Città blindata e botte da orbi su kurdi e manifestanti che contestavano la venuta di Erdogan dal papa e dai vertici di Confondustria

testo e foto di Andrea Zennaro

Il dittatore turco Recep Tayyip Erdogan, in visita ufficiale a Roma, ha incontrato Papa Francesco, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Presidente del Coniglio Paolo Gentiloni e alcuni importanti imprenditori con i vertici di Confindustria. Motivo formale della visita era discutere con il Pontefice la questione di Gerusalemme, città santa delle tre religioni monoteiste, recentemente proclamata capitale israeliana in barba al diritto internazionale e a danno della popolazione araba che abita la città, con il solo riconoscimento degli Stati Uniti e di Israele stesso; è chiaro tuttavia che Erdogan intende usare la passerella mediatica di oggi per legittimarsi agli occhi delle democrazie europee, nonostante il forte autoritarismo e la brutale repressione che sono in vigore in Turchia. Non sorprende che il sultano inizi il suo corteggiamento dell’Europa proprio a partire dall’Italia, un Paese con forti flussi migratori: da anni, violando i più basilari diritti umani, la Turchia detiene centinaia di migliaia di profughi in fuga dalla guerra in Siria, con finanziamenti (circa 6 miliardi di euro l’anno) che l’Unione Europea fornisce al governo di Ankara per evitare che queste persone disperate vengano a turbare la quiete e la coscienza del vecchio continente. L’eventuale rottura di questo accordo è l’arma di ricatto che impedisce all’Europa (e quindi a buona parte della NATO) di condannare la politica del governo turco e la sua grave deriva autocratica.

Il principale bersaglio del militarismo di Ankara è il popolo curdo, non solo nell’area curdo-turca (Bakur), ma anche in quella curdo-siriana (Rojava), che seondo il diritto internazionale è fuori dalla giurisdizione turca. La guerra civile siriana iniziata nel 2011 ha permesso alla popolazione curda del Rojava di istaurare un sistema di autogoverno noto come confederalismo democratico basato sull’ecologia e sull’emancipazione delle donne. L’autogoverno del Rojava è stato visto con ostilità tanto dall’AKP (partito al governo in Turchia) sunnita che dall’integralismo sciita, cui fanno riferimento gruppi come Al Qaeda, Al Nusra e Daesh. Nel 2015 il Daesh (più noto in Occidente come ISIS) ha attaccato il Rojava spingendosi fino a Kobane, città al confine turco-siriano. A Kobane le YPG (unità di protezione del popolo curdo) e le YPJ (milizie curde femminili) hanno scacciato le truppe del Daesh e da qui hanno lanciato l’offensiva che ha portato alla liberazione di Raqqa. Nel frattempo migliaia di profughi hanno trovato rifugio nel cantone di Afrin, nel Rojava occidentale, continuando ad applicare il confederalismo democratico, un faro di civiltà per il Medio Oriente e per l’umamità intera. Le vittorie militari e il riconoscimento internazionale del popolo curdo hanno infastidito il regime turco. Nelle ultime settimane l’esercito turco ha violato il territorio siriano e dato il via a una sanguinosissima operazione militare contro Afrin, colpendo soprattutto la popolazione civile. La guerra porta il subdolo nome di «operazione Ramo d’Ulivo», volto a far credere all’opinione pubblica turca e internazionale che sia in corso non una carneficina ingiustificata ma una guerra al terrorismo, perché tale è l’accusa che ricade sul PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), fratello delle YPG e delle YPJ attivo sul fronte turco per il riconscimento del popolo curdo, e sul suo presidente Abdullah Ocalan, ideatore del confederalismo democratico. La cosa più grave è che ad attaccare Afrin non è solo l’esercito regolare di Ankara, ma anche soggetti (questi sì terroristi) come Al Qaeda, Al Nusra e Daesh, che con la Turchia danno vita a un’inedita alleanza islamica anticurda.
Dunque oggi i massimi vertici dello Stato italiano e della Confindustria hanno reso omaggio a Erdogan. Mentre Roma è militarizzata per l’allarme terrorismo, i palazzi del potere temporale e spirituale fanno gli onori di casa a un uomo dichiaratamente alleato di Al Qaeda e Daesh, ovvero i medesimi soggetti responsabili degli attentati che hanno insanguinato l’Occidente negli ultimi anni. Il tutto senza contare che in Turchia i leader dei partiti di opposizione (in particolare il filocurdo HDP, Partito Democratico dei Popoli) sono in carcere e migliaia di insegnanti, magistrati, avvocati e giornalisti sono stati licenziati in quanto dissidenti al regime.
La comunità curda romana e numerose altre persone si sono riunite lunedì mattina in un presidio autorizzato sotto Castel Sant’Angelo per esprimere il proprio sdegno verso questa visita. Nonostante l’autorizzazione della questura fosse già stata accordata, la manifestazione, piccola e pacifica, è stata sottoposta a misure di sicurezza ai limiti del ridicolo: circondata su tutti i lati da forze armate in assetto antisommossa con tanto di cavalli con caschi e cani antiesplosivo, mentre motoscafi con sommozzatori navigavano il Tevere e un elicottero sorvolava la zona. Un corteo spontaneo ha tentato di spingere sui cordoni a mani nude e volto scoperto per avvicnarsi a San Pietro, ma è stato fermato a manganellate, calci e colpi di scudo dai plotoni di polizia che hanno fermato due persone e causato vari feriti (una donna è stata manganellata e fatta cadere a terra, un uomo curdo riporta un evidente ematoma sulla fronte e un uomo anziano ha una mano gonfia). Dopo la prima carica nella piazza è tornata la calma, ma la questura ha comunicato che non avrebbe lasciato allontanare nessuno, se non dopo un’identificazione. Dopo ore che hanno visto alternarsi spinte e trattative per lasciare la piazza, è partita un’altra carica, totalmente ingiustificata. Il dirigente della polizia, ovviamente non identificabile perché privo di qualsivoglia numero o distintivo, si è improvvisamente accanito dal nulla nel manganellare ripetutamente alcune ragazze giovanissime (una riporta almeno 4 lividi su un braccio, un’altra ha un labbro visibilmente gonfio e un ragazzo presenta un gonfiore rosso sulla nuca). Nonostante il presidio fosse autorizzato solo fino alle 14, i partecipanti sono stati forzatamente tenuti chiusi nella piazza fino alle 18 circa (quando Erdogan si era ormai allontanato dal centro di Roma) senza poter andare in bagno né mangiare. Secondo alcuni esponenti di Giuristi Democratici, questo fatto rasenta il sequestro di persona. Nel frattempo alcune decine di persone fuori dalla piazza esprimevano la loro solidarietà lanciando bottiglie d’acqua e buste di pizza oltre i cordoni di polizia per far rifocillare i manifestanti ancora bloccati lì dall’intera giornata.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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