La sottile linea giallo-verde è difficile da interpretare: reggerà o si scioglierà come neve al sole la maggioranza di governo e il “Contratto” che la tiene insieme da quasi un anno? La sottile linea giallo-verde è quella ferroviaria del TAV: simbolo, icona ed emblema che divide l’Italia, che da oltre vent’anni produce lotte nella Val di Susa, che ha ispirato molti comitati analoghi contro le “grandi opere” immaginate sulla Penisola e mai realmente realizzate anche grazie alle opposizioni sociali ma soprattutto per il rischio dovuto ai raffronti tra costi e benefici. Se ne sente parlare da tanto tempo anche per il TAV e l’analisi venuta fuori dagli ambienti dell’esecutivo non è certo confortante: conferma una serie di dubbi, preoccupazioni e anche di certezze sul fatto che il “Corridoio 5” (che inizialmente doveva partire dalle sponde atlantiche del Portogallo ed oggi invece, dopo l’abbandono del progetto da parte di Lisbona, partirebbe dalla Spagna) potrà anche essere foriero di introiti per tutte le grandi imprese che decideranno di utilizzarlo per far transitare le loro merci fino all’Ucraina e da lì in Asia, ma quei circa 57 chilometri di foro nelle montagne italiane che servirebbero a collegare Lione a Torino non avrebbero un impatto economico sviluppista per una Italia ormai in recessione. Vent’anni fa, dalle colonne dei giornali nazionali, tuonavano confindustriali e affaristi vari che non c’era più tempo, che era quello il momento per fare il TAV. Oggi il copione si ripete pari pari: il tempo è cambiato ma pare una dimensione astratta, inconsistente per il mercato e gli affari. Per fare il TAV c’è sempre tempo insomma e per non farlo c’è invece una presunta crisi di governo lì lì, pronta a scoppiare. Dopo la dichiarazione di Conte che sposa le contrarietà grilline, quelle di una “battaglia storica” del movimento, è naturale quell’irrigidimento di Salvini e della Lega e la corda si tenda sempre più: “Vedremo chi ha la testa più dura”. “Irresponsabile”. Non se le mandano a dire i due vicepresidenti del Consiglio e così il venerdì tanto atteso come ultimo confine temporale per sciogliere le riserve sul “che fare” in merito all’alta velocità non risolve un bel nulla. Tutto rimane ancora sospeso sulle nuvole della Val di Susa: PD, Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia tutti insieme appassionatamente per dire “sì” al TAV con mozioni parlamentari. Ma se il governo si frantuma sulla sottile linea ferroviaria più verde che gialla, in Parlamento non ci si arriva proprio. Eppure a togliere la castagne dal fuoco al governo potrebbe essere proprio il Parlamento: una ampia maggioranza trasversale che approvasse una mozione magari di area non governativa, consentirebbe ai Cinquestelle di prendere le distanze con frasi del tipo “L’hanno voluto loro” (i pronomi a volte sono proprio importanti) e, al contempo, tenere in piedi l’alleanza giallo-verde. Chi proponesse ed approvasse una mozione di questa fatta, è ovvio, sarebbe ben conscio di questa conseguenza e quindi salverebbe TAV e governo in un colpo solo. Può il PD moderno e in via di “rinnovamento” di Zingaretti assumersi questa responsabilità? Può farlo Forza Italia? Sì, potrebbero anche farlo, perché sarebbe invocato il “bene supremo” della nazione e quindi tutto diventerebbe legittimo: del resto, come si usa dire dai tempi dei tempi per giustificare qualunque azione antisociale di uno Stato… “salus publica, suprema lex”. Certo è che tutti si danno un gran da fare perché i grillini non appaiano quei rivoluzionari antimodernisti che, del resto, non sono proprio sulla partita di un interesse economico che tutti riguarda fuorché il Paese vero e proprio: quel “popolo” interclassista che dovrebbe essere ancora un bacino di consensi alle europee per il movimento e che rischia di prosciugarsi come già accaduto in Sardegna. Il compromesso lo troverà, se non il governo, un altro governo: più docile verso le esigenze delle grandi imprese. Se poi giallo e verde ancora riusciranno a lambirsi e a tenersi stretti nel patto contrattuale che li fa essere maggioranza in Parlamento (e nel Paese), allora tireranno un sospiro di sollievo un po’ tutti. E ancora una volta la farsa dell’interesse nazionale e del “bene comune” sarà servita.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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