Soumalia Sacko veniva dal Mali, faceva il bracciante, aveva 29 anni. Lo hanno preso a fucilate da 60 metri, cercava lamiere per la sua baracca a S.Ferdinando

di Checchino Antonini

Soumaila Sacko, bracciante, attivista sindacale, assassinato mentre cercava lamiere per la sua baracca

Si chiamava Soumaila Sacko. Lo hanno preso a fucilate mentre cercava lamiere per la sua baracca in una fabbrica abbandonata. L’era Salvini comincia così. Comincia anche con un lancio di agenzia e titoli conseguenti che spiegano come un migrante morto e due feriti siano «il bilancio di una sparatoria» e non di un tirassegno vigliacco. Gli hanno sparato da sessanta metri in località Ex Fornace, a San Calogero, nel vibonese. Gli inquirenti «avrebbero le idee ben chiare e starebbero seguendo una pista precisa per risalire all’autore», assicura il cronista dell’agenzia . La vittima è un bracciate originario del Mali di 29 anni, Soumaila Sacko, uno che lottava per i diritti sociali e sindacali dei braccianti. Raggiunto alla testa da alcuni pallettoni sparati con un fucile, l’uomo è stato trasportato d’urgenza nell’ospedale di Reggio Calabria dove è morto poco dopo il ricovero. Lievi le ferite per gli altri due. I tre, tutti regolari in Italia, secondo la ricostruzione dei carabinieri della Compagnia di Tropea che conducono le indagini coordinate dalla procura della Repubblica di Vibo Valentia, erano giunti a piedi in un vecchio capannone abbandonato da San Ferdinando (Reggio Calabria) dove vivono per prendere alcune lamiere da utilizzare nella baraccopoli. «Mentre eravamo li – ha raccontato stamani uno dei feriti, Drane Maoiheri, di 39 anni, già tornato alla baraccopoli – si è fermata una Fiat Panda bianca vecchio modello ed è sceso un uomo con un fucile che ci ha sparato contro 4 volte». La «vendetta per il furto delle lamiere» sarebbe l’ipotesi su cui si sono concentrate le attenzioni degli investigatori «che escludono la matrice xenofoba». Nella tendopoli ufficiale vivono circa 800 migranti, nella baraccopoli distante poche centinaia di metri ne vivono attualmente altri circa 2-300, il picco, con 4mila presenze si raggiunge nel periodo invernale per la raccolta degli agrumi e dei kiwi.

