Le violente cariche della polizia a Pisa contro gli studenti hanno provocato una forte reazione della città intera. Il racconto mediatico che ne è stato fatto ha oscurato il tema palestinese, ponendo l’attenzione solo sulla giovane età dei e delle manifestanti. L’autonomia di ogni movimento di raccontarsi rimane un obiettivo fondamentale da perseguire.

LE CARICHE BRUTALI A PISA

Venerdì, ore 9.30, giovani studentə delle scuole superiori e dell’Università si danno appuntamento in piazza Dante in occasione della giornata nazionale di sciopero in solidarietà alla popolazione palestinese. Sono oltre un centinaio in piazza tra studenti medi e universitari. Dopo gli interventi iniziali, il presidio decide spontaneamente di partire in corteo verso piazza dei Cavalieri, luogo simbolicamente centrale dell’università pisana. Tuttavia, l’ingresso alla piazza è bloccato dai blindati della polizia e da due squadre di celere in tenuta antisommossa. Un dispiegamento inedito per Pisa, in cui la celere viene chiamata dalla questura da altre città e dove raramente si è assistito a una militarizzazione così massiccia dei cortei studenteschi. Il blocco viene, inoltre, attuato alla fine di via San Frediano, di fronte al liceo Russoli, una strada stretta pochi metri e senza vie di fuga laterali. Da dietro il corteo, in fondo alla strada, arrivano due volanti. Si configura un imbuto stretto e chiuso da tutti i lati. 

Lə studentə  chiedono di poter passare. Si trovano davanti agli scudi quando partono le cariche della celere. La seconda è quella più violenta e disordinata: lə studentə vengono rincorse dai manganelli della polizia, che avanza con violenta efferatezza mentre il corteo cerca di indietreggiare. Sfuggire alla carica frontale è difficile, data l’assenza di strade laterali. Due studentə vengono tenutə in stato di fermo, fatte stendere a terra con le mani dietro alla schiena, con i poliziotti sopra a impedire loro di muoversi. Ci sono anche feritə con contusioni alle braccia, alla testa e al volto. I soccorsi medici vengono fatti tardare perché la polizia impedisce loro di passare dal blocco blindato. A pagarne le ripercussioni è una ragazza di 15 anni che, con una contusione alla testa, si è dovuta alzare per raggiungere a piedi l’ambulanza. A questa si aggiungeranno tredici studentə, di cui otto minorenni, sottoposti a cure mediche al pronto soccorso pediatrico.

L’accaduto non ferma la mobilitazione. Le studentə proseguono la passeggiata verso il polo universitario San Rossore – polo della memoria dell’ateneo pisano – per chiedere la cessazione degli accordi che l’Università di Pisa intrattiene con le aziende belliciste ed ecocide. È qui che termina la mattinata di sciopero al fianco del popolo palestinese affinché la memoria non sia un feticcio ma coscienza attiva contro i colonialismi del presente. 

RIPRENDERSI LA PIAZZA NEGATA

Nel frattempo, le immagini di quel che è successo davanti al liceo Russoli rimbalzano nei media di tutt’Italia. Nella contingenza anche le sigle della sinistra istituzionale, del sindacalismo confederale e dell’associazionismo si ritrovano schiacciate nel dover prendere posizione davanti all’accaduto convocando un presidio davanti alla Prefettura. Il presidio è organizzato senza alcun confronto con lə studentə, che ne convocano un altro sotto il comune: l’attenzione deve rimanere sulla Palestina e sulla repressione subita, non c’è spazio per la strumentalizzazione elettorale. 

Alle 18 la piazza del comune è gremita. In alto è steso uno striscione con parole d’ordine chiare e condivise da tuttə i presenti: «Stop al genocidio. Palestina libera. Basta violenze della polizia». Negli interventi è esplicita la volontà di non restare fermə e di riprendersi le strade: «questa mattina la piazza era piena di persone pronte ad attraversare le strade, in modo spontaneo hanno deciso di andare per le strade del centro della città e quello che ci siamo trovati davanti a noi appena siamo partiti è stato un plotone di polizia pronto a bloccarci. Noi siamo scesi in piazza e volevamo attraversare quelle strade perché le università italiane  hanno più di 70 partnership con aziende che lucrano sulle guerre e su questo genocidio».

