L’idea del contratto di governo è stata una trovata efficace. Ha consentito di formare un governo in condizioni difficili e di resistere (finora) agli ostacoli. Tutto bene? No perché in quasi tutti i casi di contrasti essi non sono stati superati, ma solo rimandati.

E anche perché, mentre si predica una stabilità quinquennale, si assiste ad una fibrillazione quotidiana.

La formula, quindi, mostra i suoi limiti e l’esigenza di un tagliando/verifica/resa dei conti. Anche perché essa si sta rivoltando proprio contro i suoi ideatori producendo una radicale ristrutturazione del quadro politico, ma a senso unico: una Lega al 33% che con le forze di centro destra raggiunge il 45%, ed un M5s che precipita verso il 25% e che da soggetto centrale e determinante si ritrova ridimensionato ed isolato.

Insomma l’uscita dalla seconda repubblica sembra proiettarci verso una conclusione drammatica con uno sbocco obbligato a destra. Naturalmente nulla è scontato perché nella società sono presenti movimenti, anche se ancora non si traducono in riposizionamenti di elettorato, e perché a livello politico le contraddizioni sembrano crescere di intensità.

Proprio per questo dovremmo cominciare a sottoporre ad analisi critica la fase che stiamo vivendo e provare ad inserirci nelle contraddizioni che emergono. Provo ad accennare alcuni spunti.

Primo. La formula del contratto di governo comporta una instabilità strutturale. E’ l’effetto somma di cui abbiamo parlato che, mettendo insieme punti di programma alternativi crea squilibri di bilancio non componibili in periodi di bassa crescita (meno 100 di entrate dai ricchi e più 100 di spese per i poveri fa socialmente zero, ma in termini di bilancio fa meno 200).

Ci sono le condizioni per una proposta alternativa sul modello spagnolo: più 100 da evasione e grandi patrimoni e più 100 di spese sociali ed investimenti possono fare zero in termini di bilancio. Questa dovrebbe essere una linea di lavoro da esplorare entrando nel dibattito su bilancio e reddito di cittadinanza, costruendo iniziative ed interlocuzioni.

Secondo. La formula del contratto di governo incorpora un elevato grado di ipocrisia politica che la rende fragile. Si sa, infatti, che in realtà non tutti credono né con la stessa intensità ai diversi punti del programma e, quando si tratta di superare gli ostacoli alla concreta realizzazione dei punti, il fronte di governo mostra questa debolezza. La cosa è evidente sul tema reddito di cittadinanza, punto politico vero di rottura tra due idee diverse di futuro e di relazione tra reddito e lavoro.

Su di esso è evidente che il consenso della Lega è formale e che nei fatti essa sta solo aspettando il momento buono per rendere inefficace quella misura tanto estranea alla sua base sociale ed alla sua visione di società e di sviluppo. Poiché la proposta concreta è tutta da definire nei suoi dettagli operativi e sicuramente subirà aggiustamenti si potrebbe lavorare per ricreare un filo tra reddito e lavoro articolando meglio il rapporto con le prestazioni lavorative richieste e con il lavoro di cittadinanza.

Terzo. Il populismo può pure unire contro l’establishment e l’Europa, ma non sull’ idea del modello di sviluppo e della funzione che in esso giocano le grandi opere. Lega e M5s sono portatori di due idee opposte. Ad oggi il miracolo di una via d’uscita è affidato al cosiddetto calcolo costi-benefici, ma è chiaro che esso è solo un modo per scaricare su altri l’onere della decisione.

Il problema vero è che si tratta in tutti i casi di opere già progettate e di fatto acquisite da opinione pubblica e centri di interesse e sulle quali è difficile ripartire da zero.

Anche qui, da sinistra, si potrebbe lavorare per promuovere un grande piano di manutenzione del territorio, finanziato da risorse nazionali ed europee da mettere al primo posto nella scelte di politica economica e di bilancio configurando così una sinergia tra spesa, investimenti, crescita, lavoro e, se necessario, prelievo fiscale su grandi redditi e ricchezze anche temporaneo e straordinario..

Si tratta come si vede di poche cose che potrebbero consentire alla sinistra perlomeno di far sentire una flebile voce. Ma se questo non accade non è per capriccio. E’, diciamocela tutta, perché sui tre punti accennati anche a sinistra esistono posizioni diverse.

Ed allora non sarebbe il caso che in questi mesi di congressi ed iniziative pre-elettorali si facessero, anche da questa parte, dei contratti oggi di contrasto e domani di governo?

http://www.lasinistraquotidiana.it/il-governo-in-fibrillazione-gonfia-le-vele-dello-sbocco-a-destra/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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