Francesco Cecchini

“Naxalbari non è morta e non morirà mai.”               

Charu Majumdar, autunno 1967.

Naxalbari (o Naksalbari, Nakalbari) è un villaggio del Darjeeling, Bengala Occidentale, di poche migliaia di abitanti; è lungo il fiume Mechi che lo separa dal Nepal. A Naxalbari il 3 marzo del 1967  militanti  del Communist Party of India (Marxist) e assieme ad un gruppo di braccianti della tribù dei Santhal, occupò con le bandiere rosse un latifondo. Fu la scintilla di una rivolta che fu sconfitta solo anni dopo, con un bilancio di 10.000 morti, massacri, incarcerazioni, torture e stupri, armi tuttora usate nella repressione dei movimenti rurali. Ma come affermò Charu Majumdar, uno dei leader, fu la sconfitta di una battaglia, ma la guerra continuò e continua.

https://www.youtube.com/watch?v=zf9-kfiCM4I

L’anniversario della rivolta di Naxalbari viene ricordato il 25 maggio. Il 23 maggio 1967, un gruppo di poliziotti, guidati dall’ispettore Sonam Wangdi, entrò nel villaggio dei Jharugaon per arrestare i braccianti che avevano occupato un latifondo.  I poliziotti furono circondati e scapparono abbandonando le armi, ma Wangdi fu ucciso da una freccia. Due giorni dopo le forze dell’ordine indiane, alla ricerca dei colpevoli dell’uccisione di Wangdi, entrarono nel villaggio di Naxalbari e furono affrontati dagli abitanti. I poliziotti spararono e uccisero una decina di persone, comprese donne e bambini. Fu l’inizio della rivolta naxlita sotto la direzione di Charu Majumdar, Kanhai Chatterjee e di altri comunisti rivoluziona. Naxalbari fu un evento che iniziò una storia rivoluzionaria che ancora continua nell India d’oggi. Il programma militare era la guerra di guerriglia fino a liberare le campagne e tutta l’India, mentre il programma politico era tutto il potere al popolo, sul modello dei soviet nella Russia sovietica e delle Comuni nella Repubblica Popolare Cinese. I naxaliti trovarono la loro diffusione e principale appoggio nelle decine e decine di milioni di adivasi, la popolazione indigena più antica dell’India. Gli adivasi sono senza caste e senza terra, estremamente poveri, con un tasso di alfabetizzazione, che nel caso delle donne non arriva al 15%, lontani dalla maggior parte dei progetti di sviluppo dell’India, mancanti di servizi basici e di infrastruttura. A questi problemi dello sottosviluppo si unisce la violenza delle imprese estrattive che vogliono impadronirsi a delle ricchezze che si trovano sotto la terra degli adivasi sfrattandoli con la forza, tanto questi mancano di ogni protezione legale. Tutto questo fece sì che le fiamme della guerra incendiassero il territorio adivasi e ancora ai nostri giorni non sono spente.

Dal 25 maggio 1967 la rivolta si sviluppò in un complesso movimento che raccolse migliaia e migliaia di adivasi, estendendosi in 16 stati dell’India, un quarto del paese, creando rapporti con i rivoluzionari del vicino Nepal.  Il movimento beneficiò per sviluppare la guerriglia delle impenetrabili selve dell’India centrale e formò il così detto Corridoio Rosso, arrivando ad avere più di 10.000 guerriglieri, 40.000 quadri politici e una estesa rete di appoggi locali. Dentro di quest’area i naxaliti maoisti stabilirono un proprio sistema di governo parallelo, un sistema fiscale, educativo, sanitario.

Il movimento naxalita ha vissuto varie vicissitudini: sconfitte, la cattura e morte sotto tortura di Charu Majumdar, per esempio, vittorie, divisioni, frantumazioni, ma è sempre stato tenuto, tutto sommato insieme dal pensiero e dalla pratica rivoluzionari di Mao Tse-tung.

Il processo di unificazione del movimento iniziò il 21 settembre 2004 con la fondazione del Partito Comunista dell’India (Maoista). Oggi, 2017, al CPI (M) hanno aderito vari gruppi, tra gli altri il CPI(ML)(Peoples War Group), il  Maoist Communist Centre il CPI (ML) Party Unity. Il segretario generale è Ganapati.

