اطفال اليمن ضحية العنجهية السعودية
اطفال اليمن ضحية العنجهية السعودية

Di Rajan Menon

 

E’ una guerra dall’inferno, quella guerra selvaggia che l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti stanno combattendo in Yemen insieme ad altri sette stati del Medio oriente e dell’Africa, fin dal marzo 2015, con l’appoggio generoso del Pentagono e    delle armi americane in abbondanza. Ha tutto. Bambini morti a dozzine, una campagna aerea senza fine a cui fanno scarsa attenzione i civili, carestia, colera e altro ancora. Non c’è da meravigliarsi se questa guerra affronta critiche crescenti al Congresso e dai gruppi per i diritti umani. Tuttavia, fin da quando il Presidente Donald Trump (come Barack Obama prima di lui) ha aderito alla coalizione guidata dai Sauditi come il virtuoso cavaliere errante in Medio Oriente, la lotta contro i ribelli indigenti Huthi dello Yemen che – a loro volta sono stati considerati  i fantocci dell’Iran – è diventata più violenta. Nel frattempo, l’affiliato di al-Qaida lì, continua a espandersi. (Si chiama Gruppo islamista militante al-Qaida nella Penisola Araba, n.d.t.).

Da anni, oramai, una implacabile campagna aerea saudita (letteralmente alimentata dalle forze armate degli  Stati Uniti), ha colpito infiniti obiettivi civili, usando le bombe intelligenti e i missili americani senza una parola  di protesta o una   lagnanza  da parte di Washington. Soltanto un massacro molto pubblicizzato in modo del tutto fuori luogo, ha, di recente costretto il Pentagono a farsi sentire debolmente, Il 7 agosto, un attacco aereo ha colpito uno scuola bus – con una bomba a guida laser fabbricata  dalla Lockheed Martin – nello Yemen settentrionale che ha ucciso 51 persone,  40 dei quali scolari. Altre 79 persone sono state ferite, compresi 56 bambini. Subito dopo, un gruppo di esperti nominato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ha pubblicato un rapporto che descriveva in dettaglio altri numerosi vergognosi attacchi  a civili yemeniti, comprese persone che partecipavano a matrimoni e a funerali. Quello che forse è stato il peggiore di questi, ha ucciso 137 persone e ne ha ferite altre 695 durante un funerale a Sana’a, la capitale dello Yemen, nel mese di aprile di quest’anno.

L’attacco a questi scolari e il rapporto dell’ONU hanno intensificato una crescente   protesta globale contro la carneficina in Yemen.    Il 28 agosto, il Segretario alla Difesa, James Mattis, ha fatto sapere che l’appoggio dell’amministrazione Trump alla campagna militare dei potentati  del Golfo Persico, non si sarebbe dovuto considerare

Disponibile, che i Sauditi e i loro alleati devono fare “ogni cosa umanamente possibile per evitare qualsiasi perdita di vita.” Considerando che non si sono avvicinati a rispettare uno standard di quel genere, da quando è cominciata la guerra,  quasi cinque anni fa e che l’amministrazione Trump non ha, chiaramente, intenzione di ridurre il suo appoggio ai Sauditi o alla loro guerra, il nuovo criterio di Mattis equivaleva a uno scherzo crudele  –  a spese dei civili yemeniti.

Le  statistiche della sofferenza

Alcune cifre spaventose documentano l’angoscia che gli Yemeniti hanno sopportato. Fin dal 2015, gli aerei da guerra sauditi e degli Emirati, ufficialmente, hanno ucciso– ed è considerata una cifra moderata –  6,475 civili e ne hanno feriti più di 10,000. Tra gli obiettivi colpiti ci sono state aziende agricole, case, mercati, ospedali, scuole e moschee, così come antichi siti storici a Sana’a. E questi non sono stati attacchi compiuti una volta sola. Sono accaduti ripetutamente.

