di Tracce

 

Due ai piedi dei muraglioni del Tevere e in sottofondo appena un accenno dell’acqua in movimento.

Bella.

Bella?

Bella.

Soltanto bella?!

Che c’è da dire di più. Splendida stupenda meravigliosa unica, lasciamo ai social questi aggettivi che adornano fotografie e riprese, per lo più selfish al 90%, di facce in tutte le salse ogni giorno rinnovate e sempre più stantie. Da qui il nome Libro di facce. Mia personale traduzione. Se fai uno scambio di consonanti e sostituisci c di face (inglese) con k ecco che risulta fake b.

Come sai tutte queste cose?

Mi sposto leggo e faccio i miei bisogni su tutto.

Chi sa quante città hai visto.

A volo.

…ma… il Colosseo… San Pietro…i tramonti che incendiano i Fori…le ville, il roseto, il giardino degli aranci, il centro storico, l’Eur, le catacombe, non sono mica fake b.

Sono tutti elementi che fanno guadagnare un Oscar a un film. Un film che si è accaparrato il voto quasi completamente per via dei luoghi che hai citati.

Una ripresa panoramica.

Da una terrazza riservata ai ricchi, a quelli che ci vivono senza sapere con quali soldi è stata loro donata dal donatore; brave persone immerse in una cerchia di personaggi un poco affaccendierati in un’alba euroimpregnata di imprenditori ministri consiglieri onorevoli e senatori che (le brave persone) non riescono a focalizzare e dei quali pare loro superfluo per non dire ineducato approfondire l’essenza comportamentale. Basta. Non assumere quell’ espressione incerta. Mi reputi un tantino esagerato. Condivido. Le asserzioni non bastano. Vieni. Ho qualcosa da mostrarti.

Agilmente si affrettano per le scalette, superano il Lungotevere e approdano in Piazza Cavour.

Beh che c’è qui di bello? Il Palazzaccio (la sede della Corte di Cassazione per chi romano non è), il cinema Adriano, in fondo a una via che si dirama dalla piazza si vedono i parapetti del Lungotevere, una cupola immancabile di chi sa quale chiesa o basilica, la statua di Camillo Benso conte di Cavour, la sede proprio in faccia al Palazzaccio di una rinomata enoteca.

Guarda bene.

Io guardo guardo non vedo altro che un po’ di praticelli erbosi diverse palme che qui ci stanno meglio che in Piazza Duomo a Milano qualche panchina, uno che ci dorme sopra al sole (oggi febbraio c’è e pure tiepido) e…

Quella, giovane amico, è una terrazza e lì sdraiato e intorpidito dal sole, c’è l’omologo del personaggio alba euroimpregnata con vista panoramica del quale ti ho parlato. Uno zaino per cuscino, l’ombra di una palma tra poco, un berretto in testa e le braccia lungo i fianchi. Quando il sole si muove, si scuote e trova un altro lato della sua veranda dove sdraiarsi, intorpidito.

Ma è un barbone un senza carte un senza casa… E e poi a piano terra che terrazza è. Uno che che ha rinunciato, senza risorse e poi quale terrazza è è è

Che fai zagagli. Mi pari quella pubblicità con l’eco è è è.  Non sarà terrazza ma veranda sì. Ha rinunciato, per suo volere o no, è da verificare. Per suo volere, mi fa sentire bene.  Seguimi. Ti voglio mostrare la sua casa. Un monolocale.

Quella?!

 

Quella : il suo letto, tipo giapponese, materasso a terra, un armadio a vista, con ripiano per lo zaino, sempre a vista, le coperte piegate, ammira la razionalità, il minimalismo.

L’esterno della vetrata di ingresso di un locale vuoto privo di affittuari. Che c’entra il manimal… minimals…che.. l’esterno di una vetrina sfitta è l’esterno di una vetrina sfitta.