Dopo pochi minuti si parte in corteo. Sembra esserci tutta Pisa dietro lo striscione d’apertura: donne e uomini di mezz’età, una componente araba alla testa del corteo, studentə, lavoratorə da tutta la provincia, sindacati, scout e ultras unitə per la “Palestina libera” e contro l’autoritarismo. 

I cori sono interrotti dall’intervento di un compagno di lunga data «su questi lungarni più di cinquant’anni fa’ dei fascisti hanno ammazzato un nostro compagno, Franco Serantini. Anche in quegli anni scendevamo in piazza in solidarietà alla popolazione palestinese perché questa storia non è iniziata il 7 ottobre». 

Il corteo arriva a toccare il rettorato dell’Università prima di giungere in via San Frediano. La cittadinanza pisana si riprende la piazza negata allə studentə la mattina. Ad aspettarlə in piazza dei Cavalieri ci sono i partiti, le associazioni ed i sindacati confederali confluiti dal presidio in Prefettura. Lo striscione viene portato sulle scale della Scuola Normale Superiore. Da qui in pochi minuti si ha la vista di una piazza gremita: «hanno voluto intimidirci caricandoci stamattina ma non ci fanno paura». 

Il giorno successivo, mentre a Milano si svolge il corteo nazionale per la Palestina, a Pisa la solidarietà si fa attiva. Si autoconvocano assemblee d’istituto straordinarie nelle scuole superiori della città, comunicati di collegi docenti prendono posizione contro le violenze della polizia e anche lə presidə non si nascondono dall’onere. Al liceo Russoli dopo l’assemblea in circa cinquecento si danno appuntamento nella vicina piazza dei Cavalieri. 

Dallo stadio si leva il coro degli ultras che con le loro bandiere e quelle della Palestina raggiungono in corteo il centro della città. Questi, da mesi sottoposti alle angherie delle forze dell’ordine e in sciopero del tifo in casa, fanno tappa in Prefettura, al Comune e al liceo Russoli. Nei loro striscioni si legge una chiara condanna dei soggetti protagonisti di questa storia: «Ziello e Ceccardi ignobili bugiardi. Pisa non è la vostra città», «via il questore. Pisa non ti vuole» e «non si reprime un’ideale di libertà. Vicini agli studenti che hanno manifestato».

LE DICHIARAZIONI E LA NARRAZIONE DISTORTA 

La cronaca della violenza in divisa di venerdì smentisce la narrazione, volutamente distorta e strumentalizzante, che ha cercato di produrre la destra istituzionale e mediatica.  

Il Deputato Edoardo Ziello – noto leghista pisano – si rivendica politicamente le cariche. Gli fa eco il Ministro dell’Interno Piantedosi che nella giornata di sabato ha dichiarato «Siamo intervenuti per difendere la Sinagoga di Pisa e il consolato statunitense a Firenze, [..] non dimentichiamo che si è agito soltanto per difendere i due obiettivi sensibili. Resta da capire se c’era un’alternativa alle cariche di alleggerimento». Dichiarazioni artificiose, tese a creare una narrazione dove il ruolo di vittime e carnefici viene ribaltato. Una conoscenza minima della geografia cittadina è sufficiente a confutarle: la Sinagoga è in direzione opposta a piazza dei Cavalieri, dall’altra parte della città. C’è poi chi parla di  «manifestazione non autorizzata». Espressione fuorviante, perché la protesta è l’esercizio di un diritto e non una concessione da parte dell’autorità pubblica. Per questo va comunicata, non va chiesta l’autorizzazione. 

Sono le parole del Presidente della Repubblica a ristabilire un minimo senso di realtà «l’autorevolezza delle forze dell’ordine non si misura sui manganelli ma sulla capacità di assicurare sicurezza tutelando, al contempo, la libertà di manifestare pubblicamente opinioni», chiudendo la propria nota con un perentorio «Con i ragazzi i manganelli esprimono un fallimento».