Nell’aprile 2018, la coalizione a guida saudita ha condotto 17.243 attacchi aerei in tutto lo Yemen, colpendo 386 aziende agricole, 212 scuole, 183 mercati e 44 moschee. Tali statistiche rendono ridicole le ripetute richieste dei Sauditi e dei loro alleati che tali “incidenti” dovrebbero essere attribuiti a comprensibili errori e che essi prendono ogni possibile precauzione per proteggere gli innocenti. Le statistiche compilate dall’indipendente Yemen Data Project (un progetto indipendente e no profit di monitoraggio del conflitto, n.d.t.) chiariscono che i monarchi del Golfo non restano svegli a letto di notte, piangendo le morti di civili yemeniti.

L’Arabia Saudita e i suoi partner hanno accusato gli Huthi, cioè i ribelli con cui sono stati in una lotta così letale, di avere attaccato anche i civili yemeniti, accusa che è stata convalidata dall’Osservatorio per i Diritti Umani. Tuttavia, questa difesa “lo fanno anche loro” no scusa certamente i bombardamenti implacabili su siti non militari a opera di una coalizione che ha una superiorità schiacciante come potenza di fuoco. I crimini degli Huthi, al confronto, impallidiscono.

E quando si tratta della distruzione di vite dei civili e dei mezzi di sostentamento, che lo crediate o no, questo potrebbe essere il minimo. Considerate il blocco navale a opera dell’Arabia Saudita e degli Emirati che hanno ridotto il numero delle navi attraccate nel porto di Hodeida controllato dagli Huthi da 129 tra il gennaio e l’agosto 2014 a 21 negli stessi mesi del 2017. La conseguenza: molto meno cibo e medicine entrate nel paese, fatti che ha creato un disastro per gli Yemeniti.

Quel paese, il più povero del mondo arabo  ha fatto affidamento lungo tempo sulle importazioni per uno sconcertante  85% del proprio cibo,  combustibile  e medicine, e quindi, quando i prezzi sono aumentati, la carestia si è diffusa, mentre la fame ea malnutrizione sono balzate alle stelle. Quasi 18 milioni di Yemeniti ora fanno affidamento sugli aiuti alimentari di emergenza, per sopravvivere; sono un incredibile 80% della popolazione. Secondo la Banca Mondiale, “altri 8,4 milioni sono sull’orlo della carestia.” Nel dicembre 2017, in seguito a una raffica  di cattiva pubblicità, il blocco di Arabia Saudita-Emirati è stato marginalmente diminuito, ma aveva già messo in moto una spirale di morte.

Il blocco ha contribuito anche a una epidemia di colera che la scarsità  di medicine ha esacerbato. Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tra l’aprile 2017 e il luglio 2018 in Yemen ci sono stati più di 1,2 milione di casi di colera. Almeno 2310 persone sono morte per quella malattia, la maggior parte delle quali erano bambini. Si reputa che sia stata la peggiore epidemia di colera da quando si sono cominciate a compilare le statistiche, nel 1949. Con 800.000 casi tra il 2010 e il 2017 Haiti deteneva il precedente record che gli Yemeniti hanno superato dopo un anno e mezzo dalla comparsa dei primo casi. I principali fattori che hanno contribuito all’epidemia sono stati: l’acqua potabile contaminata dalla spazzatura in putrefazione (non raccolta a causa della guerra), sistemi fognari distrutti, e impianti di filtrazione dell’acqua che non hanno più funzionato a causa della mancanza di combustibile; tutto questo è conseguenza della spaventosa campagna di bombardamenti.