No ascolta e impara : si tratta di uno stile architettonico, vedi il muro rientra ai lati, sopra e sotto, cerco di spiegare,  forma una rientranza, non sporge in fuori: non è aggettante. Insomma la vetrata di ingresso non è a filo coi muri e offre riparo in inverno e in estate. Non molto. Ma un minimo sì. Monolocale tipo loft e comprende tutto attorno una veranda comune ai condomini.

Cose così so farmele da me, senza scatole di montaggio con quelle maledette istruzioni che non si capiscono mai. Piano piano, con pazienza e molti arrangiamenti. Ci sono cresciuto in un posto del genere allestito da mio padre e mia madre, anzi per la maggior parte da mio padre, mia madre era incinta all’epoca. Di me e dei miei fratelli.

Si chiama Wright quell’architetto, bestia che sei e il suo nome è scritto tra i grandi dell’architettura. Non gli piacevano i balconi protesi all’esterno e molte altre cose sempre sporgenti aggettanti, appunto. Si dava anche da fare per l’edilizia comune, popolare. Un po’ l’opposto di Gaudì.

Mi sento un po’ confuso.

Hai visto, guardato bene? Posto che ti piace tanto Roma ti voglio mostrare alcune immagini esposte nelle mie gallerie.

E quante ne avrai mai ? Beato te, io non ne ho neanche una.

Magari non lo sai, ma hai i quadri che occorrono. Via via che vai in giro li collezioni. Il resto arriva dopo,

Mi piacerebbe e tu le hai qui ? Le gallerie. Un imprenditore.  Mitico. Dove stiamo andando ?

Sei qui da poco, mi ricordi me com’ero quando sono arrivato. Sei simpatico e non

somigli a quei nugoli di vecchiacce stridule sempre in giro o a quegli altri schiamazzanti che hanno sempre fretta e si agitano senza vedere niente e si spintonano per essere in prima fila a rimpinzarsi di cibo e affogarsi di bevande. Non li sopporto. Sbrighiamoci.

Non riesco a starti dietro.

Uhhh, si insinuano tra piedi che inseguono piedi, pronti a scansare mezzi di trasporto, motorette e vetture scure zeppe di personaggi al di sopra della normalità, comodamente trasportati per vie negate ai comuni mortali, vetture importanti che si seguono si affiancano si superano senza soluzione di continuità in quantità esponenziale dirette a importanti posti di comando.

Guarda.

Sempre vetrine sempre vetrine che noia, tutto qui.

Perché guardi e non vedi. Gallerie. Opere in esposizione nell’epoca della riproducibilità tecnica. Cominciamo da Via Tomacelli.

E’ quella del Macello e del monte dei cocci?

Sta tutta da un’altra parte. Devi saper orizzontarti. Ma dove stai con la testa non conosci i quartieri non hai mai visto un’incisione una mappa

Come no ci mancherebbe con Google

Di Piranesi altro che quello lì, Piranesi ogni angolo ha illustrato, ogni scala, ogni vicolo, ogni fontana, la campagna intorno all’Urbe, piccola bestia ignorante. Eccoci a via Tomacelli. Attraversiamo al semaforo se no ci fanno alla piastra.

Via, via, sono tornati l’antichi romani, non li avevano cacciati multati azzerati annullati.. O so’ alieni? O anche no.

Sono costruzioni, fatte con pazienza, pezzo per pezzo. Mattoncini, si chiamano, è un giuoco in scatola. Ma per davvero non hai mai visto non hai mai toccato un mattoncino

E come no ma per chi mi prendi ci si fanno le case

Fijetto caro parlo di quelli di …come faccio a spiegarti. Si infilano uno dentro l’altro e ci si fa di tutto. Una nave, una giostra, un alieno come hai detto tu.

Un mosaico?

L’idea è quella. Tridimensionale. Ci fai quello che vuoi, scegli la scatola e trovi tutti i pezzi i così detti mattoncini. E ci passi la vita. E riesci a estraniarti da quello che ti sta attorno. Che, poi, non è tanto sbagliato.

