di Noam Chomsky e CJ Polychroniou –

Perché tanti oggi negli USA trovano attraenti le invettive razziste e la mentalità autoritaria di Trump? Quali sono i pesi e i contrappesi – o l’assenza di essi – che possono scongiurare l’impatto delle disastrose politiche della dirigenza Repubblicana? E’ in preparazione una crisi costituzionale? E come affrontiamo le conseguenze di un’amministrazione che sta essenzialmente concorrendo per il titolo di organizzazione più pericolosa delle storia umana? In questa intervista esclusiva a Truthout il professore emerito di linguistica al MIT e docente insigne di linguistica presso l’Università dell’Arizona, Noam Chomsky, che è diffusamente considerato uno dei maggiori pensatori di tutti i tempi (classificandosi tra le dieci fonti più citate di ogni tempo, accanto a Platone, Aristotele, Shakespeare, Hegel e Freud) analizza gli attacchi razzisti di Trump, il trumpismo e l’attuale situazione del paese nel secondo decennio del ventunesimo secolo.

C.J. Polychroniou: Secondo una concezione popolare gli Stati Uniti sono una “nazione di immigrati”, anche se questa formulazione esclude significativamente i popoli nativi – che erano già qui e furono sottoposti a colonizzazione, allontanamento e genocidio per mano di immigrati europei – ed esclude anche gli afroamericani, i cui antenati furono rapiti e resi schiavi. Quando sono descritti come una “nazione di immigrati” gli Stati Uniti sono spesso dipinti come una nazione variegata nella quale le persone hanno la libertà di perseguire i loro sogni di una vita migliore, conservando contemporaneamente la loro identità e unicità culturale, etnica e religiosa. Tuttavia la verità è che disuguaglianza e oppressione dell’”altro” sono state realtà politiche e sociali costanti sin dalle origini della repubblica. Di fatto abbiamo oggi un presidente alla Casa Bianca che non si fa scrupolo di augurarsi di vedere persone non bianche, persino rappresentanti eletti al Congresso degli Stati Uniti, lasciare il paese a causa della loro contestazione dello status quo e della ricerca di Stati Uniti con una politica più umana e democratica. Nel frattempo i ricchissimi godono privilegi politici come mai prima. Noam, quali sono alcuni del fattori tangibili e intangibili che sembrano spingere il paese – socialmente, politicamente ed economicamente – all’indietro invece che in avanti?

Noam Chomsky: Le tirate di Trump hanno successo nell’eccitare il suo pubblico, gran parte del quale apparentemente si sente profondamente minacciato da diversità, cambiamento culturale o semplicemente dal riconoscimento che la nazione cristiana bianca della sua immaginazione collettiva sta cambiando davanti ai suoi occhi. Il suprematismo bianco non è per nulla nuovo negli Stati Uniti. Gli studi comparativi sul suprematismo bianco dello scomparso George Frederickson hanno rilevato gli Stati Uniti quasi senza paragoni, più estremi persino del Sudafrica dell’apartheid. Ancora negli anni ’60 gli Stati Uniti avevano leggi contro i matrimoni misti tanto estremi che i nazisti si rifiutarono di adottarle come modello delle loro razziste Leggi di Norimberga. E il potere dei Democratici del Sud fu così grande che negli anni ’60 l’attivismo distrusse il quadro del razzismo legale – se non la sua pratica con altri mezzi. Persino i programmi federali di edilizia popolare del New Deal imponevano la segregazione, escludendo i neri da nuovi programmi di edilizia popolare.

Risale alle origini del paese. Pur se progressisti per molti versi secondo i parametri del tempo, gli Stati Uniti furono fondati su due principi razzisti brutali: il sistema di schiavismo più odioso della storia umane, la fonte di gran parte della loro ricchezza (e anche di quella dell’Inghilterra) e la necessità di liberare il territorio nazionale dai nativi americani che la Dichiarazione d’Indipendenza descrive esplicitamente come “i feroci selvaggi indiani”, e che i costituenti consideravano un ostacolo all’espansione della razza “superiore”.

