Questa è la storia di una canzone, e anche il modo per raccontare, attraverso una canzone, un po’ di storia del Novecento.
Il mio racconto comincia in un giorno di agosto del 1928, a Berlino. Per la smania di un attore di farsi notare. Harald Paulsen, che doveva interpretare Mackie Messer nell’Opera da tre soldi, poco prima del debutto chiese ai due autori, Bertolt Brecht e Kurt Weill, di scrivere un pezzo che introducesse il suo personaggio, così che avesse maggiore importanza. Probabilmente era geloso di Lotte Lenya – che era anche la moglie di Weill – che cantava il brano certamente più bello dell’opera, Jenny dei pirati. In pochi giorni Brecht e Weill scrissero La ballata di Mackie Messer, che però non fecero interpretare a Paulsen: decisero che questa canzone, una sorta di preludio dell’opera, tra l’ouverture e l’inizio del primo atto, sarebbe stata interpretata da un cantastorie – nello stile delle moritat medievali – accompagnato dal suo organetto. Nelle prime rappresentazioni al Schiffbauerdamm venne cantata da Kurt Gerron, che interpretava anche il capo della polizia Jackie Brown.
Quel brano, aggiunto così all’ultimo momento, quasi per caso, era destinato a un successo che avrebbe stupito i suoi autori. Sono versi di una terribile crudezza: sono raccontati, anche solo con un accenno, alcuni delitti di Mackie – alcuni atroci, come quello di sei bambini in un incendio – compiuti da quel criminale con assoluta indifferenza e con la tranquillità di sapersi impunito. Mentre il pescecane mostra i suoi denti, facendo capire quanto possa essere pericoloso, Mackie gira in guanti bianchi e non mostra mai il suo coltello.
Quell’opera così “nuova” non era né un melodramma in stile italiano – Turandot era andata in scena solo due anni prima – né un musical americano – Show boat prodotto da Florenz Ziegfeld debuttò il 27 dicembre 1927 – ma piuttosto un’inedita opera jazz, un capolavoro musicale con cui Kurt Weill inventò un genere. L’Opera da tre soldi ebbe un successo insperato – almeno secondo quanto prevedeva il suo produttore – nella Germania di Weimar, in cui covavano i germi del nazismo. Ebbe in due anni ben quattrocento repliche, anche se probabilmente i borghesi che applaudivano le canzoni di Weill non si rendevano conto di essere proprio loro i primi bersagli della durissima critica sociale che il testo di Brecht si prefiggeva. Ma quello strano equilibrio berlinese – una delle stagioni culturalmente più feconde della prima parte del Novecento – in cui le opere di Brecht avevano un tale successo, mentre Hitler si preparava a prendere il potere, era destinato a finire molto presto. Come viene raccontato in maniera molto vivida in Cabaret, in quegli anni a Berlino si ballava sull’orlo del precipizio.
Il 28 febbraio del 1933 Brecht lasciò la Germania e cominciò un esilio che sarebbe finito solo nel 1948, quando si trasferì a Berlino est. Fuggirono anche Kurt Weill e Lotte Lenya, prima a Parigi e poi, dal 1935, negli Stati Uniti. Weill continuò a scrivere la sua musica, per la radio, per Broadway – tra le altre le canzoni del musical Lady in the dark, sui testi di Ira Gershwin, e la bellissima September song – e per il cinema. Morì a New York, nel 1950, prima di vedere il successo di Mack the Knife.
E qui comincia infatti un altro pezzo della nostra storia. Negli Stati Uniti l’Opera da tre soldi venne rappresentata a Broadway, tradotta da Gifford Cochran e Jerrold Krimsky, nell’aprile del ’33, ma fu un fiasco clamoroso: ci furono sole dodici repliche. Bisognerà aspettare gli anni Cinquanta per recuperare l’opera: ci penseranno un nuovo traduttore, Marc Blitzstein, e Leonard Bernstein, che la rappresentò in forma di concerto per la Brandeis University nel 1952.
Marc Blitzstein era un compositore e un autore di canzoni, che amava molto le opere di Brecht e ne condivideva appieno lo spirito. Alla fine degli anni Trenta aveva scritto il musical The Cradle will rock che avrebbe dovuto andare in scena diretto da Orson Welles. Si trattava di un’opera fortemente influenzata da Brecht, di chiara impronta comunista, sulle lotte sociali di un gruppo di lavoratori e di emarginati, nell’immaginaria città di Steeltown, dominata dal potente e crudele Mr. Mister, contro cui lottano gli operai guidati dal sindacalista Larry e dalla prostituta Molly. Quando, visto il tenore del libretto, il Federal theatre project ritirò il proprio sostegno finanziario all’opera, non fu più possibile mettere in scena il dramma e così il 16 giugno 1937 Blitzstein, Welles e la compagnia occuparono un teatro e lo rappresentarono comunque, senza scene e costumi, con il solo Blitzstein che, al pianoforte, sostituiva l’intera orchestra. C’è un bel film di Tim Robbins, Il prezzo della libertà, in cui questa storia viene raccontata, mostrandoci un’altra America, un’America decisamente comunista, che, all’indomani della fine della guerra, pagò un prezzo durissimo con l’insorgere del maccartismo. Blitzstein morì nel 1964 per le percosse di alcuni marinai che lo attaccarono per la sua omosessualità, mentre stava scrivendo un’opera sulla storia di Sacco e Vanzetti.
