di Wyatt Reed

Scandali umilianti stanno distruggendo il leader di destra Luis Fernando Camacho e la destra si sta spaccando, mentre un partito MAS più militante si prepara a una corsa elettorale in salita.

La Paz, Bolivia – Solo due mesi dopo che élite dominanti e politici di destra hanno preso il potere in Bolivia con un colpo di stato militare, la fragile unità di cui hanno brevemente goduto e scoppiata in una feroce faida pubblica.

Analisti locali avevano predetto che il leader colpo di stato, Luis Fernando Camacho, e l’uomo d’affari Marco Pumari avrebbero potuto unire la destra dall’est all’ovest del paese, sia indigena sia bianca o meticcia. La coppia era considerata una perfetta squadra insormontabile.

Tale alleanza sta ora ribollendo, con i due candidati favoriti alla presidenza che lavano in pubblico i loro panni sporchi in mezzo a una maligna lotta per il potere.

Lo scontro tra i due pesi massimi di destra è iniziato quando Camacho ha registrato segretamente e fatto trapelare una conversazione in cui ha accusato Pumari di sollecitare una mazzetta di 250.000 dollari e il controllo di due posti di controllo doganali in cambio del suo posto nella scheda elettorale. Camacho ha negato con forza di aver fatto trapelare il nastro che ha lasciato in un macello le aspirazioni presidenziali di Pumari.

Ma solo pochi giorni dopo che la personalità di destra della CNN Fernando del Rincón ha condiviso la scena e sorrisi con Camacho mentre accettava un premio dal suo Comitato Civico di Santa Cruz, di estrema destra, per la sua parte nel contribuire a “salvare la democrazia”,  Rincón ha sganciato una bomba.

In un’intervista in diretta del 13 dicembre sulla CNN en Español del  Rincón ha affrontato Camacho per avergli spedito il nastro.

Un esterrefatto Camacho ha insistito che l’audio doveva essere stato registrato dall’hotel in cui lui e Pumari si erano incontrati, perché in realtà egli aveva spedito a  Rincón un diverso nastro registrato segretamente del suo alleato politico più stretto, un’accusa che l’hotel ha immediatamente e assolutamente negato.

Da ragazzo d’oro della destra a merce scadente

Luis Fernando Camacho è arrivato sotto i riflettori politici mesi fa, ma ha cementato il suo status di leader di facciata del colpo di stato dopo aver fatto irruzione nel Palacio Quemado, il palazzo presidenziale della Bolivia, con l’assistenza della polizia. In un bizzarro atto di teatro kabuki colonialista, ha posto sul pavimento una bandiera boliviana e un’enorme bibbia e ha dichiarato che Dio era tornato nel palazzo presidenziale.

Momenti dopo il sacerdote al fianco di Camacho ha promesso che “Pachamama non tornerà mai nel palazzo”, con riferimento allo spirito andino della Madre Terra.

Da ex leader dell’innegabilmente fascista Union Juvenil Crucenista  paramilitare e del Comitato separatista di Santa Cruz, Camacho ha lottato per scrollarsi di dosso un passato di violenze suprematiste bianche e anti-indigene.

Marco Pumari, da leader del Comitato Civico di Potosi, di destra, afferma di parlare per il “vero popolo indigeno”, rispetto al presidente Evo Morales presunto “falso indigeno”. In quanto tale, Pumari avrebbe offerto copertura politica alla campagna di Camacho e contribuito a deviare gli elettori indigeni dal partito di sinistra di Morales, Movimento Verso il Socialismo (MAS).

Ma il 7 dicembre Camacho ha annunciato che avrebbe corso da solo, inducendo Pumari a denunciare che “la decisione è stata presa senza ascoltare la mia posizione… Sono rimasto sorpreso dalla decisione di Luis Fernando Camacho”.

Il Comitato Civico di Potosi, numericamente minuscolo e solo reale elettorato di Pumari si è rifiutato di collaborare. Ha deciso che o Pumari sarebbe stato presidente o non se ne sarebbe fatto nulla.

