scelto lo stato mediorientale come propria patria, ne esiste una parte altrettanto numerosa che ha deciso diversamente[28], e che neppure pensa a trasferirvisi. E dare la colpa di questo alla conflittualità latente, o peggio agli ultimi eventi, sarebbe un gravissimo errore di valutazione, tanto storico, quanto politico. Se perfino Abe Foxman, avvocato e attivista americano, per molti anni direttore della Lega anti-diffamazione e fervente sostenitore di Israele, in un’intervista concessa al Jerusalem Post ha dichiarato che «se Israele diventerà uno Stato fondamentalista religioso, uno Stato basato sul nazionalismo teocratico», il 70 per cento dell’ebraismo mondiale se ne distaccherà, visto e considerato che sulla scorta delle proposte di legge presentate dai partiti ultrareligiosi e ultranazionalisti attualmente al governo perfino lui potrebbe non essere più considerato ebreo[29].

Evidentemente una serie di progetti radicali rischia di creare fratture persino tra gli stessi ebrei.

Per concludere con una piccola nota di ottimismo, esiste un capitolo circa il quale Israele può rappresentare un modello di democrazia, e riguarda quello riferito alla libertà di espressione.

La riforma della giustizia – che tra parentesi aveva preoccupato perfino l’alleato numero uno, gli USA, e suscitato le preoccupazioni del presidente israeliano Yitzhak Herzog – come abbiamo detto è stata aspramente criticata sia dal popolo, che da molti organi d’informazione, dimostrando l’esistenza di un dibattito critico.

E lo stesso discorso potrebbe farsi riguardante la pioggia di critiche succedetesi dopo il 7 ottobre da parte di un quotidiano come Haaretz, tanto che circolarono voci circa una volontà di chiusura e/o di misure di boicottaggio del quotidiano[30], che denotano l’esistenza di un pluralismo informativo che dalle nostre parti, specie su alcune questioni, non sembra altrettanto sviluppato.

Fermo restando che questo non cancella quanto detto sinora, è possibile cogliervi un interessante segnale di vitalità democratica, senza dimenticare – e qui ci riferiamo al cosiddetto Occidente “faro di democrazia” – come criticare Israele, o per meglio dire i suoi governanti, ancora oggi possa suscitare sdegno e/o sollevare dei polveroni, accompagnati da accuse spesso inconsistenti e/o del tutto fuori luogo.

Hannah Arendt[31] definiva “l’unanimità di opinione” un fenomeno «particolarmente nefasto» perché «tende a eliminare fisicamente coloro che la pensano in modo diverso, perché l’unanimità di massa non è il risultato di un accordo, ma un’espressione di fanatismo e di isteria».

Una considerazione molto pertinente, che dovrebbe valere per qualunque popolo. E per qualunque stato.

FONTI

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freedomhouse.org/country/israel

www.limesonline.com/cartaceo/non-e-un-paese-per-arabi

www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-i-rischi-della-nuova-legge-sullo-stato-nazione-21068

www.lantidiplomatico.it/dettnews-lo_stato_disraele__una_democrazia/49666_51545/

www.lindipendente.online/2023/11/23/come-israele-incarcera-e-maltratta-sistematicamente-i-bambini-palestinesi/

www.limesonline.com/israele-contro-israele-di-chi-e-lo-stato-ebraico/131846

www.rsi.ch/info/mondo/Luci-e-ombre-su-Israele-%E2%80%9Cunica-democrazia-del-Medio-Oriente%E2%80%9D–1995918.html

www.limesonline.com/cartaceo/la-memoria-della-shoah-e-il-pilastro-dellidentita-di-ebrei-e-israeliani

www.micromega.net/la-caduta-della-democrazia-in-israele-e-leffetto-domino/

www.limesonline.com/israele-riforma-giustizia-netanyahu-autolesionismo/133201

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www.limesonline.com/cartaceo/israele-puo-essere-ebraico-e-democratico

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www.geopolitica.info/israeli-palestinian-conflict-interview-with-fritz-froehlich-development-and-humanitarian-consultant/

www.huffingtonpost.it/esteri/2023/09/12/news/israele_corte_suprema_clausola_di_ragionevolezza-13334578/

www.journalofdemocracy.org/articles/why-israeli-democracy-is-in-crisis/

www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/01/01/corte-suprema-annulla-elemento-chiave-riforma-netanyahu_aaa080b2-b256-4000-a340-c914be58a526.html

www.aljazeera.com/opinions/2022/10/31/israels-farcical-elections-and-fictional-democracy

www.aljazeera.com/opinions/2023/2/22/the-problem-with-israels-so-called-crisis-of-democracy


