Meno male che al governo dell’Austria ci sono i socialdemocratici e che il presidente della Repubblica è il filo-europeista Alexander Van der Bellen, verde, ecologista, democratico. Perché lo schieramento dei blindati alla frontiera del Brennero per impedire il passaggio dei migranti sembrerebbe più una misura da destra estrema, da muro di Orbàn, da nazionalismo esasperato ed esasperante piuttosto che frutto di una politica di sostegno comunitario nei confronti di un problema che dovrebbe essere, per l’appunto, comune, di tutta un’Europa che torna, invece, a farsi fortezza, a chiudere porti e frontiere.
Ma solo agli uomini, alle donne e ai bambini. Le merci possono passare. Sempre. E’ bene non dimenticarselo mai.
Forse era dai tempi del Terzo Reich che al Brennero non si vedevano blindati schierati sul confine, quando persino Mussolini tremò al pensiero dell’Anschluss, a quell’avvicinarsi prepotente di Hitler ai confini dell’Italia redenta dalla carneficina della Prima guerra mondiale.
Oggi la guerra è contro altri esseri umani che, sostiene il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron, vanno distinti tra coloro che scappano dalle guerre a coloro che fuggono per fame.
Io sarò tonto, sarò meno scaltro di Macron, ma non scorgo una grande distinzione tra queste due categorie: chi subisce una guerra non pranza con tovaglie di pizzo e portate principesche ogni giorno: a volte capita che non abbia nemmeno più l’acqua per dissetarsi quanto basta per sopravvivere.
Chi scappa per fame magari non lo farà perché subisce una guerra propriamente detta, ma forse la fame non è un flagello che uccide? Non è una guerra non dichiarata e frutto delle ruberie del nostro sacro, inviolabile mondo occidentale?
Sono tutte guerre: per scelta strategica, per dominio imperialistico su zone ricche di petrolio od oleodotti, per questioni apparentemente religiose e fondamentalmente legate al favorire questo o quel potere, quindi sempre un dominio economico alla sua base espresso attraverso differenti specchietti per le allodole.
Sono tutte guerre: per guerra visivamente constatabile come tale e per guerra invisibile ma letale. Malattie epidemiche, stermini causati da morbi sconosciuti ormai in Europa e in America del Nord e poi, ovviamente, denutrizione cronica.
Sono olocausti che ogni tanto vediamo negli appelli televisivi a donare nove euro alle associazioni di volontariato per adottare bambini pelle e ossa, pieni di mosche sul viso, vaganti in villaggi di capanne in un’Africa ancora depredata da un colonialismo indiretto perché non ha i colori ufficiali di quello disegnato sulle carte geopolitiche del primo Novecento, ma che prepotentemente si insinua negli affari dei popoli del cosiddetto Terzo mondo e ne fa un boccone nella grande sfida dei poli capitalistici che si battono nei terreni più consoni e perbene delle borse e dei salotti seminascosti della imbellettata borghesia d’ogni dove.
Quindi i blindati, almeno, hanno il pregio di essere un orrore visibile, percepibile forse da moltissime persone come un esercizio di forza veramente fuori luogo, fuori tempo, fuori da ogni buon senso in materia di politica comunitaria nella gestione dell’epocale fenomeno migrante di questi anni.
Francia e Spagna chiudono i loro porti. L’Austria schiera quattro mezzi pesanti militari per controllare chi prova a passare la frontiera del Brennero. Insomma, siamo circondati. Ma non dai migranti. Siamo circondati dalla crudeltà del potere, dalla schiettezza del cinismo, dalla barbarie di una protezione di interessi nazionali in una Europa priva di una visione di insieme, che si muove a tentoni e che vuole evitare di scivolare nuovamente nella banalità del male di harendtiana memoria ma fa tutto il possibile per alimentarla: la blindatura comunica l’assedio e l’assedio è sempre una condizione di sfavore, di resistenza.
Contro chi dobbiamo resistere? Contro gente affamata e assetata? Distinguendo tra chi ha fame per le bombe che gli hanno distrutto la casa e la città e ucciso la famiglia oppure tra chi ha fame perché l’ha un po’ sempre avuta?
“Prima la sicurezza!”. “Prima gli italiani!”. Li sento sempre questi rumori. Rumori e non voci. Le voci esprimono sensatezze, i rumori sono un confuso ripetersi di suoni aggrovigliati tra loro e privi di un vero significato profondo.
Sono incapaci di scavare nella consapevolezza, non molto recondita a dire il vero, di un tunnel ramificato di complicanze sociali, politiche ed economiche che si intersecano, si avvicendano nel colpevolizzarsi e che, ipocritamente, scelgono di esaltare l’autoctonismo rispetto all’universalità dei diritti.
E questo lo facevano i socialisti di mezza Europa prima di Macron, lo fa ora Macron e lo fanno i socialdemocratici austriaci.
Non si tratta di aprire indiscriminatamente le porte (anzi, i porti) e le frontiere. Si tratta di non chiudersi a riccio, di non trasmettere il terrore dell’assedio.
Ma forse è proprio quello che gli serve per avere la popolazione dei rumori dalla loro parte. Quella più disagiata e povera.
Un tempo si era dignitosamente poveri e si lottava per uscire da questa condizione derivata dallo sfruttamento capitalistico del padronato nei confronti del lavoratore. Oggi, anzi poco tempo fa, parlando con una persona sconosciuta, evidentemente povera, mi sono permesso di dire che “i poveri come lei…”. Alt! La dignità di non so bene cosa ha prevalso sulla vera condizione: “Non sono povero. Me la cavo.”. Buon per lei, ho replicato. Ma era lapalissiano che se la cavava davvero male e che faceva fatica ad arrivare dalla mattina alla sera con un pasto nello stomaco.
La paura di essere definito “povero” è più forte della dignità dell’essere “poveri”. E qui mi fermo. Tra blindati ai confini d’Italia, porti chiusi e poveri contro altri poveri.
Con una ultima differenza: quelli che arrivano sui barconi lo sanno d’esserlo e lo ammettono. I nostri poveri sanno d’esserlo ma non lo ammetteranno mai. In fondo, la schiavitù della finta ricchezza occidentale non permette loro di accettare l’evidenza dei fatti. Solo l’apparenza, alla fine, conta davvero.