I blocchi economici del periodo bellico fanno morire di fame e  fanno ammalare sia i civili che i soldati, ed equivalgono, quindi a un crimine di guerra. L’affermazione  di Arabia Saudita ed Emirati che l’unico scopo del blocco è di arrestare  il flusso di armi iraniane agli Huthi, è una sciocchezza, e non può essere considerato un atto legittimo di autodifesa, anche se è stato istituito dopo che gli Huthi hanno lanciato missili balistici contro l’aeroporto della capitale saudita e  contro la residenza del monarca di quel paese. (Entrambi i missili sono stati abbattuti dalla difesa aera saudita e sono state chiare reazioni agli attacchi aerei della coalizione sul territorio nelle mani degli Huthi, i quali hanno provocato la morte di 136 civili). In base agli standard della legge umanitaria internazionale o del semplice senso comune, aver bloccato le importazioni dello Yemen è stata una reazione sproporzionata e non ci voleva la chiaroveggenza  per prevedere le disastrose conseguenze che ne sarebbero seguite.

Come al solito, l’ambasciatrice di Trump all’ONU, Nikki Haley, ha fatto eco alle accuse saudite che i missili degli Huthi erano missili balistici Qiam-1,  forniti dall’Iran e ha condannato l’interferenza di quel paese in Yemen. Data la portata della distruzione causata da una coalizione straniera che usava armamenti e assistenza tecnica fornita dagli Stati Uniti (e dalla Gran Bretagna), i suoi commenti, in circostanze meno difficili, sarebbero stati risibili.

Quelle armi fornite dall’America comprendevano munizioni a grappolo, che costituiscono un rischio particolare per i civili perché, quando vengono fatte cadere da un aereo, le loro    devastanti spesso si disperdono su zone enormi. (Le bombe di questo tipo sono vietate in base a un trattato del 2008 firmato da 120 paesi a cui né Riyadh né Washington hanno aderito). Nel maggio 2016, la Casa Bianca di Obama ha confermato di avere smesso di inviare tali armi all’Arabia Saudita che ha, allora, continuato a usare delle varianti fabbricate in Brasile. Altre armi americane hanno, comunque, continuato ad affluire in Arabia Saudita, mentre i suoi aerei da guerra fanno affidamento sulle autocisterne dell’aeronautica militare statunitense  per il rifornimento in volo (88 milioni di libbre di combustibile fino a gennaio 2018, secondo una portavoce del Commando Centrale), mentre le forze armate saudite hanno ricevuto regolari informazioni segrete  e consigli per l’individuazione degli obiettivi  dal Pentagono fin da quando è cominciata la guerra. Con l’arrivo di Donald Trump, questo coinvolgimento delle forze armate è aumentato: le forze statunitensi per le Operazioni Speciali sono ora al confine tra Arabia Saudita e Yemen, aiutando a cercare e ad attaccare i fortini degli Huthi.

Nel giugno 2018, ignorando l’opposizione degli Stati Uniti, la coalizione saudita ha

aumentato ancora di più il rischio per i civili yemeniti dando il via a un’offensiva (“Golden Victory”) per prendere il controllo del porto di Hodeida. (Questo è quanto per la dichiarazione standard del Pentagono che appoggiare la guerra influenza il modo in cui è intrapresa e quindi limita il numero di vittime civili). La forza aerea e le navi da guerra dell’Arabia Saudita e degli Emirati hanno appoggiato le truppe degli Emirati e quelle sudanesi sul terreno a cui si sono aggiunte le milizie yemenite. L’avanzata, tuttavia, si è bloccata rapidamente di fronte alla resistenza degli Huthi, anche soltanto dopo che almeno 50.000 famiglie erano fuggite da Hodeida ed erano stati interrotti i servizi fondamentali per le rimanenti 350.000, creando paure di una nuova epidemia di colera.