Gli immigrati… dovevano essere immigrati bianchi; in realtà fondamentalmente “anglosassoni”, in accordo con i bizzarri miti razzisti dei padri fondatori, persistiti in tutto il diciannovesimo secolo. Ciò include le principali figure dell’Illuminismo.  Benjamin Franklin sollecitò il bando dei tedeschi e degli svedesi perché erano troppo “scuri”. Thomas Jefferson fu molto interessato alla lingua e alla legge anglosassone, parte della sua immersione nel “mito sassone” che la democrazia e la legge inglese risalgano a un periodo sassone pre-normanno. La prima Legge sulla Naturalizzazione, 1790, limitò la scelta ai bianchi; estesa agli ex schiavi dopo la Guerra Civile.

Il paese aveva ovviamente necessità di immigrati per colonizzare il “paese indiano” dal quale le nazioni indigene furono espulse o “sterminate” (come dissero i Fondatori). Ma dovevano essere “bianchi”, una categoria in qualche modo flessibile, costruita culturalmente. Fino alla fine del diciannovesimo secolo gli asiatici furono esclusi per legge. La prima legge più generale sull’immigrazione si ebbe nel 1924, mirata a impedire l’ingresso principalmente agli ebrei e agli italiani. Non c’è bisogno di ripercorrere qui l’orrenda storia di come agli ebrei fu impedito di fuggire dalla barbarie nazista, crimini che persistettero anche dopo la guerra. Truman inviò Earl Harrison a ispezionare i campi di concentramento dove erano ancora tenuti gli ebrei, in condizioni grottesche, come riferì. Quasi l’unico effetto fu intensificare gli sforzi per spedirli in Palestina.

La legge del 1924 rimase in vigore fino al 1965. Negli anni ’80 l’immigrazione cominciò a essere criminalizzata. Fu particolarmente indegno il trattamento riservato agli haitiani in fuga dal terrore. Guantanamo fu inizialmente utilizzata come centro di detenzione dalle amministrazioni del primo Bush e di Clinton, un luogo in cui liberarsi di neri in fuga dal terrore del sanguinario regime del colpo di stato che [dirigenti statunitensi] stavano sostenendo, pur fingendo il contrario. Erano classificati “migranti economici”, una finzione cinica in grossolana violazione della legge internazionale e di un minimo di decenza.

Un’altra brutta storia.

Non è perciò molto sorprendente leggere un rapporto di una conferenza di intellettuali conservatori nella quale un’oratrice stimata, la docente di diritto dell’Università della Pennsylvania, Amy Wax, spiega eruditamente che “il nostro paese starebbe meglio con più bianchi e meno non bianchi”, poiché gli immigrati possono non arrivare rapidamente a “pensare, vivere e agire come noi”, a causa del clima sociale e culturale dei loro luoghi di origine.

La Wax non ha approfondito se i suoi genitori, immigrati ebrei dell’Europa dell’Est, erano venuti da un clima culturale e sociale nel quale le persone pensavano e agivano come “noi”.

Non è difficile capire perché queste correnti profonde stiano diventando più manifeste, e sinistre, oggi, dopo quarant’anni di “capitalismo selvaggio” scatenato dall’attacco neoliberista. E’ sufficiente ricordare che per una vasta maggioranza della forza lavoro i salari sono stagnati i diminuiti dal 1979, quando l’attacco neoliberista stava appena decollando. Dalle origini del paese i lavoratori statunitensi avevano beneficiato dei salari più elevati del mondo… Dagli anni ’80, anche se persistono insoliti vantaggi, i lavoratori sono scesi dietro il resto del mondo sviluppato secondo ogni misura. Per un esame della loro condizione attuale si veda il contributo del febbraio 2019 di Amanda Novella e  Jeff Madrick alla rivista Challenge.