Alla fine la minaccia molto reale che i leader del comitato civico di estrema destra assumessero la presidenza appare oggi essere stata smontata interamente grazie al loro stesso egoismo. In modo molto simile all’opposizione di destra in Nicaragua e Venezuela, la loro mancata capitalizzazione del successo momentaneo orchestrato da potenze imperialiste esterne e da un coro quasi ineludibile di media complici pare essere ridotta a puro egocentrismo.

In un tentativo di giustificare tale decisione Camacho, o qualcuno vicino a lui, ha fatto trapelare una conversazione registrata tra i due uomini in cui Camacho accusa Pumari di tentare di sollecitare una mazzetta di 250.000 dollari in cambio della sua presenza sulla scheda elettorale.

Inoltre, il nastro rivelava che Pumari aveva chiesto il controllo di diverse Aduanas, i posti di controllo doganali che controllano la tassazione di tutto il traffico commerciale in entrata, in quella che sarebbe stata un’attività molto lucrosa per l’operatore politico di destra. In tale registrazione Pumari non ha negato di sollecitare le mazzette ma ha insistito di avere piani per spendere il ricavato per la campagna elettorale.

I sostenitori del colpo di stato si stanno ora riversando sui media sociali in una crisi collettiva di nervi. Sono furiosi per essere costretti a scegliere in un campo sempre più spaccato di candidati che sembra determinato a dividersi, a mo’ di ameba, da uno a due candidati e presto, potenzialmente, quattro.

Il commento più apprezzato nel video diffusamente visto dice: “Camacho, quanto sei astuto nel registrare conversazioni private in cui agisci come se fossi nel diritto, conciliativo, parli dei soldi dei Comitati Civici come se Pumari fosse un avvoltoio. Ora pubblichi l’audio per rovesciarlo. Congratulazioni, questo dimostra semplicemente che neanche tu sei all’altezza del posto”. 

In quello che potrebbe essere il chiodo finale sulla bara di Camacho, sui media sono trapelate denunce di violenze domestiche da parte dell’ex moglie di Camacho.

Aggiungendo insulti alle ferite del multimilionario evasore fiscale seriale, il discorso di Camacho del 12 dicembre presso il gruppo di esperti finanziato dal governo USA, Inter-American Dialogue, di Washington, DC, è precipitato in un caos totale quando un gruppo di attivisti antimperialisti boliviani e statunitensi gli ha impedito, con sostenute proteste, di parlare.

Canali di propaganda statale in Bolivia hanno tentato di mitigare i danni accusando gli attivisti di essere pagati 15 dollari l’ora da fonti non precisate, citando esuli cubani filo-golpisti residenti negli USA e affermando che nessun boliviano aveva partecipato alle proteste, nonostante chiare prove visive del contrario.

Il giornale controllato dallo stato El Deber accusa senza prove di dimostranti anti Camacho di aver ricevuto compensi per le loro proteste con il leader paramilitare fascista.

Ma i trucchi stanno mostrando la corda, anche agli iniziali sostenitori di Camacho.

“Camacho è merce difettosa adesso, proprio come Mesa”, mi ha detto questa settimana un sostenitore di classe superiore del colpo di stato di Santa Cruz, fuori da un bar chic di Cochamamba. Era seduto in un silenzio cupo mentre il suo indignato compagno mi cacciava in faccia il suo telefono e tentava di mostrarmi la precedente copertura di The Grayzone dell’agiato candidato di estrema destra.

Ha guardato livido il suo amico scuotere la testa e mostrare il video dei seguaci di Camacho della Union Juventud Cruceñista che facevano il saluto nazista. “Non c’è nessuno per cui votare”, ha lamentato.

“Che i fascisti brucino!” dice un fresco graffito in un quartiere della classe superiore di Cochabamba.

Nel giro di una sola settimana Camacho e Pumari sono passati da candidati favoriti a zimbelli nazionali.

In un tentativo di tamponare la ferita, Waldo Albarracin, il presidente del Comitato Nazionale per la Difesa della Democrazia, forse ciò di più prossimo a un comitato civico che esista a La Paz, ha fatto riferimento a entrambi gli uomini come “immorali e antidemocratici” e li ha sollecitati a farsi da parte.

