di Nick Beams

I mercati obbligazionari globali stanno trasmettendo un chiaro messaggio che segmenti considerevoli dell’economia mondiale si stanno dirigendo a una recessione, se già non vi si trovano.

Questa settimana i rendimenti dei titoli governativi stanno calando con gli investitori che cercano un “porto sicuro”. Al tempo stesso il prezzo dell’oro, l’ultima riserva di valore, è andato costantemente aumentando e ha superato i 1.500 dollari l’oncia, il suo livello più elevato da sei anni a questa parte.

L’innesco immediato della corsa alla sicurezza è stato la nuova minaccia tariffaria contro la Cina da parte dell’amministrazione Trump e la svalutazione della moneta cinese, il renmimbi, lunedì, che ha determinato la decisione del Tesoro statunitense di definire la Cina una “manipolatrice della moneta”.

La decisione del Tesoro può non avere una effetto diretto immediato ma ha suscitato lo spettro di una guerra globale delle valute con le banche centrali di tutto il mondo che tagliano i loro tassi d’interesse, in tal mondo riducendo il valore delle loro monete, o si preparano a farlo in quella che è stata definita una “corsa al ribasso”.

Ieri tre banche centrali della regione Asia-Pacifico hanno tagliato i loro tassi. La banca centrale neozelandese ha ridotto il suo tasso di 0,5 punti percentuali, il doppio del taglio atteso. La banca centrale tailandese ha tagliato il suo tasso base dello 0,25 per cento, contrariamente alle aspettative del mercato che lo avrebbe tenuto fermo. La banca centrale dell’India ha ridotto il proprio tasso di 0,35 punti percentuali, portandolo al suo livello più basso da nove anni.

Anche le maggiori banche centrali sono attese muoversi. La Banca Centrale Europea ha segnalato di essere pronta ad attuare un ulteriore stimolo monetario nella sua riunione del mese prossimo. La Fed statunitense è attesa annunciare un’ulteriore riduzione del suo tasso base di almeno 0,25 punti percentuali, e forse di più, dopo la sua riduzione del tasso il mese scorso.

Il presidente della Fed di St Louis, James Bullard, ha detto ieri di ritenere che la banca centrale statunitense “può attuare più correzione di politica”.

Il presidente statunitense Donald Trump ha continuato nella sua pretesa di una riduzione dei tassi USA, affermando che le mosse della Fed dovrebbero essere “maggiori e più rapide” e ha di nuovo indicato che la concentrazione dovrebbe essere sul posizionare gli Stati Uniti in quella che sta emergendo come un conflitto globale sulle monete.

“L’incompetenza è una cosa terribile da vedere, specialmente quando le cose potrebbero essere gestite cooosì facilmente”, ha twittato. “Sarebbe molto più facile se la Fed capisse, cosa che non fa, che stiamo competendo contro altri paesi i quali vogliono tutti andar bene a nostre spese!”

La crescente turbolenza finanziaria globale ha determinato grosse svolte a Wall Street. L’indice Dow è sceso di 589 punti nelle prime contrattazioni, prima di risalire e chiudere solo 22 punti sotto nella giornata. Lo Standard&Poors 500 ha chiuso 0,1 punti percentuali in più dopo essere sceso del 2 per cento in apertura delle contrattazioni.

Il rendimento dei titoli decennali de tesoro, che si muovono in direzione opposta al loro prezzo, è sceso sotto l’1,6 per cento, prima di riprendersi leggermente.

In un editoriale piuttosto preoccupato pubblicato ieri il Wall Street Journal ha dissentito dalla decisione statunitense di imporre nuovi dazi contro la Cina. Ha segnalato che molteplici rapporti dalla Casa Bianca indicavano che Trump ha deciso contro tutti i suoi consiglieri economici, salvo il falco anticinese Peter Navarro, nel compiere la mossa. Da allora, ha affermato l’editoriale, “le condizioni economiche globali statunitensi e globali hanno cominciato a deteriorarsi”.

Ha segnalato le contraddizioni del programma economico di Trump. La politica commerciale stava contribuendo all’instabilità dei rapporti di cambio, determinando l’aumento del dollaro con l’afflusso di capitali negli USA in cerca di un porto sicuro. La Cina non stava manipolando la sua moneta ma stava fissando un nuovo margine inferiore per riflettere domanda e offerta.

“Non stiamo prevedendo una recessione, peraltro pochi pensavano che fossimo in una recessione anche a metà 2008”, ha affermato l’editoriale, avvertendo che le espansioni economiche non finiscono da sole da derivano da errori politici. Sollecitando almeno una tregua commerciale ha concluso: “La caotica offensiva commerciale di Trump potrebbe essere l’errore che trasforma un rallentamento nella recessione di Navarro”.

I segnali di un rallentamento globale, se non di una vera e propria recessione, sono più evidenti nella regione Asia-Pacifico sensibile agli scambi, come dimostrato dai tagli dei tassi di ieri delle banche centrali, e in Germania.

Dati pubblicati ieri mostrano che la produzione industriale in Germania, l’economia più vasta dell’eurozona e il motore chiave della sua crescita economica, è diminuita a giugno di un 1,5 per cento superiore alle aspettative. Secondo un sondaggio della Reuters, analista avevano predetto che sarebbe sceso solo dello 0,4 per cento.

Con la produzione industriale ora giù del 5,2 per cento rispetto al suo livello del giugno 2018, ci sono timori che la Germania si stia dirigendo alla sua prima recessione in sei anni.

Commentando i dati più recenti, Carsten Brzeski, il capo economista della società finanziaria ING, ha detto: “Tutto sommato, descriveremmo l’odierno rapporto sulla produzione industriale come devastante, senza alcun risvolto positivo”.

Nel suo articolo sui dati tedeschi il Financial Times ha scritto che le cifre “evidenziano come una crisi nell’industria automobilistica e una guerra commerciale in intensificazione tra USA e Cina hanno trasformato la Germania da potenza dell’eurozona a uno dei suoi membri dai risultati più deboli”.

Anche se l’industria automobilistica è in cuore del declino, la produzione industriale è peggiorata in generale. Il vicecapo della ricerca economica della Commerzbank ha affermato che la crisi dell’industria automobilistica stava proseguendo “ininterrotta”. “Tuttavia il motivo principale di questa debolezza è oggi probabilmente una domanda più debole dall’estero”.

Alexander Krueger, un economista dalla Bankhaus Lampe, ha detto che la continua “caduta della produzione” era “allarmante” e che quanto più continui “tanto più probabile è che altri settori dell’economia” siano trascinati in essa.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originalehttps://www.wsws.org/en/articles/2019/08/08/glob-a08.html

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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