Gli effetti dell’attacco sono un’acuta concentrazione di ricchezza e potere, sempre più in istituzioni finanziarie largamente predatrici; stagnazione o declino per la maggioranza, deterioramento dei benefici, collasso stupefacente delle infrastrutture, una forma di globalizzazione mirata a spingere i lavoratori gli uni contro gli altri a vantaggio di investitori internazionali, indebolimento di istituzioni a difesa dei diritti dei lavoratori, intaccamento della democrazia funzionante e molto altro che è sin troppo familiare.

La conseguenza, sia negli Stati Uniti sia in Europa, è un’impennata di rabbia, risentimento e, sin troppo spesso, una ricerca di capri espiatori; solitamente quelli ancora più svantaggiati, che sono presentati come coccolati dalle élite liberali. E’ una miscela pericolosa; territorio fertile per i demagoghi.

Le minacce sono molto più estreme delle incipienti tendenze di stile fascista, che già sono sufficientemente gravi. Non può essere trascurato che gli essere umani hanno di fronte una decisione di significato straordinario, che deve essere presa molto presto: la società umana organizzata sopravvivrà in qualcosa di simile alla sua forma attuale, o sarà devastata da una catastrofe globale? Le due minacce più sinistre sono la guerra nucleare e la catastrofe ambientale, entrambe in aggravamento. Quanto alla seconda, le principali imprese dell’energia stanno apparentemente pianificando un futuro entro metà del secolo con 5 gradi Celsius sopra i livelli pre-industriali, e con questo in mente, stanno correndo ad accelerare quella che gli scienziati del clima riconoscono essere una catastrofe indescrivibile, massimizzando la redditizia produzione di combustibili fossili, insieme con le maggiori banche e altre grandi istituzioni capitaliste.

Contemporaneamente l’amministrazione Repubblicana, decisa a salvaguardare le proprie credenziali i organizzazione più pericolosa di tutta la storia umana, sta prevedendo una catastrofe leggermente meno schiacciante: un aumento di 4 gradi entro la fine del secolo, anch’esso molto superiore a quello che gli scienziati considerano un pericolo colossale. E conclude da questa dettagliata valutazione ambientale che non dovremmo limitare le emissioni dei veicoli perché… che differenza fa? Finiremo in ogni caso nel burrone.

Se c’è qualcosa di simile nella storia del mondo, io non l’ho scoperto. E questo suscita a malapena qualche aggrottar di ciglia.

Naturalmente questa è solo scienza e come [il conduttore radiofonico di destra] Rush Limbaugh istruisce le sue decine di milioni di ascoltatori, la scienza è uno dei “quattro pilastri dell’inganno”, assieme a governo, accademia e media (quelli di genere sbagliato).

Tutto questo ci dice che i compiti che abbiamo di fronte sono urgenti, su molti fronti.      

Un’altra percezione (errata) comune è che la cultura e la società statunitensi si adattino facilmente al cambiamento. Tuttavia questo è un paese nel quale è immensamente difficile cambiare per processi politici e istituzioni obsoleti e disfunzionali, quali il Collegio Elettorale e la distribuzione dei seggi al Senato. E’ difficilissimo approvare modifica alla Costituzione. E sinora abbiamo incontrato molte barriere nell’abbandonare il sistema bipartitico. Come spieghiamo la mancata flessibilità dei processi e delle istituzioni statunitensi?

Nel diciannovesimo secolo la Costituzione statunitense fu per molti versi un documento progressista, anche se fu un “Colpo di stato legislativo” contro le aspirazioni democratiche della maggior parte del pubblico; il titolo dell’impressionante studio di Michael Klarman sulla redazione della Costituzione, generalmente considerato il “riferimento aureo” nella letteratura accademica.