E sono tutti fatti co ‘sti pezzettini infilati uno dentro l’altro. Aggregati. E non si disgregano ? Non si scollano ? Visto che so’ solo incastrati.

Questi no, ma ci sono altri esempi di aggregazioni e aggregati ex ante che si possono ex post dissolvere facendo qualche danno. Esplosione, implosione, crollo.

Davvero? Mi piacerebbe vedere come succede.

Una delle più importanti implosioni l’hai già vista.

E quale?

Quella di un insieme di uomini e di idee che operavano per un bene comune. Utile ad altri e al paese.

Come l’Inps, l’Eni, le banche.

L’idea sarebbe questa, sì ma questi non sono implosi. Anzi. Un magna, pardon un magma.

E questo edificio imploso qual’è comesichiama, non mi ricordo.

L’implosione ha distrutto anche il nome. Qualcuno l’ha raccattato facendo a pugni, una zuffa che non dico, è tuo, è mio, no che dici, racimolando ogni residuo, pregno di cenere contorto dal fuoco (amico) e l’ha riverniciato lucidato incollato con rari pezzetti vecchi e tutti gli altri rabberciati su misura così che gli serve da hashtag, da etichetta, e va avanti a rivenderlo per autentico. Ma si tratta di un falso. E la vedi quella pietra bianca ed enorme sospesa tra due specie di rami in fondo. Quella serve da monito. Dicono i rami: fate attenzione non mettetemi tarli addosso che altrimenti questo masso tra le braccia io lo sgancio pe’ fa’ ‘na buca quanto la cloaca massima e ci finite tutti. Che, a pensarci su, non sarebbe malaccio.

Davvero?

Staremo a vedere. Presto.

Davvero ?

Prima di primavera. E’ tempo suo. Ora a via Condotti.

Tu ce l’hai con me. Lo sai che ho paura dei cani, anche di quelli piccoli. Me la faccio sotto.

Sono negli stalli, di lusso ma sempre stalli. Fanno la guardia a oggetti che costano un sacco uno sproposito proporzionato alla differenza di ceto. Condannati ad essere prigionieri degli oggetti che sorvegliano.

Quello nelle sabbie mobili, gli sta bene. Affonda affonda , e tuttavia i piccoli sono quelli che mozzicano di più. Va a finire che ci si rimettono le penne.

Ah MarcoPepeMeoPatacca certo che sei coraggioso al di qua del vetro a ondeggiargli davanti e storcere il collo e fare urlacci.

E mbè !?

Vieni via. Ti faccio vedere piazza di Spagna come non l’hai mai vista.

Pupazzi con maschere nere che mi fanno paura.

Hai ragione, il nero può far rabbia e paura, camicie, vessilli…                                          Nero.

Non è cioccolata. Non è caffè.

Nero.

E’ una moda che crediamo di avere annientato ma ritorna, continua a ritornare, occorre porre molta attenzione. La mala pianta si rigenera.

Contorni esili come filo di ferro di uomini e donne drappeggiati di tessuti colorati.        Vai oltre e visita l’esposizione. Quello di lato è uno dei guardiani che custodiscono la piazza nelle mie gallerie. Trinità dei Monti sullo sfondo, palazzi, e costano sai costano loro e tutto quel che hanno addosso, costano; ma la bellezza della scalinata della fontana della colonna con la statua in cima è free.  Le Opere sono esposte gratis nelle mie gallerie.

Ti credo. Sono solo riflessi.

Immarcescibili. Variano di colore col variare delle ore, meriterebbero, questi riflessi, un prezzo per essere esposti insieme alla merce, un prezzo più alto di quello più alto attribuito al più alto fra gli oggetti esposti. Come questa. Ma non è quantificabile.

O quest’altra. Bella e precaria, non ha difesa, non ha riparo, effimera dura il tempo che dura esposta al sole al vento alla pioggia e ad altri gesti che la ricopriranno all’ingresso della metropolitana Spagna.

Anche questa tua?