[1] www.treccani.it/vocabolario/democrazia/

[2] www.treccani.it/vocabolario/democratura_res-3a7baa29-8997-11e8-a7cb-00271042e8d9_%28Neologismi%29/

[3] www.mimesis-scenari.it/2022/10/07/una-mappa-per-la-democrazia-robert-dahl-e-lidea-di-pluralismo/

[4] freedomhouse.org/country/israel

[5] www.cbs.gov.il/he/mediarelease/DocLib/2022/426/11_22_426e.pdf

[6] main.knesset.gov.il/EN/activity/documents/BasicLawsPDF/BasicLawNationState.pdf

[7] news.un.org/en/story/2023/11/1143432

[8] www.amnesty.it/apartheid-israeliano-contro-i-palestinesi-un-crudele-sistema-di-dominazione-e-un-crimine-contro-lumanita/

[9] www.jewishvirtuallibrary.org/the-declaration-of-the-establishment-of-the-state-of-israelw.savethechildren.it/blog-notizie/cisgiordania-violenze-e-abusi-sui-minori-palestinesi-detenuti

[10] www.savethechildren.it/cosa-facciamo/pubblicazioni/injustice

[11]

[12] www.lantidiplomatico.it/dettnews-israele_non__pi_una_democrazia_nemmeno_formalmente/82_24775/

[13] www.limesonline.com/cartaceo/israele-puo-essere-ebraico-e-democratico

[14] www.ispionline.it/it/pubblicazione/israele-i-rischi-della-nuova-legge-sullo-stato-nazione-21068

[15] www.immigrazione.biz/upload/Carta_Nazioni_Unite_San_Francisco_26_giugno_1945.pdf

[16] www.haaretz.com/israel-news/2018-08-06/ty-article/.premium/israels-nation-state-law-controversy-explained/0000017f-e97c-d639-af7f-e9ff8e650000

[17] www.lantidiplomatico.it/dettnews-quel_piccolo_particolare_della_mappa_che_netanyahu_ha_presentato_allonu/8_51214/

[18] www.geopolitica.info/israeli-palestinian-conflict-interview-with-fritz-froehlich-development-and-humanitarian-consultant/

[19] tg.la7.it/esteri/israele-centomila-in-piazza-contro-la-riforma-della-giustizia-e-netanyahu-23-09-2023-194317

[20] www.timesofisrael.com/court-set-for-fateful-reasonableness-law-hearing-as-constitutional-showdown-looms/

[21] www.eublog.eu/articolo/35053/Israele-uno-stato-senza-costituzione-/Morrone

[22] www.journalofdemocracy.org/articles/why-israeli-democracy-is-in-crisis/

[23] www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2024/01/01/corte-suprema-annulla-elemento-chiave-riforma-netanyahu_aaa080b2-b256-4000-a340-c914be58a526.html

[24] www.aljazeera.com/opinions/2023/2/22/the-problem-with-israels-so-called-crisis-of-democracy

[25] www.huffingtonpost.it/esteri/2023/09/12/news/israele_corte_suprema_clausola_di_ragionevolezza-13334578/

[26] theintercept.com/2019/09/19/israel-democracy-or-apartheid/

[27] www.aljazeera.com/opinions/2022/10/31/israels-farcical-elections-and-fictional-democracy

[28] www.ilfattoquotidiano.it/2022/12/23/israele-sulla-riforma-della-legge-del-ritorno-si-scontrano-gli-interessi-di-due-comunita-ebraiche/6914744/

[29] Z. Klein, «Former ADL director says he won’t support non-democratic Israel – exclusive», jpost.com, 1/12/2022.

[30] www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/11/25/boicottare-haaretz-nuova-censura-sul-quotidiano/7364491/; www.africa-express.info/2023/11/28/la-stampa-che-da-fastidio-il-governo-israeliano-vuole-chiudere-haaretz/

[31]  H. Arendt, «To Save the Jewish Homeland: There is Still Time», foreignaffairs.com, maggio 1948

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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