Anything goes – come succedeva in genere ai musical degli anni Trenta, quando a Broadway, come in qualunque altra “fabbrica”, si doveva produrre, e in fretta – ha molti padri. C’è prima di tutto il produttore Vinton Freedley, non solo perché era lui a metterci i soldi e il teatro – lo storico Alvin Theatre – ma soprattutto perché fu lui ad avere l’idea di ambientare una storia di travestimenti su una nave, visto che egli stesso viveva su una grande barca per sfuggire ai creditori.
Poi ingaggiò P.G. Wodehouse e il suo storico collaboratore Guy Bolton per scrivere il libretto. Noi conosciamo Wodehouse soprattutto per essere l’autore dei romanzi che hanno come protagonista l’impeccabile maggiordomo Jeeves, ma questo infaticabile e talentuoso scrittore inglese si dedicò spesso al teatro. A Freedley però il libretto non piacque. Wodehouse e Bolton erano già partiti per il Regno Unito e così incaricò il regista Howard Lindsay di riscrivere completamente la commedia. Lindsay chiese aiuto all’amico press agent Russell Crouse e il lavoro finalmente esaudì le richieste dell’esigente produttore. Per altro la collaborazione di Lindsay e Crouse continuò per molti anni: insieme scrissero i libretti per molti musical di Gershwin, Porter e Berlin e per The sound of music. A Broadway erano conosciuti come “the show doctors”: quando uno spettacolo stentava a decollare, loro due accorrevano al capezzale.
E così Anything goes porta la firma di ben quattro autori. Intanto nella magnifica villa Rosecliff di Newport – nella sua sala da ballo furono girate alcune scene de Il grande Gatsby – ospite del magnate Hermann Oelrichs, Cole Porter scriveva i testi e le musiche delle canzoni che sarebbero state parte determinante del musical. E tra queste ci sono alcuni dei suoi capolavori: I get a kick out of youYou’re the topAnything goesAll through the night.
Dopo il “rodaggio” a Boston, Anything goes debuttò a Broadway il 14 giugno 1935, rimanendo in cartellone per ben 420 repliche, un record per gli anni Trenta. Per i ruoli principali Freedley aveva ingaggiato una stella come Ethel Merman, per il ruolo di Reno Sweeney, e due grandi attori, che lavoravano spesso insieme ed erano conosciuti come una coppia comica, William Gaxton e Victor Moore.
Anything goes, può succedere qualunque cosa. E durante la commedia succedono davvero molte cose: improbabili travestimenti, repentine conversioni, continui scambi di coppie, fino all’inevitabile happy end.
Cole Porter si diverte molto a scrivere la canzone che porta il titolo del musical. Il mondano Cole Porter prende in giro i suoi amici dell’alta società: Samuel Goldwyn che continua a produrre i film con l’attrice Anna Sten, probabilmente perché, essendo polacco, è l’unico che riesce a capire quando parla, Evalyn McLean, ereditiera del Washington Post, che ha fatto un viaggio in Unione sovietica per convincere i russi a non essere più comunisti, Eleonor Roosvelt che, da First Lady pubblicizza i materassi Simmons: davvero anything goes. Ma soprattutto mette alla berlina quelli che si lamentano di quello che sta diventando la società americana.
Times are changed, i tempi sono cambiati, dice Porter, non siamo più ai tempi dei Padri Pellegrini. E se un tempo era uno shock vedere di sfuggita la calza di una signora, cosa dovremmo dire adesso che si vede “tutto”? che appunto anything goes. Negli anni Venti, nell’età del jazz, l’espressione anything goes poteva essere appunto lo sfogo sconsolato di un moralista di fronte a quelle che sembravano le “moderne” licenziosità dei costumi, ma Cole Porter gioca con le parole e non vuol dire solo questo. L’America soffriva ancora per gli effetti della crisi del ’29, erano gli anni della Grande depressione, erano gli anni in cui John Steinbeck scriveva Uomini e topi e Furore: stava davvero succedendo qualunque cosa. E gli americani, specialmente quelli più poveri, lo sapevano bene. Anche se, come dice ancora Porter, sono i Vanderbilts e i Whitneys a piangere miseria, dopo aver lucrato su quella degli americani.
Ma Cole Porter conosceva – e amava – troppo bene l’Europa, per non pensare che quel anything goes, nonostante tutta la sua scanzonata spensieratezza, nascondesse anche dell’altro. Mentre a Broadway Ethel Merman cantava Anything goes, il mondo era in bilico.
La buona società europea ed americana poteva ancora pensare che Mussolini fosse l’unica soluzione possibile per governare gli “ingovernabili” italiani; c’era un certo pregiudizio razzista che spingeva molti a credere che in Italia non fosse possibile la democrazia e quindi almeno il fascismo permetteva di viaggiare nel Bel paese senza troppi pericoli. E così si poteva anche chiudere un occhio sulla campagna in Etiopia, sull’uso dei gas, sul regime segregazionista imposto dall’Italia a quella nuova colonia. In fondo, anything goes. Ma era più difficile far finta di nulla verso la Germania nazista: quando Porter scrive Anything goes Adolf Hitler è già diventato Fuhrer, la bandiera nazista è diventata la bandiera del Reich, c’è stata la “notte dei lunghi coltelli” ed è bruciato il Reichstag, e centinaia di migliaia di oppositori politici sono stati imprigionati nei campi di concentramento. Albert Einstein e tanti altri intellettuali sono fuggiti dalla Germania. Immagino che Porter conoscesse bene il collega Kurt Weill, fuggito anche lui. Anything goes. Mentre si succedono le repliche all’Alvin Theater, le truppe golpiste del generale Franco attaccano il governo della Repubblica spagnola. Anything goes: può succedere qualunque cosa, anche Guernica.
Ed ora, che può succedere ancora qualunque cosa, non abbiamo neppure Cole Porter a ricordarcelo con una canzone.

p.s. Naturalmente ci sono tantissime versioni di questa celeberrima canzone. Mi piace però lasciare qui questa interpretazione, piuttosto rara, dello stesso Cole Porter che non era certo un grande cantante, ma rende tutta l’ironia e lo spirito del testo.

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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