Secondo un’inchiesta INEGI, il 72,9% della popolazione del Messico vive una percezione altissima di insicurezza, ed è convinta che la situazione non potrà che peggiorare
di Marina Zenobio
Il dottore Mireles parla della sua lotta durante un incontro con i produttori locali di avocados. Foto Paredes Coronel
Tra i mesi di maggio e giugno scorsi, lo stato messicano di Michoacan è tornato ad essere scenario di esecuzioni, scontri e tensioni. A più di quattro anni dalla locale rivolta armata, il Messico continua a soffrire per le conseguenze di una violenza che, lungi dal fermarsi, aumenta e si adegua alle nuove dinamiche del crimine organizzato. Di questa realtà ha parlato, in una recente intervista a RT, il dottore José Manuel Mireles Valverde, leader indiscusso del movimento di autodifesa che, nel febbraio 2013, prese le armi per combattere il crimine organizzato a Michoacan, vista l’assenza se non la connivenza a parte dello Stato centrale. Per poi però comparire quando si è trattato, nel giugno del 2014, di arrestare Mireles Valverde per possesso illegale di armi e traffico di droga. Accusa, soprattutto la seconda, creata ad arte. Tre anni dopo Valverde e suoi 80 compagni sono stati scarcerati per carenza di prove, e il dottore ha ripresto la lotta.
Tra i temi affrontanti nell’intervista le sfide che il Messico dovrà affrontare nel processo elettorale del 2018 in un contesto di eccessiva violenza agita in gran parte del paese. Il primo dardo lo tira contro la connivenza delle autorità della classe politica del paese con i vari gruppi e settori della criminalità organizzata.
“Non abbiamo fiducia nella sicurezza pubblica in Messico, perché non esiste – dichiara il dottore che continua – esiste invece sì la connivenza”. Poi racconta che durante le molteplici rivolte armate contro il crimine organizzato in Michoacan, il governo messicano mise in atto un atteggiamento ingannevole, dando scarse informazioni su quello che stava accadendo per paura che altre realtà potessero integrarsi alla lotta, e inviando un commissario speciale, Alfredo Castillo, che la popolazione non riconosceva e non accettava, il quale avrebbe dovuto operare per soffocare le rivolte, e in qualche forma c’è riuscito, sostenuto anche dalla fusione tra governo e crimine organizzato.
“La mia conclusione, dopo che sono uscito dal carcere – dichiara Mireles Valverde – è che il sacrifico è stato inutile. Non è arrivata la pace in Michoacan e le cose sono peggiorate. Mi resi conto che stavamo tutti in prigione o al cimitero. Quelli che non riuscirono a difendersi o non vollero in rispetto delle nostre istituzioni, ora stanno venendo alla luce nelle migliaia di fosse comuni che si stanno scoprendo in tutta la nazione”.
Tuttavia, nonostante il desolato panorama, il leader della rivolta michoacana non sembra scoraggiato. Avverte che è necessario continuare la lotta e aprire nuove trincee, però senza abbandonare quelle aperte nel 2013, piuttosto ricostruirle. Dopo una lunga convalescenza a causa di una malattia cardiaca e con la tranquillità di chi sa di avere ragione, ora Mireles torna a fare appelli per risvegliare le coscienze. “Il momento è buono. Mi appello alla nazione messicana perché le coscienze si risvegliano, per una lotta che porta pace nella nazione”.
Il Messico è davvero in fermento. Ogni giorni vengono a galla sempre più casi che vede coinvolto il governo in reati di riciclaggio di denaro, appropriazione indebita, scomparsa di fondi, fallimenti. Ma le autorità non vogliono accettare che, per esempio, a Città del Messico, che si pensa lontana dagli effetti del narcotraffico, esistono non una ma varie organizzazioni criminali che controllano il trasferimento e la distribuzione di droga.
La percezione di insicurezza nella popolazione è allarmante. Secondo dati emanati dall’Inchiesta nazionale di sicurezza pubblica urbana, realizzata nel primo trimestre del 2017 dall’Istituto nazionale di statistica e geografia (INEGI nell’acronimo spagnolo), il 72,9% della popolazione sopra i 18 anni delle 52 diverse popolazioni presenti nel Messico vivono una percezione altissima di insicurezza. Il 36,8% dello stesso campione di popolazione è convinta che la situazione non potrà che peggiorare nei prossimi 12 mesi.
“Se la gente sbarra porte e finestre – chiede Mireles Valverde – perché lo fa? Perché che deve difendersi, perché non ha fiducia nella polizia. La gente ha paura di aprire la porta. E quando sei in macchina vive nel timore che un “cane” ti affianchi con una moto ti spari in testa. E lui se ne va, e nessun poliziotto lo ferma”. E’ questo che accade in Messico. Però, precisa il dottore “se blindi la tua casa stai facendo autodifesa. Se metti le telecamere in giardino non è perché ti piace ma per autodifesa. E’ minima, ma è autodifesa”, così vivono gran parte dei messicani secondo Mireles Valverde.
Mancano solo undici mesi alle elezioni del nuovo presidente messicano. Sono molte le sfide e tante le dispute scatenate dalla corsa elettorale. Tuttavia i problemi a cui si riferisce il capo dell’autodifesa in Michoacan non si possono risolvere solo con le armi o una finta giustizia. Il Messico è chiamato a costruire alternative, reali. “La violenza e le ingiustizie – conclude il dottore – esistono da decenni nel mio paese. So che non sarà possibile risolvere tutto in una notte. Per questo è importante risvegliare le coscienze e aumentare la consapevolezza”
http://popoffquotidiano.it/2017/07/31/mireles-valverde-il-messico-e-il-paese-dellinsicurezza/