Francesco Cecchini
Iván Duque e Alvaro Uribe
Al ballottaggio del 17 giugno per la scelta del presidente, il 54% degli elettori colombiani ha votato Iván Duque e il 41.8a % di Gustavo Petro. Alte sono state le schede bianche o nulle, 800.000, il 4.2 %. Ivan Duque è l’uomo della destra del partito Centro democratico e dell’ex-Presidente Alvaro Uribe, il nemico numero uno della pace. In Colombia si parla di uribismo 2.0. Sono contenti i cartelli della droga e i narco-trafficanti, lo stesso Alvaro Uribe è implicato nel traffico di cocaina. Lo sono anche i paramilitari che hanno appoggiato Duque. Il narco-paramilitarismo esce rafforzato come ai tempi di Uribe. La Colombia inizia una fase critica importante di transizione dopo un anno e mezzo dalla firma degli accordi con le FARC-EP, a cui Duque intende fare modifiche importanti. Dopo il risultato a lui favorevole Duque ha dichiarato: “Quella pace che desideriamo, che richiede correzioni, avrà correzioni in modo che le vittime siano al centro del processo per garantire verità, giustizia e riparazione”. Significativa è la sua affermazione che Jesús Santrich ex leader delle FARC-EP accusato dagli Stati Uniti di narcotraffico deve estradato rapidamente a quel paese. Per quanto riguarda l’ELN, che ha terminato il quinto ciclo di negoziati per la pace all’Avana. Iván Duque prima delle elezione a presidente dichiarò a Radio Caracol che se non ci sarà una concentrazione dei guerriglieri dell’ELN e la cessazione di attività come l’estorsione e il traffico di droga, porrà fine al tavolo di pace all’Avana. Anche se fosse stato concordato una cessazione bilaterale del fuoco prima della sua elezione avrebbe mantenuto questo atteggiamento. Quello che Duque chiede all’ELN è più una resa che un accordo di pace. L’uomo di Uribe costituisce un serio ostacolo alla pace in una situazione già di per sé negativa. A distanza di un anno e mezzo dalla firma degli accordi di pace, la maggior parte di questi non è stata applicata. La smobilitazione delle FARC-EP è stata seguita da un incremento degli omicidi di dirigenti sociali e difensori dei diritti umani, nonché dall’occupazione paramilitare dei territori abbandonati dagli ex-guerriglieri, sotto gli occhi dell’Esercito. Il fenomeno degli sfollati è immenso, quasi 7 milioni di esseri umani, moltissimi in Venezuela, che vorrebbero ritornare alle loro terre, occupate da latifondisti, con l’aiuto dei paramilitari. Di fronte a questa situazione, Duque nuovo presidente, Rodrigo Londoño Echeverri, nome di battaglia di Timoleón Jiménez, leader del partito FARC ha chiesto una riunione per discutere e rigettare i cambi all’accordo di pace e l’ELN lo ha invitato all’Avana. Vi sono aspettative, ma anche scetticismo riguardo l’esito positivo di queste iniziative. Molto dipenderà dall’opposizione all’uribismo 2.0 nelle istituzioni e nel paese. Fatto positivo è, nonostante la sconfitta, il risultato ottenuto da Gustavo Petro, il candidato di sinistra Gustavo Petro che è passato in tre settimane da 5 a 8 milioni di voti, vincendo a Bogotá, e nelle regioni Atlántico, Nariño, Cauca, Chocó, Vaupés, Sucre, Putumayo e Valle e mobilitando un elettorato giovane e progressista. Un risultato storico per il centro sinistra e la sinistra, è nata una forza politica che ha l’appoggio di 8 milioni di colombiani. Petro ha dichiarato: “Non c’è stata sconfitta. Andiamo al Senato non per vedere come vengono negoziati i vari articoli ma per ricorrere alle piazze, in caso di bisogno “. Il leader progressista andrà al Congresso grazie a una riforma del bilanciamento dei poteri approvata nel 2015 al Congresso della Repubblica, che indica che il perdente delle elezioni presidenziali avrà un seggio al Senato e un posto di vice-presidente nella Camera dei Rappresentanti. Fondamentale sarà il ruolo di Gustavo Petro nell’opporsi ad evitare lo stravolgimento degli accordi di pace, nella realizzazione di questi e nel negoziato in corso con l’ELN.