Le radici della guerra

La progressione dello Yemen verso il suo attuale stato di perdizione è iniziato quando i venti della Primavera Araba si sono diffusi in tutto il Medio Oriente nel 2011, sradicando o scuotendo i regimi dalla Tunisia alla Siria. Le dimostrazioni di piazza soni aumentate contro l’uomo forte dello Yemen, Ali Abdullah Saleh e hanno acquisito forza soltanto quando ha tentato di sedarle. In reazione a questo, si è alleato ancora più fortemente con l’Arabia Saudita  e gli  Stati Uniti, alienandosi gli Huthi, il cui principale bastione, il governatorato di Saada, poggia sul confine saudita. Aderenti all’Islam Zayadi, gli Huthi hanno svolto un ruolo  decisivo nel creare un movimento politico, Ansar Allah, nel 1992, per  asserire gli interessi della loro comunità contro la maggioranza sunnita del paese.  Nello sforzo di  danneggiarli,   i Saudti hanno a lungo incentivato i leader religiosi radicali Sunniti nello Yemen del Nord, mentre, ciclicamente facevano incursioni nei territori degli Huthi.

Quando è cominciata una ribellione degli Huthi, Saleh ha cercato di rendersi un alleato di Washington anche più indispensabile nelle sue campagne anti-terroriste del dopo 11 settembre, specialmente contro al-Qaida nella penisola araba (AQAP- al-Qaeda in the Arabian Peninsula), una  cellula locale di al-Qaida che sta crescendo. Per buona misura, si è unito ai Sauditi nel rappresentare gli Huthi come poco più che strumenti di un Iran che sia Washington che Riyadh detestavano. Quando, tuttavia, queste potenze hanno iniziato a considerare l’autocrate yemenita un ostacolo politico, hanno contribuito a deporlo e a trasferire il potere al suo vice, Abdu Rabbu Mansour Hadi. Queste mosse non sono riuscite a calmare le acque, dato che il potere ha cominciato a disintegrarsi e gli sforzi sauditi-statunitensi hanno cominciato a consolidare la transizione da Saleh ad Hadi.

Nel frattempo, gli attacchi regolari di droni americani contro l’AQAP hanno fatto arrabbiare molti yemeniti. Ai loro occhi, non soltanto gli attacchi violano la sovranità dello Yemen, ma hanno ucciso dei civili in maniera intermittente. Le lodi di Hadi per la campagna con i droni sono soltanto servite a screditarlo ulteriormente. Il potere dell’AQAP continuava a crescere, lo scontento nello Yemen del sud aumentava e le bande criminali cominciavano a operare con impunità nelle città, evidenziando l’inadeguatezza del governo di Hadi. Le riforme economiche neoliberali hanno soltanto arricchito una manciata di famiglie che da lungo tempo controllavano gran parte della ricchezza dello Yemen, mentre la brutta situazione economica della maggior parte degli yemeniti peggiorava radicalmente.  Il tasso di disoccupazione era di quasi il 14% nel 2017 (e superava il 25% per i giovani), mentre il tasso di povertà cresceva precipitosamente, così come l’inflazione.

E’ stata una formula per il disastro e quando Hadi ha proposto un piano per creare un sistema federale per lo Yemen, gli Huthi si sono infuriati. Nuovi confini avrebbero, tra le altre cose, tagliato fuori la loro patria dalla costa del Mar Rosso. Hanno quindi abbandonato il loro governo e si sono accinti alla battaglia. Subito, le loro forze sono avanzate verso sud. Nel settembre 2014, hanno catturato la capitale, Sana’a, e hanno proclamato un nuovo governo nazionale. Nel marzo successivo, hanno occupato Aden nello Yemen meridionale, e Hadi, il cui governo era stato spostato lì, è prontamente scappato al di là del confine, a Riyadh. I primi attacchi aerei sauditi contro Sana’a sono stati lanciati nel marzo 2015 ed è iniziata la discesa dello Yemen all’inferno.

