Degli adolescenti si parla pochissimo in questo paese, come se non esistessero, come se non avessero diritti. Non ci preoccupiamo, a parte le loro famiglie – e non tutte purtroppo – e i più consapevoli dei loro educatori di come stanno crescendo in questa società vuota di valori e di idee, che vediamo ogni giorno, se solo abbiamo il coraggio e la voglia di alzare lo sguardo dai nostri piccoli interessi di tutti i giorni.
Degli adolescenti non ci occupiamo, a meno che non diventino protagonisti di fatti di cronaca nera e allora diventano l’oggetto della morbosità dei pornografi che lavorano nelle redazioni dei giornali e delle trasmissioni televisive.
Di Sarah Scazzi ci avevano fatto conoscere tutto, non solo il suo bel viso di quindicenne; conoscevamo i suoi segreti più intimi, i suoi sogni, la sua voglia di andare via da Avetrana, il suo desiderio di sentirsi più grande, il suo bisogno di un rapporto affettivo che non trovava nella famiglia. I giornali e soprattutto le reti televisive hanno scavato oltre il lecito nella vita di questa ragazza, uccisa dalla follia, più o meno lucida, di un suo familiare. Di Yara Gambirasio abbiamo saputo meno, per la riservatezza della sua famiglia e della sua comunità; ci erano diventati consueti il suo sorriso con l’apparecchio e il suo sguardo intenso dopo un’esercizio, abbiamo imparato a conoscere la sua normalità, e questo non sembrava sufficiente agli sciacalli che hanno bisogno di un nuovo caso da prima pagina. Ricordo lo stupore di un cronista che faceva notare che nei tabulati telefonici di Yara c’erano soltanto una decina di numeri telefonici ricorrenti, quelli dei genitori, dell’allenatrice, delle compagne di scuola e di palestra. Spero sinceramente che analizzando i tabulati telefonici di molte tredicenni si possa fare un’analoga scoperta.
Di fronte alla morbosità dei media la famiglia di Sarah e la comunità di Avetrana non hanno saputo opporre alcuna difesa. Sarah era scomparsa da pochissimo tempo quando già i vari protagonisti della vicenda erano stati intervistati da questa o quella rete televisiva e le giornaliste appostate davanti alla casa di Sarah si mandavano messaggini con le cugine. Ho visto brani di un’intervista – naturalmente “esclusiva” – alla madre di Sarah condotta insieme dagli inviati del Tg1 e del Tg5, in cui questi due impuniti si rivolgevano alla signora dandole del tu. Durante i collegamenti non sono mai mancati quelli che facevano capolino nello sfondo, fino ad arrivare ai “viaggi tutto compreso”: villetta degli Scazzi, villetta dei Misseri, pozzo del ritrovamento. Ad Avetrana abbiamo assistito al peggio che può offrire di sé una famiglia e una comunità.
Della famiglia Gambirasio ci sono state poche interviste, non ci sono foto, se non quelle strettamente necessarie di Yara, e le immagini dei genitori che entrano ed escono dalla stazione dei carabinieri. Il circo giornalistico, affamato di sesso – visto che non si poteva accontentare delle storie su Yara – si è presto scatenato sul colpevole, sulla sua famiglia, su sua madre, sui suoi padri.
A chi li vuol vedere, al di là delle vicende giudiziarie e dei loro strascichi, rimangono il dramma di Sarah, uccisa dalla sua famiglia, e quello di Yara, ucciso da un mostro della porta accanto. E non è inutile ricordare che la grande maggioranza dei delitti e delle violenze contro le donne avviene dentro le mura di casa e per responsabilità di uomini che loro conoscevano bene: in questo la vicenda di Sarah è purtroppo di una tragica normalità, anche se è più semplice trovare il “mostro” fuori, magari tra gli “altri”.
Adolescente viene dal participio presente del verbo adolesco e quindi significa chi comincia a crescere. Sarah, Yara e tante altre nostre giovani sorelle, tante altre nostre figlie, non ci sono riuscite, non le abbiamo fatte crescere. Sarebbe necessario che tutti noi cominciassimo a occuparci di più degli adolescenti e delle adolescenti, anche al di là della cronaca nera, ricordandoci che noi, tutti noi, siamo responsabili di come crescono.

 

 

 

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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