Ma torniamo all’Opera da tre soldi. Nel 1954 il dramma di Brecht e Weill fu finalmente messo in scena, anche se nel circuito off-Broadway: Lotte Lenya tornò a interpretare Jenny e accanto a lei fu ingaggiato un gruppo di giovani attori, che in seguito fecero una grande fortuna a Broadway, da Bea Arthur a Jerry Orbach, e che, come Edward Asner – il Lou Grant di una longeva serie televisiva degli anni Settanta – furono sempre schierati a sinistra, e per questo furono osteggiati dal mondo dello spettacolo.
La traduzione di Blitzstein della Ballata di Mackie Messer non era certo meno dura dell’originale. Lo squalo Mackie continua a spargere sangue, nascondendo il coltello, e i suoi guanti rimangono sempre bianchi; ma i delitti, scanditi così chiaramente in tedesco, per esigenze di traduzione e di rispetto della scansione musicale, sono meno espliciti. La nuova produzione dell’Opera da tre soldi fu finalmente un successo: 2.707 repliche e un Tony Award per Lotte Lenya nel 1956, la sola volta che questo riconoscimento è andato a un’attrice per un musical off-Broadway. Questo le permetterà di continuare un’importante carriera teatrale, insieme a qualche incursione nel cinema: ebbe una nomination per il film di Josè Quintero La primavera romana della signora Stone. Anche se per ironia della sorte, il grande pubblico la ricorderà come Rosa Klebb, la “cattiva” di 007, dalla Russia con amore.
Era il giovane Jerry Orbach a cantare la Ballata in quella fortunata edizione. Un attore che noi conosciamo per essere stato il detective Briscoe per dodici stagioni di Law&Order e la voce di Lumière nella versione originale della Bella e la Bestia. E quella canzone, un po’ meno cruenta che in tedesco, fu un successo.
Per questo, sempre nel 1956 Louis Armstrong la volle incidere per la Columbia, modificando in alcuni punti la traduzione di Blitzstein. Tra l’altro, mentre registrava la canzone, Armstrong, improvvisando, aggiunse all’elenco dei nomi delle donne vittime di Mackie, con cui si chiude la canzone, il nome di Lotte Lenya, che era nella studio e seguiva la registrazione. Nel 1959 fu la volta di Bobby Darin e da allora Mack the Knife è diventata uno standard per tutti i cantanti jazz.  Sono decine le versioni di questa canzone, da Sinatra a quella di Chico Buarque. Robbie Williams l’ha cantata, con elegante sfrontatezza, nel 2001: una delle migliori versioni tra quelle più recenti. Nel 1960, durante un concerto a Berlino, Ella Fitzgerald, dopo aver cantato regolarmente la prima strofa, si dimenticò le parole e proseguì improvvisando, in un’interpretazione che fu così memorabile da meritare un Grammy.
Naturalmente, come avveniva nei cabaret berlinesi, il pubblico che oggi applaude un’interpretazione di Mack the Knife non sa che sta ascoltando i versi di un comunista come Bertolt Brecht, non sa che l’autore pensava che Mack fosse la quintessenza della violenza del capitalismo. Ma il capitale è praticamente invincibile perché sa fagocitare e utilizzare ogni cosa e infatti a metà degli anni Ottanta uscì uno spot pubblicitario il cui protagonista era Mac Tonight, un pianista jazz con una luna crescente al posto della testa, che canta una versione della canzone per reclamizzare la celebre multinazionale dei panini.
Per finire davvero questa storia dobbiamo fare un passo indietro, tornare nella Berlino degli anni Trenta. Harald Paulsen aderì al nazismo, rimase in Germania ed ebbe una fortunata carriera, interpretando decine di film, molti musicali, anche se il suo successo più grande, quello per cui è ancora ricordato, fu l’interpretazione di Mackie Messer nell’Opera da tra soldi. Kurt Gerron invece fuggì, prima in Francia e poi nei Paesi bassi, ma, nonostante gli inviti sempre più pressanti degli amici Peter Lorre ed Erich von Stroheim, non volle lasciare l’Europa per gli Stati Uniti. Quando la Germania conquistò l’Olanda Gerron fu deportato a Terezin e qui fu costretto dal comando delle SS ad allestire uno spettacolo di cabaret, in cui dovette interpretare quella moritat che lo aveva reso così celebre, anche se le opere di Weill erano state inserite nell’elenco della “musica degenerata”. In seguito, visto che era anche un regista, fu costretto a girare un film sulla vita degli “ospiti” di Terezin, che sarebbe dovuto servire per la propaganda di regime. Completato questo film fu inviato ad Auschwitz dove venne immediatamente mandato nelle camere a gas.
A questo punto, dopo tanto parlare, credo sia ora di ascoltare un po’ di musica. Qui c’è la versione “classica” di Mack the Knife di Louis Armstrong. E qui la versione tedesca di Die moritat von Mackie Messer nella splendida interpretazione di Ute Lemper. Credo sia giusto anche ascoltare Lotte Lenya nel più bel brano che Weill scrisse per lei, ossia Seeräuberjenny, Jenny dei pirati. E, per finire, ascoltare la Ballata nell’interpretazione di Kurt Gerron, ossia cantata come la sentì cantare il pubblico quella sera del 31 agosto 1928. Un momento prima che un altro Mackie Messer sferrasse il suo coltello.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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