Nella giornata di lunedì il consiglio comunale discute dei fatti. Il sindaco Michele Conti nasconde dietro al garantismo – la procura si accerterà dei fatti – la difficoltà di parlare del clima autoritario che la destra, di cui fa parte, sta instaurando. Vena autoritaria di cui Ziello si fa portavoce: «basta ipocrisia: viva le donne e gli uomini in divisa che difendono, ogni giorno, le nostre libertà e i nostri diritti!» 

Pisa diventa lo specchio rotto di come la destra sta cercando di governare il Paese. La politica e la cultura autoritaria vengono sostenute da narrazioni in grado di coprire l’ampio spettro di posizioni da quelle fascio-autoritarie a quelle liberal-moderate. Le fratture interne sembrano più un gioco di posizione che una vera distanza politica. 

Come scrive il consigliere comunale di “Una città in comune” Ciccio Auletta: «La destra ha appena approvato in Consiglio Comunale un ordine del giorno vergognoso in cui non si condanna in alcun modo la violenza della polizia sugli studenti e sulle studentesse picchiati brutalmente venerdì scorso dagli agenti di polizia, anzi si parla di vicinanza alle forze dell’ordine. Il sindaco Conti a parole si esprime in un modo ma negli atti si accoda pienamente ai diktat di Lega e Fdi».

IL RUOLO DEI MEDIA 

La giornata di venerdì mostra che è ancora possibile una dialettica tra movimenti dal basso – opinione pubblica – potere istituzionale. Le cariche sono diventate un “caso politico nazionale” (nonché a livello mediatico internazionale) e uno spazio di attivazione ampia ed eterogenea in città, in grado di fare opposizione alla destra di governo e di creare contraddizione per il centrosinistra – forzandolo verso posizioni più radicali. Sulla manciata di voti con cui Alessandra Todde ha vinto le elezioni regionali in Sardegna con il csx, potrebbero aver influito i manganelli di venerdì.  Oltre ai presidi partecipatissimi a Pisa, ci sono state piazze a Roma e Padova di solidarietà alle studentə manganellatə, che rilanciano le dimissioni del Ministro Piantedosi. In settimana sono previste numerose assemblee interscolastiche e piazze pubbliche contro la repressione organizzate dallə studentə medə. 

I media hanno avuto un ruolo centrale nell’evoluzione di questa dialettica. L’eco mediatico dell’evento è stato immediatamente massiccio sui social network e, a differenza di altri casi, la stampa nazionale e i telegiornali hanno deciso di dare centralità alla notizia. Nella giornata di venerdì i primi articoli nella home delle principali testate giornalistiche e le discussioni nei Tg nazionali parlano solo delle cariche. A questo punto arrivano le dichiarazioni della politica istituzionale – fino al Presidente della Repubblica e al Governo – che re-innescano un altro ciclo di notizie sul tema. Un effetto band-wagon che non si sta ancora esaurendo. 

Per i migranti, per chi vive nelle periferie metropolitane, per chi si trova nelle carceri, per le donne e la comunità Lgbtqi+ e per chi fa politica dal basso, la violenza della polizia non è certo una novità di cui sorprendersi. Appartiene certamente alla cultura autoritaria della destra al governo, ma non si esaurisce in essa. Eppure questa violenza è taciuta dall’apparato mediatico, non colpisce l’indignazione di molti, mentre le cariche di venerdì diventano una notizia nazionale e internazionale. 

La risonanza dell’evento si spiega quindi alla luce della sua rappresentazione da parte della stampa nazionale: è questa che ha creato la “notizia” e, quindi, il “caso politico”. Dai titoli delle principali testate si nota che la narrazione di venerdì si basa su due punti: l’infantilizzazione dellə manifestantə e la rimozione del tema palestinese. Questi due elementi creano una rappresentazione mediatica perfetta per la stampa liberale. Diventa l’occasione per fare opposizione al governo attraverso i temi della difesa dei diritti costituzionali all’interno della narrazione “del pericolo anti-democratico”. Sono i temi su cui si è incardinata l’opposizione del centro-sinistra da quando la destra ha vinto le elezioni. 

In quest’ottica non sorprende la rimozione del tema palestinese: la cultura sionista appartiene a quasi tutti i media italiani e a buona parte del centro-sinistra. Né questi media, né i partiti dell’opposizione parlano delle decine di migliaia di persone che il giorno dopo le cariche, sabato 24 febbraio, attraversano le strade di Milano per il corteo nazionale contro l’apartheid e il genocidio del governo israeliano in Palestina. 