Il ruolo americano

La banale interpretazione della guerra in Yemen mette a confronto una coalizione    appoggiata dall’Arabia Saudita contro gli Huthi,   come agenti dell’Iran e  prova della sua crescente influenza in Medio Oriente. Combattere il terrorismo e contrastare  l’Iran è diventata la base per l’appoggio di Washington alla guerra a guida saudita. Prevedibilmente, dato che questa descrizione da fumetto di una guerra civile complicata ha guadagnato terreno sui media americani tradizionali e tra gli esperti della Beltway (e anche, naturalmente, al Pentagono e alla Casa Bianca), i fatti svantaggiosi sono stati mesi da parte.

Tuttavia, dopo tutti questi anni e quei morti, vale la pena considerare alcuni di quei fatti. Ci sono, per esempio, differenze significative tra la variante Zaydi dell’Islam sciita degli Huthi, e lo Sciismo tradizionale Twelver che domina in Iran, e ci sono delle analogie tra Zaiditi e Sunniti, il che rende precarie le onnipresenti rivendicazioni  di un patto tra Iran e Huthi basato sulla fede. Inoltre, l’Iran non si è buttato nella mischia durante i violenti scontri tra Saleh e gli Huthi e non ha avuto neanche legami di lunga data con loro. Inoltre, contrariamente all’opinione prevalente a Washington, è improbabile che l’Iran sia la loro principale fonte di armamenti e di sostegno. Indubbiamente, dal 2015, l’influenza dell’Iran in Yemen è aumentata, ma voler ridurre le complessità della crisi interna del paese all’ingerenza dell’Iran e a un  blocco sciita guidato dall’Iran che si espande dalla Siria alla Penisola Araba, equivale, nel migliore dei casi, a un’eccessiva semplificazione.

L’ossessione per l’Iran che hanno Trump e i suoi consiglieri fondamentali (un notevole numero di questi odiano l’Iran) e l’ossessione di The Donald di pubblicizzare i fabbricanti americani di armi e di vendere i loro prodotti, aiuta a capire la loro accettazione l’abbraccio  della Casa di Saud e il continuo appoggio al suo infinito assalto allo Yemen. (L’amicizia profonda di Jared Kushner con il Principe Saudita  Mohammad bin Salman ha indubbiamente avuto una parte). Nessuna di queste cose, tuttavia, spiega l’appoggio americano su vasta scala all’intervento guidato dai Sauditi negli anni di Obama. Anche se la sua amministrazione aveva denunciato il massacro dei civili siriani voluto da Bashar al-Assad, i suoi ufficiali sembravano indifferenti alle sofferenze che la guerra stava infliggendo agli yemeniti. Di fatto, l’amministrazione Obama ha offerto a Riyadh armamenti per un valore di 115 miliardi di dollari, compreso un pacchetto di 1,15 miliardi, concluso  nell’agosto 2016, quando la portata della catastrofe dello Yemen era già fin troppo ovvia.

In anni recenti, l’opposizione alla guerra al Congresso, è aumentata, con il Senatore Bernie Sanders e il Rapresentante Ro Khanna che hanno svolto ruoli preminenti nel mobilitarla. Questi critici del Congresso non hanno avuto effetto sula politica bellica di Obama ed è improbabile che influenzino quella di Trump. Si trovano davanti a barriere formidabili. I comuni discorsi sulla guerra restano potenti, mentre le monarchie del Golfo continuano a comprare ampie quantità di armamenti americani. Non dimenticate, inoltre, l’impressionante operazione ‘i soldi non contano’ di Arabia Saudita ed Emirati, a Washington.

Quello è quindi il contesto del gentile avvertimento del Pentagono circa i limiti del sostegno degli Stati Uniti alla campagna di bombardamenti in Yemen e della successiva convalida da parte del Segretario di Stato, Mike Pompeo, come richiesto dal Congresso, che i Sauditi e gli Emirati stavano intraprendendo un’azione perfettamente credibile per ridurre le vittime civili, senza la quale le forze armate degli Stati Uniti non potevano continuare a fare rifornimento per i propri aerei. (Mattis “ha avallato e del tutto appoggiato” la dichiarazione di Pompeo). Dato che si avvicina il quinto anniversario di questa guerra spaventosa, le armi fabbricate in America e il suo aiuto logistico rimangono essenziali per tale conflitto. Considerate le vendite di armi molto strombazzate del Presidente Trump ai Sauditi, anche se non ammontano a 100 miliardi di dollari (come ha dichiarato); perché allora i monarchi sauditi e quelli degli Emirati si preoccupano che la Casa Bianca possa realmente fare qualcosa come interrompere quelle vendite redditizie o porre fine all’appoggio per le loro campagne di bombardamenti?