La situazione dell’India è diversa da quella del 1967 e il Partito Comunista dell’India ne tiene conto nel suo programma. L’India presenta una forte crescita economica, nel 2016 è 7,5%. In ogni caso, la recente crescita capitalistica dell’India non ha mutato le condizioni misere di vita delle masse, anzi è stata da loro pagata in termini di ulteriore oppressione economica e sociale. Il 77% della popolazione vive in povertà assoluta, vi è un tasso di mortalità infantile fra i più alti al mondo (in media un bambino su venti non riesce a superare i cinque anni di età), il 69% degli indiani è escluso dall’accesso di effettivi servizi sanitari, la percentuale di analfabetismo è stimata al 37%. Dietro alla maschera del regime democratico e federale, lo Stato indiano è una dittatura della grande borghesia, divisa e strutturata nella classe dei latifondisti, che opprime le masse contadine del paese attraverso rapporti di produzione di tipo semi-feudale, e in una nuova borghesia industriale e finanziaria, cresciuta negli ultimi anni, che va acquistando, in senso imperialistico, sempre più spazi nei mercati mondiali. Nel 2009, il regime, al fine di riconquistarla, ha avviato una vera e propria azione di guerra sul proprio stesso territorio, l’operazione “Green Hunt”, mobilitando 75 mila uomini armati, su mandato delle multinazionali predatorie, che vogliono mettere le mani su una zona che, come dicevamo, è anche ricchissima di materie prime. Questa gigantesca operazione di repressione, che di fatto tende ad essere concretamente rivolta al genocidio delle popolazioni adivasi, è tuttora in corso, in un crescendo di barbarie, tanto che, nei recenti mesi, all’azione delle forze terrestri, l’attuale governo di Narendra Modi ha aggiunto quella degli elicotteri da guerra, che stanno martellando diverse zone dello Stato di Chhattisgarh. Contemporaneamente il governo indiano ha varato una serie di leggi repressive che aumentano il potere della polizia, come ad esempio il Prevention of Terrorism Act e il Terrorist and Disruptive Activities Prevention Act. Queste leggi permettono alla polizia di arrestare e trattenere i sospettati a tempo indefinito, senza garantire nessun tipo di tutela legale. In aggiunta, vi è la prassi generale della polizia e le altre agenzie dello Stato di operare con quasi totale impunità, in barba a norme di facciata che dovrebbero garantire i diritti dei fermati e dei prigionieri. In altre parole, polizia e militari abitualmente attaccano le manifestazioni e le sedi politiche, brutalmente picchiano, arrestano o uccidono senza limiti, che non siano quelli della lotta e dei fucili spianati davanti loro dai maoisti. In molti casi, i dirigenti e i militanti del partito che cadono nelle mani del regime vengono uccisi in esecuzioni extragiudiziarie, simulando conflitti a fuoco e trasportando i cadaveri in zone disabitate, successivamente convocando la stampa e raccontando una versione falsata dei fatti.

Nonostante il terrorismo di Stato, il PCI (Maoista) continua ad essere presente e ad agire in quasi 200 distretti su 671 che compongono lo Stato federale indiano. L’Egp, il braccio armato del PCI (Maoista) può contare attualmente su oltre 25 mila combattenti effettivi, oltre all’appoggio della popolazione locale. Nell’ultimo anno i maoisti sono riusciti a diffondersi anche nel sud del paese, specificamente al confine di tre stati: Kerala, Tamil Nadu e Karnataka.  Secondo l’Institute of Conflict Management di New Delhi i maoisti negli ultimi 10 anni sono riusciti a triplicare il loro territorio di influenza

Il programma del PCI(m) è basato sulla costruzione di potere popolare, quindi di tutte le classi oppresse. Compito del nuovo Stato sarà quello di edificare una società socialista.

Fondamentale resta però il passaggio della lotta dalle campagne alle città. L’India oltre che di campagne è fatta di grandi città, Bombay, Calcutta, Madras, Delhi, con la presenza di slums dove le condizioni di vita sono molto basse. Bombay è per il 60% uno slum, tanto da essere chiamata Slumbay. Quando il movimento naxalita passera dalle campagne alle città e le conquisterà, Naxalbari avrà definitivamente vinto.

I seguenti lavori, Walking with the comrades di Arundhati Roy:

https://www.english.upenn.edu/sites/www.english.upenn.edu/files/WalkingwiththeComrades.pdf

e Stella Rossa sull’India di Jan Myrdal:

http://zambon.net/index.php?id=25&L=1&tt_products%5Bbegin_at%5D=51&tt_products%5BbackPID%5D=7&tt_products%5Bproduct%5D=144&cHash=95c4584d30095066274153ed052a56b5

sono utili a capire il movimento naxalita.

Di Francesco Cecchini

Nato a Roma . Compie studi classici, possiede un diploma tecnico. Frequenta sociologia a Trento ed Urbanistica a Treviso. Non si laurea perché impegnato in militanza politica, prima nel Manifesto e poi in Lotta Continua, fino al suo scioglimento. Nel 1978 abbandona la militanza attva e decide di lavorare e vivere all’estero, ma non cambia le idee. Dal 2012 scrive. La sua esperienza di aver lavorato e vissuto in molti paesi e città del mondo, Aleppo, Baghdad, Lagos, Buenos Aires, Boston, Algeri, Santiago del Cile, Tangeri e Parigi è alla base di un progetto di scrittura. Una trilogia di romanzi ambientati Bombay, Algeri e Lagos. L’ oggetto della trilogia è la violenza, il crimine e la difficoltà di vivere nelle metropoli. Ha pubblicato con Nuova Ipsa il suo primo romanzo, Rosso Bombay. Ha scritto anche una raccolta di racconti, Vivere Altrove, pubblicata da Ventura Edizioni Traduce dalle lingue, spagnolo, francese, inglese e brasiliano che conosce come esercizio di scrittura. Collabora con Ancora Fischia IL Vento. Vive nel Nord Est.

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