«“È finita la pacchia” – scrive Usb che per domani ha proclamato uno sciopero bracciantile con assemblee nei posti di lavoro – la dottrina di Matteo Salvini, ha fatto scorrere il primo sangue ieri sera in Calabria, il sangue di Soumaila Sacko, migrante maliano di 29 anni sempre in prima fila nelle lotte dell’Unione Sindacale di Base. Soumaila è stato ucciso da un tiro al bersaglio contro “lo straniero”, il nero cattivo da rispedire nel paese d’origine. Il triste seguito delle parole pronunciate dal nuovo ministro di polizia. Tutto questo al ministro di polizia Salvini non interessa. Troppo impegnato a minacciare a destra e a manca: i migranti, le ong, il sindaco di Riace perché si schiera con gli ultimi». «Hanno ammazzato uno di noi – dice anche Viola Carofalo, portavoce di PaP – un bracciante, uno che si spezzava la schiena nei campi, sotto il sole, senza diritti. Hanno ammazzato un lavoratore, uno che stava sempre in prima fila per i diritti Usb. Uno giovane, nemmeno 30 anni, tutta la vita davanti. Nessuno lo dirà. La sentenza è già stata scritta: hanno sparato a un nero per legittima difesa, perchè rubava. E invece Soumaila stava cercando, forse, lamiere per costruirsi  una baracca in cui vivere nelle poche ore di stacco dal lavoro, in una fabbrica abbandonata, dismessa. Qualcuno si è divertito a fare il cecchino, sparandogli dalla distanza di 60 metri – altro che pericolo! – e alle spalle. I lavoratori dei campi di Gioia Tauro vivono nella tendopoli di san Ferdinando, in 4000. I padroni dei campi li scelgono come fossero al supermarket e li fanno lavorare come schiavi, arricchendosi enormemente. Il problema non è cercare lamiere per costruirsi un riparo, il problema è essere costretti a vivere in un riparo fatto di lastroni d’alluminio per guadagnare il pane. Qualcuno chiama tutto questo “pacchia”, come il nuovo ministro degli Interni e Vicepremier Matteo Salvini.
«Per il quinto anno consecutivo dobbiamo purtroppo constatare che sull’emergenza profughi e lavoratori stagionali di San Ferdinando ben poco e cambiato», ha detto pochi giorni prima dell’omicidio Jennifer Locatelli, coordinatrice e autrice del Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri nella Piana di Gioia Tauro realizzato da Medu, Medici per i diritti umani, in collaborazione con Arci «Iqbal Masih» di Venosa, Flai-Cgil di Gioia Tauro, Comune di Rosarno, Terra Onlus, Associazione culturale Zalab e Amisnet/Echis. Secondo il rapporto sono 3.500 le persone, distribuite in vari insediamenti sparsi sul territorio utilizzate come manodopera a basso costo dai produttori locali di arance, clementine e kiwi. La maggior parte di loro si concentra a San Ferdinando dove permangono gravi carenze igienico sanitarie a livello abitativo e di sicurezza. «Nel lavoro – ha aggiunto Locatelli – se anche si registra un lieve incremento delle regolarizzazioni dei lavoratori, che raggiunge appena il 30% del totale, non vengono sempre rispettati i più elementari diritti ed è spesso a rischio anche la stessa paga del lavoro». Il rapporto Medu riguarda anche aspetti come conoscenza della lingua, condizioni sanitarie, documentazione per motivi umanitari o richiesta asilo. «Il quadro complessivo resta allarmante – è scritto nel rapporto – anche se non sono mancate promesse e dichiarazioni da parte delle istituzioni di interventi per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei braccianti. Ma si tratta di un impegno sulla carta e a parole che non si è ancora tradotto in azioni concrete». «Le nostre più che proposte sono raccomandazioni – ha sostenuto ancora Locatelli – nel campo abitativo, lavorativo, delle condizioni giuridiche ed anche della salute. Soluzioni che sono state già individuate dalle istituzioni e contenute nei protocolli e nelle convenzioni sottoscritte negli anni. Diciamo che c’è già una sensibilità. Quello che manca sono dei passi concreti. Cominciamo a fare dei primi passi per poter vedere un cambio reale della situazione».

«Il silenzio del ministro degli Interni sull’assassinio del bracciante africano in Calabria è vergognoso quanto le sue dichiarazioni. Non è la prima volta che si spara contro i migranti in quelle zone, accade almeno dal 2004. Accade dopo che si è dimenticata la rivolta di Rosarno e mai si è voluta affrontare la condizione lavorativa e abitativa di tanti uomini e donne. Ma il neo ministro dell’interno è stato chiaro sin da ieri “la pacchia è finita” ha dichiarato e immediatamente per qualcuno è  scattata la licenza di uccidere. Forse Salvini non fa tweet non solo perché per lui la vita di un immigrato non vale nulla ma anche perché sospetta che come a Fermo a sparare sia stato un suo sostenitore. Siamo dalla parte di lavoratori come Sacko, dalla parte di chi come lui continua ad essere sfruttato per pochi euro. E il 16 giugno manifesteremo a Roma al fianco dei suoi compagni», dice anche Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista, esponente del coordinamento nazionale di Potere al popolo.

https://www.popoffquotidiano.it/2018/06/03/un-bracciante-africano-e-il-primo-morto-dellera-salvini/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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