Una cosa è ovvia: la politica degli Stati Uniti in Yemen non otterrà i suoi scopi dichiarati di sconfiggere il terrorismo e di  tornare??  all’Iran. Dopotutto, i suoi attacchi con i droni erano cominciati là nel 2002 durante la presidenza di George W. Bush. Con Obama, come in Pakistan e in Afghanistan, i droni sono diventati l’arma anti-terrorista prescelta di Washington. Ci sono stati 154 attacchi con droni in Yemen durante gli anni di Obama, secondo le stime più affidabili, e le vittime civili erano comprese tra le 83 e le 101. Con Trump sono “volate” da 21 nel 2016 a 131 nel 2017.

Avere fatto affidamento sugli attacchi con i droni, ha sostenuto i discorsi di al-Qaida che la guerra americana al terrore equivale a una guerra ai Musulmani le cui vite sono considerate sacrificabili. Così tanti anni dopo, nel caos dello Yemen, il potere e la capacità  del gruppo sta soltanto aumentando. L’intervento appoggiato dagli Stati Uniti, guidato dai Sauditi, è anche probabile che si dimostri non soltanto  autolesionista, ma anche frutto di profezia che si auto-adempie.  Sembra che stia cementando un’alleanza tra l’Iran e gli Huthi che, sebbene siano stati cacciati da Aden controllano ancora un grosso pezzo di Yemen. Nel frattempo, con una mossa che potrebbe rendere la guerra ancora più letale, sembra che gli Emirati stiano attaccando per conto loro, appoggiando la secessione nello Yemen del Sud. Non c’è molto da mostrare neanche sul fronte anti-terrorismo. Di fatto, gli attacchi aerei sauditi e gli attacchi degli Stati Uniti con i droni, potrebbero far spostare verso l’AQAP gli  Yemeniti, furiosi a causa della distruzione delle loro case, dei loro mezzi di sostentamento e della  morte dei loro cari. In breve, una guerra al terrore si è trasformata in una guerra di terrore e per il terrore.

In Yemen gli Stati Uniti appoggiano un orrendo intervento militare per il quale –  a meno di non essere un’azienda di armi – è difficile trovare qualsiasi giustificazione, pratica o morale. Purtroppo, è anche più difficile immaginare che il Presidente Trump o il Pentagono raggiungano una tale conclusione e cambino corso.

 

 

Rajan Menon, che collabora regolarmente a TomDispatch, è  Professore di  Relazioni Internazionali alla cattedra intitolata ad Anne e Bernard Spitzer, alla Powel School, City College  di New York, e  Direttore di Ricerca alla Columbia University, presso l’Istituto di Studi  Saltzman sulla Guerra e la Pace. E’ autore del recente libro, The Conceit of Humanitarian Intervention.

Questo articolo è apparso per la prima volta  su  TomDispatch.com, un weblog del Nation Institute, che offre un flusso continuo  di fonti  alternative, di notizie e di opinioni,  di Tom Engelhardt, da lungo tempo direttore editoriale, cofondatore  dell’American Empire Project, autore  di The End of Victory Culture, [La fine della cultura della vittoria]  e anche di un romanzo, The Last Days of Publishing [Gli ultimi giorni dell’editoria]. Il suo libro più recente è: A Nation Unmade By War (Haymarket Books).

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/yemens-descent-into-hell

Originale: TomDispatch.com

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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