Il documento ha problemi intrinseci, che stanno conducendo a una probabile crisi costituzionale. Per il professore di diritto Erwin Chemerinsky, scrivendo sulla “crisi costituzionale degli Stati Uniti’, i problemi sono sufficientemente seri da fargli intitolare il suo articolo “La priorità assoluta: rendere gli Stati Uniti una democrazia” (contrariamente alle intenzioni dei Costituenti). Egli esamina alcuni dei problemi familiari. Uno ha a che fare con il Collegio Elettorale, che fu progettato dai Costituenti a causa della loro sfiducia nei confronti del governo popolare. A oggi stati con il 23 per cento della popolazione hanno voti elettorali sufficienti per scegliere il presidente. Cosa ancora più importante, lo stesso squilibrio radicale rende il Senato un’istituzione fortemente non democratica, in accordo con le intenzioni dei Costituenti. Nel progetto costituzionali di Madison il Senato era il ramo più potente del governo, e il più protetto dall’interferenza del pubblico. Doveva rappresentare “la ricchezza della nazione”, gli uomini più “responsabili”, che hanno simpatia per la proprietà e per i suoi diritti. Inoltre, anche se ovviamente i Costituenti non previdero ciò, cambiamenti sociali e demografici hanno posto questo eccessivo potere antidemocratico nelle mani di una parte della popolazione che è prevalentemente rurale, bianca, cristiana, socialmente conservatrice e tradizionalista, generalmente simpatizzante del principio della Wax.

Alcune di queste caratteristiche non democratiche erano virtualmente inevitabili. La Costituzione non avrebbe potuto essere ratificata se alle colonie più piccole non fosse stata garantita una voce uguale. Ma a oggi gli effetti sono gravi, e immutabili attraverso modifiche, a causa dello stesso squilibrio radicale nel potere di voto.

Questi problemi sono esacerbati dalla monopolizzazione della politica da parte dei due partiti politici e dalle leggi statali sul “vincitore prende tutto” che vietano la rappresentanza proporzionale, che può permettere a una varietà di voci di entrare nell’arena politica, a volte crescendo in grandi partiti. Alcuni hanno sostenuto, in modo non implausibile, che se un paese con il sistema statunitense cercasse di aderire all’Unione Europea, la domanda sarebbe respinta dalla Corte Europea di Giustizia.

La crisi incombente sta diventando sempre più grave a causa della malevolenza della dirigenza Repubblicana. Essa è ben consapevole che la sua formula di vergognoso servizio alla ricchezza e al potere delle imprese, assieme alla mobilitazione di una base elettorale del genere che si presenta alle manifestazioni di Trump, non è sufficiente per superare il suo crescente status di minoranza. La soluzione consiste nella radicale alterazione dei distretti elettorali del genere oggi autorizzato dalla reazionaria Corte [Suprema presieduta dal giudice] Roberts e nel riempire la magistratura di giudici di estrema destra che saranno in grado di tenere il paese per la gola per molti anni. Qui il genio del male è Mitch McConnell, che ha manovrato per bloccare le nomine sotto Obama, una campagna di ostruzionismo che la lasciato 106 posti vacanti alla fine del secondo mandato di Obama (compreso il caso scandaloso di Merrick Garland) e che ora sta accelerando nomine di scelti dalla Federalist Society.

Un altro tema ricorrente della storia statunitense riguarda il fondamentalismo religioso, che è tuttora diffuso in tutto il paese. Gli Stati Uniti, un qualche modo, assomigliano più a una nazione fondamentalista che a una repubblica laica avanzata?

Per tutta la loro storia gli Stati Uniti sono stati una società insolitamente fondamentalista, con regolari Grandi Risvegli e credenze che sono molto oltre lo spettro delle società sviluppate. Quasi l’80 per cento degli statunitensi crede nei miracoliC’è una grande comunità evangelica, una vasta parte della base di Trump, che egli mantiene in linea gettandole briciole. Il Segretario di Stato Mike Pompeo, un cristiano evangelico devoto, ha recentemente ipotizzato che Dio possa avere mandato Trump per salvare Israele dall’Iran, che nel mondo fantasioso delle verità dottrinali sta minacciando Israele di distruzione. Un 40 per cento pieno degli statunitensi attende il ritorno di Gesù sulla terra entro la metà del secolo (il 23 per cento con certezza). E’ possibile che questo spieghi parte del “distogliere lo sguardo” di cui abbiamo parlato in precedenza. Tutto considerato, si tratta di una forma curiosa di eccezionalismo che risale ai primi coloni.