Non più. Te la regalo.                                                                                            Andiamo, adesso, è tardi. La vedi quella strada lunga e diritta con due grandi marciapiedi, che non sono quelli originali, riservati ai pedoni e uno stretto corridoio in mezzo per il traffico, molto selettivo, di auto. Blu naturalmente e di taxi. All’estremità del senso unico una gran macchia di cielo azzurro uno stelo diritto e delle mura antiche. Una lapide occupa una porzione del muro e ricorda che due carbonari qui sono stati giustiziati.

E perché giustiziare due che facevano carbone?

Sei una bestia.

E ce lo so.

Erano esseri umani in cerca di libertà. Volevano Roma fuori dal papato in una Italia Giovane.

E cocevano le callarroste cor carbone. Tale e quale l’indiano all’angolo.

Mi arrendo. Il carbone non c’entra si chiamavano così perché si chiamavano così per riconoscersi tra loro.

Ah una chat un nickname un gruppo

Non si può bestemmiare la storia. Mi arrendo nella mia massima estensione. D’altro canto non sei solo tu a bestemmiare le radici di questa città. Che ne puoi sapere tu l’ultimo venuto l’ultimo nato che questa strada aveva marciapiedi stretti e un mucchio di botteghe e le sedi dei grandi mercanti d’arte, Claudio Bruni della Medusa, Tanino Chiurazzi fra le molte, e tutti gli antiquari rinomati nel mondo e restauratori, corniciai, e in fondo la sede RAI. Ora un albergo americano e, una sull’altra, vetrine colme degli stracci più prestigiosi, quelli che si vendono a peso d’oro piume spiumazzi tutti in fila a ghignare davanti ai volti di quelli che sbavano perché sanno che mai nella vita potranno acquistare un centimetro di quanto esposto e quei maschioni schierati all’interno a gonfiare muscoli e digrignare denti per impaurire taccheggiatori eventuali che verranno esclusi a calci ancor prima di entrare. Devi vedere con che aria di superiorità e di tolleranza ti tengono a distanza se appena hai il coraggio di socchiudere il portale. La statua nella vasca (poteva essere perfino quella di Pasquino) una volta o l’altra si tira su e se ne va, si scrolla il muschio di dosso prima che a qualcuno venga l’idea di dar l’incarico a qualche architetto di farne un appendiabiti di marchio o una panchina o un ponte, il ponte del Babuino, mi pare la cosa migliore : l’IDEA. O, meglio ancora, di imprigionarla in una teca bianco-gesso (facile il cambio di consonante) come l’Ara Pacis.

Ma davvero

Eh sì…Una cosa  e poi basta per oggi.

Quel buchetto là, tutto moderno e lucente col bancone da fantascienza colmo della solita mercanzia a taglio, da portar via, pizza panini, burger e magari kebab ornato da lavagnette ai lati dell’ingresso corredate da scritte. ( ”orore”?! ), col gessetto bianco. Quel che resta del favoloso “Baretto” dove si mescevano bicchieri di vino e pezzi di grana per la “vernice” delle mostre degli artisti. Dove tutti incontravano tutti. Artisti giornalisti, cinematografari, teatranti.

Vernice?

Vernice. Vernissage. Il giorno dell’inaugurazione della mostra. Vino fresco e grana a tocchi, fu l’invenzione degli anni ’60.

M’è venuta fame. Andiamo a San Silvestro a rimediare qualcosa per pranzo.

Va’ tu. Mo’ so’ stanco. Gonfio di rabbia per quello che hanno fatto a sta’ città. Conosco un posto ar Fiume, un po’ nascosto, dove non vanno in tanti pe’ rinfrescamme er becco. Vie’ co’ mme.

C’è da mangiare.

Qualcosa se rimedia.

Non c’è mai un bus quando serve, e se pigliassimo un taxi ?

Col fatto che sei nato incollato ai sampietrini non conosci la lievità dell’aria aperta e libera. Sei pesante, sai. Muoviti.  A volo.

 

 

 

 

Di Tracce

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