Di Penn Loh  –  20 novembre 2017

Dalla dissoluzione del blocco sovietico e dalla svolta della Cina al libero mercato molti economisti hanno dichiarato la “fine della storia”, nella quale il capitalismo regna supremo come forma finale dell’economia. Forse “non c’è alcuna alternativa” a un’economia neoliberista globalizzata, che disse spesso l’ex primo ministro Margaret Thatcher. In effetti il libero mercato nel quale i singoli competono per ottenere quello che possono, mentre possono, è glorificato nella cultura popolare attraverso reality show come Shark Tank.

Ma molti di noi, appartenenti al 99 per cento, non si sentono tanto allegri e sicuri riguardo a questi esiti dell’economia. Molti lavorano più duro e più a lungo solo per mantenere l’alloggio e il cibo in tavola. Persino quelli con istruzione universitaria sono impantanati nel debito studentesco che mantiene fuori dalla loro portata il Sogno Americano. E ci sono quelli che non hanno mai ricevuto un buon servizio da questa economia. Gli afroamericani furono liberati dalla schiavitù sono per essere in larga misura esclusi dalle opportunità del “libero” mercato. Gli immigrati continuano a lavorare nella clandestinità. Le donne guadagnano tuttora circa tre quarti di quanto guadagnano i maschi per lo stesso lavoro.

Siamo dunque intrappolati nel capitalismo? Anche se molti di noi vogliono una nuova economia nella quale la gente e il pianeta abbiano priorità sul profitto, restiamo scettici che un altro mondo sia davvero possibile. Facciamo qualche progresso localmente ma poi ci sentiamo impotenti a influenzare forze nazionali e globali. Troppo spesso “l’economia” è fatta corrispondere ai mercati nei quali multinazionali competono per conseguire profitti per l’un per cento più ricco e il resto lavora per uno stipendio o salario (o non guadagna assolutamente nulla). Lo stesso lavoro è considerato legittimo solo se genera legalmente reddito. Il valore è misurato solo in termini monetari, basato su ciò che le persone sono disposte a pagare sul mercato. La mentalità capitalista separa anche l’economia dalla società e dalla natura, come se esistesse indipendentemente dalle persone, comunità, governi, e dal nostro pianeta. L’economia è la macchina di sé stessa, alimentata da profitto e competizione.

Quando tutto ciò che definiamo “economico” è supposto essere capitalista – transazionale e diretto dal mercato – non c’è da meravigliarsi che finiamo a corto d’immaginazione.

 

Ridefinire l’economia oltre il capitalismo

Per sottrarci al “capital-centrismo” dobbiamo ampliare la definizione dell’economia oltre il capitalismo. Che dire, invece, se l’economia fosse tutti i modi in cui soddisfiamo le nostre necessità materiali e ci prendiamo cura gli uni degli altri? E se non si trattasse di una cosa singola? Allora vedremmo che sotto l’economia capitalista ufficiale fiorisce ogni sorta di economie non capitaliste, dove può non esistere una motivazione di profitto o di scambio di mercato. Includono compiti che svolgiamo ogni giorno. Ci prendiamo cura dei nostri bambini e dei nostri anziani; cuciniamo e puliamo per noi stessi e reciprocamente; coltiviamo alimenti; offriamo sostegno emotivo ad amici. Questi sono tutti modi per soddisfare le nostre necessità materiali e prenderci cura gli uni degli altri.

Per molti queste economie, che promuovono solidarietà e sono radicate in valori di democrazia e giustizia piuttosto che sulla massimizzazione del profitto, sono invisibili e non riconosciute come “economiche”; sono semplicemente il modo in cui conduciamo le nostre vite. Il pensiero capitalista ci rende ciechi a queste attività economiche, alcune delle quali rendono possibile la sopravvivenza e significativa la vita. Questi modi non capitalisti si sommano anche a una parte considerevole di tutta l’attività economica. L’economista Nancy Folbre, dell’Università del Massachusetts Amherst, stima che il lavoro domestico non pagato (storicamente considerato ‘lavoro da donne’) sia stato pari al 26 per cento del prodotto interno lordo statunitense nel 2010.

