Dai dati Istat sull’occupazione, riferiti ad Ottobre 2017, pubblicati il 30 Novembre (*):

– Fra Ottobre 2017 ed Ottobre 2016 si sono persi 112.000 “occupati” nella fascia di età 25-49 anni (NOTA: è bene indicare “occupati” fra virgolette perché non si sa quante siano le ore di occupazione: basta anche un’ora di lavoro in una settimana per essere considerati “occupati”. E basta anche essere, ad esempio, uno dei collaboratori di Foodora, che guadagnano 3 euro per ogni consegna di pizza, per essere considerati “occupati”). A nessuno sfugge quanto sia socialmente importante la fascia d’età 25-49 anni, e quanto sia perciò grave che essa registri addirittura una regressione occupazionale (e quindi anche reddituale), con conseguenze anche drammatiche per molte famiglie

– Nello stesso periodo gli “occupati” lavoratori dipendenti sono aumentati di 387.000 unità: di questi, 39.000 (dunque il 10%) sono stati con contratto cosiddetto “permanente” (quello che non è, in partenza, limitato ad un periodo preciso, ma consente al datore di lavoro di licenziare quando vuole il dipendente, anche senza nessuna ragione specifica, semplicemente pagando una modesta indennità in funzione del periodo di lavoro prestato. Grazie al Jobs Act); gli altri 348.000 (quindi il 90%) sono stati “a termine” (non si sa quanto sia lungo il “termine”, può essere di qualche mese ma anche di una settimana)

– Intanto, si sono persi 140.000 lavoratori indipendenti (Prospetto 3): quindi, il saldo complessivo degli “occupati”, nel periodo indicato, è stato di +246.000 unità

– Gli “occupati” complessivi, al 31 Ottobre 2017, risultano essere 23.082.000; essi rappresentano (Prospetto 2) un “tasso di occupazione” (“rapporto tra gli occupati e la corrispondente popolazione di riferimento”, definizione data dall’Istat) pari al 58,1%. Questo vuol dire che la popolazione complessiva di coloro che sono in “età di lavoro”, cioè quelli nella fascia di età 15-64 anni, sono 39.728.000 (dividendo il numero di “occupati” per il “tasso di occupazione”: 23.082.000:0,581=39.728.000): di conseguenza, la differenza fra coloro che potrebbero lavorare e quelli che hanno una qualche forma di “occupazione”, fosse anche di un’ora a settimana, è di 16.646.000 (=39.728.000-23.082.000). Questo è il numero reale di coloro che, al 31 Ottobre 2017, non avevano alcuna forma di “occupazione”, e rappresentavano il 42% circa della popolazione in età di lavoro (=16.646.000:39.728.000). Possiamo chiamarli come ci pare: tanti sono quelli che non posseggono alcun reddito da lavoro. Nessuno, zero (tranne che non sia “nero” o illegale). Come definire un Paese in cui il 42% delle persone che potrebbero lavorare non hanno alcun tipo di attività, e non certo perché non siano disposti a lavorare ed anzi desiderosi di poterlo fare?

Questa è la realtà che esce, con tutti i limiti che esso ha e che sono stati più volte indicati, dall’ultimo Rapporto Istat su “Occupati e disoccupati” al 31 Ottobre 2017. Si sente dire da più parti, e soprattutto da ambienti governativi e del partito di maggioranza, che i dati pubblicati sono “incoraggianti, positivi”, che dimostrano che il Jobs Act dà buoni risultati e favorisce l’occupazione ed in particolare quella “permanente”, che l’Italia è ormai uscita dalla crisi e via cialtronando: chi legge può giudicare da solo quanto questo sia falso e corrisponda al solito tentativo di manipolare i numeri ed imbrogliare la gente. Ma tanto, la gente lo sa qual è la realtà vera del Paese: lo vive sulla sua pelle. E se ne ricorderà, al momento opportuno.

(*) http://www.istat.it/it/files/2017/11/CS_Occupati-e-disoccupati_OTTOBRE_2017.pdf?title=Occupati+e+disoccupati+%28mensili%29+-+30%2Fnov%2F2017+-+Testo+integrale+e+nota+metodologica.pdf

http://www.largine.it/index.php/i-dati-istat-e-i-soliti-imbrogli/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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