Mario Lombardo

La nomina alla Corte Suprema americana di due giudici ultra-conservatori da parte del presidente Trump ha dato il primo risultato di rilievo questa settimana con una sentenza che ha abbassato drammaticamente il livello di ammissibilità dell’applicazione della pena capitale. Il caso in questione riguarda il detenuto nel braccio della morte di una prigione del Missouri, Russell Bucklew, il quale soffre di una malattia molto rara che renderebbe estremamente dolorosa la prevista procedura di esecuzione tramite iniezione letale.

Un appello per la sospensione temporanea della condanna di Bucklew era stato accolto lo scorso anno dalla stessa Corte Suprema USA con una maggioranza di 5-4, ma la sostituzione del giudice conservatore moderato, Anthony Kennedy, ritiratosi lo scorso anno, con quello di estrema destra scelto da Trump, Brett Kavanaugh, ha determinato ora un ribaltamento del risultato.

La condanna a morte di Russell Bucklew è legata all’omicidio nel 1996 del convivente della sua ex fidanzata. Bucklew aveva sparato alla vittima nella sua abitazione per poi rapire e violentare la ex compagna. Il 50enne residente del Missouri non aveva mai negato le proprie responsabilità né cercato di evitare la condanna a morte.

La motivazione della sentenza è stata scritta per la maggioranza dall’altro giudice scelto da Trump, Neil Gorsuch, ed è consistita in un palese quanto incredibile rifiuto del principio fissato dall’Ottavo Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti. In base a esso, sono inequivocabilmente proibite, nell’esecuzione delle pene, “punizioni crudeli e inusuali”.

Russell Bucklew è affetto da emoangioma cavernoso, una patologia congenita che produce delle formazioni ematiche in varie parti del corpo, le quali, con lo scorrimento nel flusso sanguigno delle sostanze letali iniettati durante l’esecuzione, creerebbero una condizione di dolore assimilabile alla tortura. Come ha spiegato nell’opinione di minoranza il giudice Stephen Breyer, l’iniezione letale causerebbe tra l’altro la rottura delle formazioni cresciute nella gola del condannato, provocando una situazione di soffocamento che potrebbe durare per svariati minuti prima del decesso.

Prendendo alla lettera il contenuto della Costituzione americana, è difficile immaginare una condizione tale da rendere più “crudele” e “inusuale” una punizione come quella a cui sta per andare incontro Russell Bucklew. La decisione della Corte Suprema intende perciò fissare un precedente che, per i casi futuri, renderà quasi impossibile evitare un’esecuzione facendo appello all’Ottavo Emendamento.

L’obiettivo dei giudici Kavanaugh e Gorsuch, assieme ai colleghi ultra-reazionari Samuel Alito, Clarence Thomas e John Roberts, quest’ultimo presidente della Corte, è dunque quello di spazzare via ogni limitazione possibile al funzionamento della macchina della morte negli Stati Uniti. Nella stessa motivazione della sentenza, il giudice Gorsuch si è infatti scagliato in maniera vendicativa anche su quelle che ha caratterizzato come tattiche dilatorie dei legali dei condannati a morte per risparmiare a questi ultimi l’esecuzione della pena. Le vicende legali, i legittimi appelli e i ricorsi di Bucklew sono diventati così semplici manovre per impedire allo stato del Missouri di fare giustizia.

La sentenza emessa lunedì e le opinioni del giudice nominato da Trump hanno assunto poi una connotazione grottesca nel respingere la richiesta di Bucklew di essere giustiziato nella camera a gas per risparmiargli le sofferenze dell’iniezione letale. Secondo una precedente sentenza della Corte Suprema relativa alle esecuzioni nello stato dell’Oklahoma, se i condannati non intendono essere giustiziati con l’iniezione letale, sono essi stessi ad avere l’onere di proporre un metodo alternativo adeguato. In riferimento a questo principio, perciò, la Corte ha bocciato la proposta dei legali di Bucklew perché priva di un piano sufficientemente completo per l’uso del gas tossico, in merito ad esempio al tipo di abbigliamento protettivo che dovrebbe indossare il personale del carcere al momento dell’esecuzione della condanna.

La direzione imboccata dalla Corte Suprema con il verdetto di questa settimana conferma la deriva autoritaria in atto negli Stati Uniti, con il tribunale, che dovrebbe teoricamente garantire l’applicazione dei principi democratici costituzionali, in prima linea nel minarli alla base. Questo processo sta avvenendo in un clima di profondo degrado che minaccia di spianare la strada a pratiche anti-democratiche, per non dire barbare e violente.

A questo proposito, deve suonare come un avvertimento il gusto quasi sadico con cui ancora il giudice Neil Gorsuch si è dilungato lunedì nella descrizione dei vari metodi impiegati per le condanne a morte a partire dalla fine del XVIII secolo, quando i primi dieci emendamenti, noti collettivamente come “Dichiarazione dei Diritti”, furono aggiunti alla Costituzione americana. Dall’impiccagione allo squartamento al rogo, Gorsuch è entrato frequentemente nei dettagli degli effetti di questi metodi sul condannato nei momenti precedenti il decesso, con l’intento di spiegare come le conseguenze dell’iniezione letale su Russell Bucklew risulterebbero tutto sommato trascurabili al confronto.

Sulla stessa linea della sentenza di questa settimana è da considerare un’altra recente decisione della Corte Suprema sulla pena capitale. Nel mese di febbraio, ancora con una maggioranza risicata, i giudici avevano respinto il ricorso di un condannato a morte di fede musulmana in Alabama che chiedeva la presenza di un imam al momento dell’esecuzione. La richiesta non era stata accettata malgrado sia consuetudine, in base al principio costituzionale di non discriminazione religiosa, che venga garantita l’assistenza di un consigliere spirituale per i condannati cristiani o di altre fedi. Settimana scorsa, infatti, per gli stessi motivi era stata fermata la condanna di un detenuto buddista in Texas.

Nel panorama cupo della Corte Suprema americana, si sono distinti quanto meno alcuni commenti alla recente sentenza espressi dai giudici di minoranza. Il già citato giudice “liberal”, Stephen Breyer, ha ricordato ad esempio come lo stesso tribunale abbia stabilito una serie di precedenti che affermano la necessità di adeguare le prescrizioni costituzionali alla realtà sociale odierna. Per questa ragione, una punizione non considerata “crudele e inusuale” oltre due secoli fa può essere invece ritenuta tale nell’epoca attuale e, quindi, messa fuori legge dalla giustizia USA.

Breyer, infine, ha in sostanza ribadito tutte le perplessità che aveva manifestato negli anni scorsi circa la legittimità della pena di morte nel suo complesso, soprattutto alla luce delle numerose dispute legali approdate spesso alla Corte Suprema. L’anziano giudice ha affermato cioè che, “se un detenuto non può essere giustiziato rapidamente senza che i suoi diritti siano violati”, la ragione può risiedere nel fatto che, “semplicemente, non esiste un modo costituzionale per implementare la pena capitale”.

http://www.altrenotizie.org/primo-piano/8406-pena-di-morte-usa-ritorno-al-medioevo.html

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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