Emerge una sostanziale sovradeterminazione delle istanze promosse dallə studentə tesa a rimuovere la possibilità di agire il campo della conflittualità anche a livello discorsivo. La rappresentazione mediatica estrae dai fatti ciò che più si avvicina alla sua cultura e volontà politica. È all’interno di questa opera di selezione ed esclusione mediatica che la dialettica tra movimenti-opinione pubblica-politica istituzionale si sviluppa. 

POSSIBILI SCENARI 

All’interno di questa dinamica, l’autonomia di ogni movimento di raccontarsi rimane un obiettivo fondamentale da perseguire. Tuttavia gli strumenti mediatici di cui dispone sono ancora troppo deboli se confrontati alla pervasività di una società dello spettacolo diretta dagli algoritmi dei social network, dai gruppi finanziari proprietari dei giornali e dal potere governativo sulle reti televisive.  

Ci si muove allora all’interno della “realtà” che si crea tra fenomeno politico e rappresentazione mediatica. È però una “realtà” con cui fare i conti, da saper sfruttare a proprio vantaggio e da cui non alienarsi. 

Lo spazio politico che si è aperto dopo le cariche brutali della polizia e dopo gli altri numerosi casi di repressione delle proteste per la Palestina  – Firenze, Napoli, Catania ma non solo – può essere quello di unire nel movimento per la Palestina istanze di lotta contro l’autoritarismo. 

Serve rilanciare la dialettica dell’indignazione per la repressione, creatasi in questi giorni, per affrontare seriamente il tema dell’autoritarismo che il regime di guerra e la cultura della destra al governo portano con sé. 

A questo si aggiunge il fatto che per la prima volta in Italia si ha un movimento la cui leadership non è bianca e italiana, ma araba. Inoltre, il richiamo della Palestina globale è forte per le persone che vivono ai margini di questo Paese, spesso migranti di prima o seconda generazione. Lo striscione di testa al corteo nazionale a Milano “Con la resistenza palestinese, blocchiamo le guerre coloniali e imperialiste” ne è un richiamo. La loro biografia è strettamente legata a quella del colonialismo europeo, della violenza poliziesca del confine e di quella sistemica nella marginalizzazione. Contro l’autoritarismo di Stato e quello del colonialismo israeliano, possono emergere voci solitamente silenziate. 

Da questi elementi si può tratteggiare una lettura tendenziale dello scenario. Consci della stretta repressiva siamo obbligati a farci i conti per non restare impantanati. La criminalizzazione delle istanze sociali va a colpire tutti i soggetti politici dedicando loro DDL ad hoc: dal decreto rave al decreto eco-vandali, fino alle nuove proposte del Ministro della Giustizia Nordio di divieto delle manifestazioni pubbliche in cui si porta un’esplicita critica all’operato dello stato d’Israele. In ultimo, nella Relazione Annuale del Ministero dell’Interno 2023 si fa riferimento al pericolo delle «strategie di convergenza di temi e istanze, in un rinnovato ampliamento e di compattezza del fronte del dissenso». Quindi, è anche il riuscire a ricompattare un’opposizione sociale a essere sotto le lenti degli inquirenti. In un paese in cui l’opposizione parlamentare non è capace di fronteggiare la maggioranza governativa e gli agenti di una reale opposizione sono visti come minaccia per la tenuta del paese. 

Dentro la repressione si danno margini di ricomposizione politica. Quello che è successo ha creato partecipazione attiva di soggetti eterogenei che vanno dagli studentə alle curve e alla classe lavoratrice. Ritrovarsi sotto unanimi parole d’ordine non è mai scontato, nemmeno in questo caso. La risposta sulla scommessa della ricomposizione può essere data solo dal come si innesca una processualità politica capace di andare oltre alla pratica della convocazione di piazza; dell’articolare il lavoro politico nella sfera socio-culturale, in quella produttiva e riproduttiva. Qui, tutta l’importanza di tramutare la quantità delle moltitudini indignate dal dito del manganello, in qualità delle azioni in solidarietà alla popolazione palestinese e capacità di mettere alle corde il Governo in ogni suo passo. 

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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