Ampliare la definizione dell’economia riporta anche le persone nel sistema e ci emancipa. L’economia non è semplicemente qualcosa che ci succede, una nel quale nuotare o affondare. Facciamo invece tutti parte di molteplici economie, alcune nelle quali siamo i protagonisti principali – come le nostre economie domestiche – e altri nella quali siamo le comparse, come i mercati dei capitali di rischio.

Riconoscere queste diverse economie e sollevare il velo del capital-centrismo ci consente di vedere che ci sono scelte da fare, etiche e valori da considerare. Ad esempio io potrei pagare di più la lattuga di un contadino locale che la coltiva sostenibilmente, piuttosto che quella di un fornitore distante che sfrutta i lavoratori dei campi e usa pesticidi. Queste scelte sono fatte non solo da consumatori, ma anche da lavoratori, produttori e vicini e attraverso politiche che fissano le regole necessarie perché un’economia funzioni. Lavoro per un’impresa a fini di lucro di proprietà di azionisti o per una cooperativa di proprietà dei lavoratori, per un’azienda non a fini di lucro o per un’impresa B? I terreni pubblici dovrebbero essere usati per condominii di lusso o per case accessibili? Queste domande aprono spazi per la partecipazione di tutti noi a plasmare il mondo e i futuri economici del 99 per cento.

 

Cresce la solidarietà

In tutti gli Stati Uniti, da Jackson, Mississippi, a Oakland, California, nel Kentucky rurale o nelle terre Navajo-Hopi e in tutte le maggiori città del Massachusetts sono spesso le comunità povere e le comunità di colore che stanno costruendo economie solidali intorno a queste questioni. Non è una novità. Di fatto è qui che l’economia solidale – strategie collettive di sopravvivenza – è stata innovata per necessità. Si pensi all’assistenza reciproca, all’organizzazione comunitaria, al far da sé e a cooperative di ogni sorta. Queste pratiche sono state incorporate nei movimenti neri di liberazione, nel primo movimento del lavoro e in molti altri movimenti progressisti degli Stati Uniti.

L’apprendista dell’Old Windows Workshop, Shaniqua Dobbins, trasporta una finestra da un edificio storico del centro di Springfield, Massachusetts.

Il desiderio di un profondo, trasformativo cambiamento – perché la moltitudine di economie solidali abbia qualche senso – proviene non solo dagli insoddisfatti, ma ancor di più da comunità che lottano semplicemente per sopravvivere. Sogni di una vita decente e di un trattamento equo provengono da quelli di Black Lives Matter, da immigrati che ricevono salari da povertà, da ex carcerati esclusi dall’economia dominante, da inquilini a malapena in grado di pagare l’affitto, e da comunità cacciate per lasciare il posto all’un per cento.

Springfield è la terza maggiore città del Massachusetts e qui l’iniziativa Wellspring sta costruendo una rete di cooperative operaie per creare occupazione locale e ricchezza per i residenti a basso reddito o disoccupati. Ispirata dalla Cleveland Evergreen Cooperatives, che ha costruito una rete di aziende di proprietà dei lavoratori per fornire beni e servizi alle istituzioni chiave della regione, Wellspring è stata fondata nel 2011 per cercare di ottenere parte degli 1,5 miliardi di dollari spesi dalle sue istituzioni chiave, come la Baystate Wealth e l’Università del Massachusetts Amherst. Uno studio ha mostrato che le istituzioni chiave si approvvigionano per meno del 10 per cento da aziende locali.

La sua prima cooperativa, Wellspring Upholstery, è stata avviata nel 2013 e oggi ha sette lavoratori. La Wellspring Upholstery è stata la prima azienda a essere sviluppata, in parte perché un riuscito programma che dura da venticinque anni di addestramento alla tappezzeria, gestito dal carcere della contea ha potuto mettere a disposizione lavoratori. La seconda cooperativa di Wellspring è l’Old Windows Workshop, un’impresa di restauro di finestre di proprietà femminile. Uno dei principali obiettivi di questa azienda, secondo la direttrice della produzione Nannette Bowie, consiste nel consentire “a una donna che lavora la flessibilità necessaria per prendersi cura della propria famiglia ed avere un lavoro a tempo pieno”.

