Rete italiana per il disarmo ha lanciato un appello al governo, affinché interrompa l’invio di forniture militari alla Turchia, applicando la legge 185 del 1990: “È inaccettabile che il nostro Paese, che ha attivamente sostenuto l’impegno delle popolazioni curde di contrasto all’ISIS, continui a inviare sistemi militari alla Turchia. È giunto il momento che il Parlamento faccia sentire la propria voce”.

L’offensiva turca verso la Siria per colpire il popolo curdo, denominata ‘Operation Peace Spring’ ha suscitato lo sgomento e l’indignazione internazionale. Ma spesso le condanne, le dichiarazioni pubbliche, sono necessarie ma non bastevoli. L’Italia, il governo giallo-rosso, dovrebbe passare ad azioni più concrete, che sono per altro previste dal nostro ordinamento. C’è una legge, che purtroppo non sempre viene applicata, ed è la 185 del 1990: questa legge vieta la vendita di armi italiane a Paesi in stato di conflitto armato. Lo stesso concetto è sostanzialmente ribadito poi dalla Posizione comune europea del 2008 e dal Trattato Onu sul commercio di armi, che l’Italia ha sottoscritto nel 2013. Ma per l’applicazione della legge 185 è richiesto un passaggio, un atto formale da parte del governo italiano.

Per questo Rete italiana per il disarmo (Rid) ha lanciato un appello al governo e in particolare al ministro degli Esteri Luigi Di Maio, per chiedere che, se Erdogan non ferma subito l’invasione, vi sia un’immediata sospensione delle forniture militari italiane per Ankara.

Nel 2018 la Turchia è stata il terzo Paese di destinazione del nostro export bellico, con 362 milioni di autorizzazioni concesse solo lo scorso anno (le licenze concesse sono state 70). Questo dato, divulgato dalla Rid, dimostra anche un incremento delle esportazioni dall’Italia, registrato negli ultimi quattro anni: nel 2015 il valore delle autorizzazioni era pari a 128 milioni, nel 2016 si parla di 133 milioni, mentre nel 2017 questa cifra era praticamente raddoppiata, con 366 milioni.

Chiaramente bisogna distinguere tra autorizzazioni e armamenti realmente consegnati: in questa seconda categoria rientra il numero esatto di armi che arrivano a destinazione, e che negli ultimi 4 anni ha un valore di 463 milioni di euro. Ma il numero di forniture che l’Italia ha inviato al governo di Ankara da quando Erdogan è al potere in realtà è molto più alto. Basti pensare alle coproduzioni italo-turche che sono state avviate direttamente in Turchia: si tratta in questo caso degli elicotteri AW129 Mangusta di Augusta Westland. “Questi elicotteri – ha spiegato Giorgio Beretta analista dell’Osservatorio OPAL e della Rete italiana per il disarmo, contattato da Fanpage.it – non sono mezzi per il trasporto delle truppe. Sono elicotteri d’attacco al suolo, possono sparare aria-aria o aria-terra. Questa coproduzione vale oltre un miliardo di euro”.

Non è possibile avere un calcolo preciso delle autorizzazioni di esportazione di sistemi d’arma italiani, anno per anno, verso Paesi in stato di conflitto armato. E questo per una ragione molto semplice: nella relazione che ogni anno il presidente del Consiglio è tenuto a presentare al Parlamento, di solito entro il 31 marzo dell’anno successivo a quello a cui si riferisce, fino al 2013 si riusciva a risalire alla cifra esatta, incrociando i dati di diversi ministeri. Di ogni singola esportazione era possibile dunque verificarne il valore, la quantità, l’azienda di provenienza, il sistema d’armi. Era possibile per esempio capire se un velivolo venduto all’estero era un velivolo d’attacco o per il soccorso. Questo principio di trasparenza aveva guidato le relazioni dei primi anni Novanta (con Andreotti presidente del Consiglio). Dal 2013, nel documento consegnato al Parlamento non c’è più traccia dell’indicazione del Paese destinatario della commessa. La cancellazione di questo dato, avvenuto con un mero atto amministrativo mai giustificato davanti al Parlamento, è stato motivato rivendicando la riservatezza delle transazioni commerciali. Ma di fatto è un modo per impedire una verifica di eventuali violazioni di legge, in cui il nostro Paese incorrerebbe se vendesse commesse militari a Paesi che stanno calpestando i diritti umani.

Fino ad ora il governo italiano, con le dichiarazioni di Di Maio e di Conte, ha condannato solo a parole l’azione militare turca contro i curdi. E questa è la prova che un intervento di questo tipo non può essere accettato dall’Ue. Ma questa posizione, come dicevamo, deve ora tradursi in atti formali: “È inaccettabile che il nostro Paese, che ha attivamente sostenuto l’impegno delle popolazioni curde di contrasto all’ISIS, continui a inviare sistemi militari alla Turchia che oggi intende occupare militarmente i territori curdi. È giunto il momento che il Parlamento faccia sentire la propria voce”, ha detto Beretta.

“Chiediamo con forza al Governo italiano di adoperarsi per fermare un’escalation di conflitto inaccettabile”, ha detto Francesco Vignarca coordinatore della Rete italiana per il disarmo. “In particolare risultano drammatiche le notizie di fonte curda secondo le quali i primi bombardamenti avrebbero colpito anche obiettivi civili”.

Lo stop dell’invio di armi chiesto all’Italia non equivarrebbe a un embargo totale, che comporterebbe invece il blocco dei rapporti commerciali con la Turchia. Ma, come è spiegato nel comunicato della Rid, tra le armi autorizzate dal governo italiano ci sono armi o sistemi d’arma di calibro superiore ai 19.7 mm, munizioni, bombe, siluri, arazzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software. Ed è su quelle vendite, di produzione italiana, che il governo italiano dovrebbe intervenire con una sospensione immediata.

Un caso analogo, in cui la legge 185 è stata applicata con la sospensione delle licenze di esportazione, è stato quello dell’Egitto. All’indomani del colpo di Stato attuato il 3 luglio del 2013 da Abdel Fattah al-Sisi, che ha destituito Mohamed Morsi e che ha causato più di 1000 morti, il governo Letta – Emma Bonino era il ministro degli Esteri – ha deciso di non concedere temporaneamente nuove autorizzazioni di armi verso il Paese nordafricano.

L’appello della Rete italiana per il disarmo è stato raccolto anche da Possibile: “Vanno bene le condanne agli attacchi decisi da Erdogan contro i curdi nella Siria del Nord. Ma le parole non sono sufficienti a fermare il progetto del presidente turco, che ha addirittura ricattato l’Ue parlando dei rifugiati come se fossero armi da puntare contro l’Europa. La risposta dell’Italia deve essere ferma e senza alcuna timidezza. Per questo è necessario sospendere immediatamente la vendita degli armamenti italiani alla Turchia. Ci uniamo quindi all’appello della Rete Disarmo avanzato nelle ultime ore”, ha detto la segretaria di Possibile, Beatrice Brignone.
“La situazione in Siria – ha aggiunto – è gravissima. Già si parla di migliaia di curdi in fuga dalle bombe e centinaia di vittime. Sarebbe da ipocriti criticare l’operato di Erdogan, ma continuare a rifornirlo di armi usate per una deliberata aggressione al popolo curdo. Norvegia e Finlandia hanno fatto da esempio, annunciando lo stop alla vendita di armamenti. L’Italia non sia da meno”.

https://www.fanpage.it/politica/guerra-in-siria-litalia-fermi-la-vendita-di-armi-verso-la-turchia/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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