Gli Stati Uniti restano una superpotenza globale, ma la loro società interna è considerevolmente disuguale e la povertà è rampante. Considerato ciò, dovremmo interpretare il trumpismo con un fenomeno politico simile alle stesse dinamiche che nell’era prebellica determinarono l’ascesa del fascismo e di altre forme di governo autoritario in Europa e altrove?

Già negli anni ’50 l’economista John Kenneth Galbraith descrisse la società statunitense come caratterizzata da ricchezza privata e pubblico squallore. E’ vero che nella sfera pubblica [gli Stati Uniti] assomigliano a un paese del “terzo mondo”. La Graduatoria delle Infrastrutture della Società Statunitense degli Ingegneri Civili classifica regolarmente gli Stati Uniti in fondo alla lista, D+. E a malapena si possono attraversare una cittadina statunitense o aree rurali povere senza essere colpiti dallo squallore. Lo stesso vale per le misure di giustizia sociale. Tra i paesi OCSE gli Stati Uniti si posizionano tra gli ultimi. Non penso che ciò sia specificamente collegabile al trumpismo, salvo che per il fatto che la dirigenza contemporanea del Partito Repubblicano è una virtuale caricatura dei caratteristiche di lungo corso dell’economia politica statunitense, basa su un potere delle imprese che è inconsueto in base a parametri storici, con un impatto pervasivo sul sistema politico e anche sul “senso comune egemone”, in termini gramsciani. Le classi imprenditoriali non sono solo insolitamente potenti, ma hanno anche una forte coscienza di classe, costantemente impegnate in una dura guerra di classe, per certi versi marxiste grossolane a valori invertiti.

C’è una variante. Il periodo del New Deal portò gli Stati Uniti in qualche misura più vicini alla socialdemocrazia di stile europeo, ma dagli anni ’80 ciò è stato acutamente invertito. Ormai quando Bernie Sanders sollecita un rinnovamento e un’estensione del New Deal – idee che non avrebbero sorpreso molto Eisenhower – è considerato un radicale che vuole distruggere i “valori statunitensi”.

Il trumpismo e il fascismo prebellico sembrano a me una questione differente. Sicuramente ci sono somiglianze. Parlando personalmente il discorso di Trump a Greenville, North Carolina, evoca miei ricordi infantili di ascolto alla radio dei discorsi di Hitler a Norimberga, non comprendendo le parole, ma il tenore era sufficientemente evidente, e spaventoso. Gli appelli non tanto mascherati a razzismo, xenofobia, misoginia, al tradimento dei dissenzienti, la demonizzazione dei media che non si prostrano vergognosamente al Grande Capo, tutto questo è molto altro è evocativo del fascismo prebellico. E anche la base sociale del trumpismo ha somiglianze con il fascismo prebellico: il potere dei super-ricchi e una base popolare piccolo borghese.

Ma il fascismo prebellico era basato sul controllo di tutti gli aspetti della società – economia inclusa – da parte di uno stato forte nelle mani di un partito dominante totalitario onnipotente: Gleichschaltung. La situazione qui è molto diversa, quasi l’opposto, con il mondo imprenditoriali sempre più monopolizzato, particolarmente il suo settore finanziario, che ha un potere soverchiante sulla vita sociopolitica e sulla gestione dottrinale…

Negli anni ’80 il Giappone era considerato la potenza più probabile a sostituire l’egemonia statunitense. Sappiamo che cosa è successo a quella previsione. Oggi molti guru considerano la Cina una futura superpotenza globale. E’ una valutazione realistica degli sviluppi geopolitici futuri, considerato il grande divario economico e militare che esiste oggi tra la Cina e gli Stati Uniti?