La Wellspring ha raccolto quasi un milione di dollari per avviare la sua terza attività, una serra commerciale, che produrrà lattuga, verdure e spezie per le scuole e le istituzioni chiave locali. La costruzione è iniziata durante l’estate. Con diverse attività in corso la Wellspring sta dimostrando modelli realizzabili che spera ispirino altri ad accrescere l’occupazione e opportunità di creazione di ricchezza per residenti a basso reddito o disoccupati.

I proprietari operai della Wellspring Upholstery Cooperative “Joel” Carlos Orria-Fontanez, Evan Cohen, Tina Pepper, Gary Roby e Jose Serrano nel loro laboratorio.

Wellspring è solo uno degli esempi di economie solidali emergenti in Massachusetts. A Worcester, la seconda città più grande dello stato, la Solidarity and Green Economy Alliance sta coltivando la propria ecologia di più di una dozzina di cooperative. Alcune stanno coordinando le competenze dei residenti per soddisfare i bisogni della comunità, quali la progettazione di giardini, bonifica dei suoli, produzione di miele e agricoltura urbana. Altre stanno fornendo servizi a organizzazioni del movimento, quali traduzioni, produzioni di video e contabilità. Nei quartieri Roxbury e Dorchester di Boston sta emergendo un’economia di solidarietà alimentare che comprende una fiduciaria fondiaria di comunità, fattorie e una serra urbana, una cucina comunitaria, una cooperativa alimentare di consumo un’azienda di riciclo organico di proprietà dei lavoratori. E i residenti di Latinx, a Boston Est, hanno creato un Centro di Sviluppo e Solidarietà Cooperativa. Preoccupato per la rapida gentrificazione il gruppo ha cominciato a esplorare come alternative economiche possano aiutare i residenti a restare a Boston Est. Il gruppo sostiene nuove cooperative di assistenza all’infanzia, cucito e pulizie. Il progetto Ujima di Boston è stato appena avviato ufficialmente a settembre per creare un fondo di capitale comunitario nel quale si utilizza una procedura di bilancio partecipativo per fare investimenti in aziende locali.

 

Consapevolezza, potere ed economia

Tuttavia l’economia solidale è qualcosa di più che solo cooperative. E’ un movimento per la giustizia sociale. Sta muovendo la nostra consapevolezza non solo a scoprire le cause di fondo, ma anche ad ampliare la nostra visione di ciò che è possibile, e a ispirare sogni del mondo come potrebbe essere. Sta costruendo potere non solo per resistere e riformare le ingiustizie e insostenibilità prodotte dal sistema attuale, ma alla fine per controllare democraticamente e amministrare risorse politiche ed economiche per sostenere le persone e il pianeta. E sta creando alternative e prototipi economici per produrre, scambiare, consumare e investire in modi che siano più giusti, più sostenibili e più democratici.

Se vogliamo trasformare per andare oltre il capitalismo, allora dobbiamo affrontarlo in tutte e tre queste dimensioni: consapevolezza, potere ed economia.

Non disponiamo del lusso di creare economie solidali in un vuoto. Ciò significa che dobbiamo metterle in pratica oggi in casa e nelle nostre comunità, non importa quanto piccola sia la dimensione. Al tempo stesso possiamo collaborare con altri per costruire alternative solidali più vaste e fare il duro lavoro di riformare i sistemi politici, economici e ideologici che rendono così difficile la vita per tanti.

Tutti possiamo mettere in pratica valori di solidarietà – vivere in solidarietà – cominciando in qualsiasi modo possiamo. E questo è il potere trasformativo dell’economia solidale, che non deve crescere solo costruendo organizzazioni e sistemi sempre più vasti. Può crescere grazie a molte persone in molti luoghi che perseguono la giustizia economica e sociale. Occorrerà riprendersi il governo per smantellare i sistemi che privilegiano il capitalismo e per reindirizzare le risorse pubbliche alle economie solidali. Possiamo cominciare tutti passando parola, condividendo la nostra immaginazione radicale del mondo nel quale vogliamo vivere.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/capitalism-is-not-the-only-choice/

Originale: yes! Magazine

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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