La fantasticheria del “Giappone Numero Uno” risale all’incompetenza della gestione statunitense, incapace di competere con i superiori metodi di produzione giapponesi. Reagan se ne occupò con i “limitati volontari all’esportazione” – dove “volontari” significa “o così o peggio per voi”, chiarendo chi era il Numero Uno – e con numerosi altri strumenti. Uno fu la SDI (“Guerre Stellari”) spacciata al pubblico (e forse allo stesso Reagan) come difesa dal malvagio nemico, ma offerta al mondo imprenditoriale come una grande opportunità affaristica, per gentile concessione dei contribuenti, un benefattore familiare.

Quanto alla Cina, ha compiuto un considerevole progresso economico e tecnologico, ma resta un paese poverissimo. E’ classificato ottantaseiesimonell’aggiornamento 2018 dell’Indice di Sviluppo dell’ONU, appena sotto l’Algeria. (L’india è al cento trentesimo posto, appena sopra Timor Est). La Cina ha enormi problemi interni, ignoti in occidente. Si sostiene che la Cina è paragonabile agli Stati Uniti, forse in testa, quanto a Parità di Potere d’Acquisto, ma questo significa che è molto più in basso pro capite. La Cina ha perseguito piani sistematici di espandere la sua influenza in tutta l’Eurasia in collaborazione piuttosto disagiate con una Russia economicamente molto più debole, prima attraverso il Consiglio di Cooperazione di Shanghai, oggi con l’iniziativa della “Via della Seta”. In alcune aree della tecnologia – pannelli solari, auto elettriche – può essere in testa. Ma ha ancora un lungo cammino da percorrere per arrivare al livello delle società industriali ricche.

Gli Stati Uniti sono preoccupati per la crescita cinese e cercano (parecchio apertamente) di impedirla; una posizione politica non molto attraente.

Vale anche la pena di tener presente che nell’era della globalizzazione neoliberista, i conti nazionali sono una misura meno significativa del potere economico, rispetto al passato. L’economista politico Sean Starrs ha compiuto un lavoro istruttivo sua una misura diversa: la percentuale di ricchezza mondiale detenuta da imprese multinazionali con sede nazionale. In base a tale misura gli Stati Uniti sono di gran lunga in testa internazionalmente, detenendo uno spettacolare cinquanta per cento della ricchezza mondiale – più della quota statunitense del PIL globale al picco del loro potere nel 1945 – e le imprese statunitensi sono in testa in praticamente quasi ogni altra categoria.

Certamente la Cina ha un grande ruolo negli affari mondiali. Una politica sensata consisterebbe nell’accomodamento e nella cooperazione, ciò che non sembra escluso dalla gamma delle possibilità.

C.J.Polychroniou è un economista politico/politologo che ha insegnato e lavorato in università e centri di ricerca in Europa e negli Stati Uniti. I suoi principali interessi di ricerca sono l’integrazione economica europea, la globalizzazione, l’economia politica degli Stati Uniti e la decostruzione del progetto politico-economico del neoliberismo. E’ un collaboratore regolare di Truthout e anche membro del Public Intellectual Project di Truthout. Ha pubblicato numerosi libri e i suoi articoli sono apparsi in una varietà di riviste, periodici, giornali e siti giornalisti popolari in rete. Molte delle sue pubblicazioni sono state tradotte in numerose lingue straniere, tra cui croato, francese, greco, italiano, portoghese, spagnolo e turco. E’ autore di Optimism Over Despair: Noam Chomsky on Capitalism, Empire and Social Change, un’antologia di interviste a Chomsky in origine pubblicate presso Truthout e raccolte da Haymarket Books.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fontehttps://zcomm.org/znetarticle/to-make-the-us-a-democracy-the-constitution-itself-must-change/

Originale: Truthout

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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