Il principale beneficiario di tutto questo sarà probabilmente Carlos Mesa, l’uomo in posizione migliore per approfittare di quella che sta rapidamente diventando una guerra civile in seno all’estrema destra.

E una ministra recentemente licenziata dall’autoproclamata “presidente ad interim”, Jeanine Añez, insiste che anche lei intende candidarsi. Anche se la Añez ha pubblicamente minimizzato la prospettiva, indicando in un’adulatoria agiografia del canale statale di propaganda Pagina Siete che farlo sarebbe “disonesto”, la probabilità si accresce seriamente mentre gli altri aspiranti di estrema destra alla presidenza continuano a distruggersi reciprocamente le carriere.

Anche il magnate evangelico coreano-boliviano Chi Hyun Chung, un noto misogino e fanatico anti-indigeno, ha gettato il suo guanto sul ring. Chung è riuscito a ottenere l’8 per cento dei voti alle elezioni di ottobre, vinte comodamente da Evo Morales prima della sua deposizione in mezzo ad accuse inventate di frodi elettorali.

Ma i ranghi dei sostenitori di estrema destra di Chung si sono ridotti dopo che egli è stato la sola figura dell’opposizione ad accettare l’invito al dialogo di Evo Morales. Di fatto oggi il suo Partito Democratico Cristiano oggi si rifiuta di appoggiarlo. Al meglio può giocare un ruolo di disturbo, dividendo ulteriormente la destra.

Il MAS riemerge dal colpo di stato più militante e motivato alla vittoria

Il 7 dicembre a Cochabamba migliaia di membri del partito boliviano MAS sono scesi sul Coliseo de la Coronilla per decidere il futuro della centrale politica di sinistra che ha portato l’impoverito paese latino-americano a livelli senza precedenti di prosperità condivisa sotto la tutela del presidente Evo Morales.

Dall’esilio in Messico Morales ha telefonato per annunciare a rumorosi sostenitori che aveva accettato la sua candidatura quale direttore della campagna del MAS per le prossime proposte elezioni. All’esterno venditori che offrivano bandiere indigene Wiphala e DVD documentanti i recenti massacri dell’esercito a Sacana e Senkata lottavano per farsi sentire sopra il fragore dei sorvoli dell’esercito boliviano, che hanno ronzato periodicamente sulla grande folla con gli stessi velivoli usati dall’esercito per scatenare la morte sui membri del MAS in protesta contro il golpe settimane fa.

Nonostante l’aggressiva sorveglianza l’atmosfera all’interno era elettrica. Uno stadio affollato di sostenitori esultanti con bandiere che rappresentavano il partito e la popolazione indigena del paese ha inneggiato a una serie di leader del partito e i movimenti sociali al suo centro  sono saliti sul palco per denunciare i tentativi dei promotori del colpo di stato di purgare i loro ranghi dalle sfere del potere in Bolivia. E soprattutto hanno sollecitato unità.

Nonostante la sua rimozione forzata dal potere, il MAS è pronto a emergere dal colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti con un livello senza precedenti di rigore organizzativo.

“Questo momento, così cruciale per la nostra patria, rende necessario che siamo tutti uniti”, ha annunciato Andronico Rodriguez, il favorito alla candidatura presidenziale del MAS. “Ci sarà presto un altro momento per occuparci delle nostre debolezze e dei nostri errori, e naturalmente dei traditori e degli opportunisti che abbiamo sopportato per tutto questo tempo”.

Ma con il regime golpista della Añez che ha essenzialmente criminalizzato l’organizzazione politica di base, resta la domanda: ci si potrà fidare delle prossime elezioni, considerato il livello di repressione politica che la sinistra subisce quotidianamente? Le elezioni saranno pulite?

“Noi speriamo che saranno pulite; è ciò che il popolo merita”, mi ha detto l’ex ministro boliviano per le relazioni con l’estero Fernando Huanacuni mentre la conferenza si stava esaurendo. “Se loro [il governo golpista] parlano di democrazia, deve essere una democrazia trasparente per tutti”.

Juanita Ancieta, la segretaria nazionale del MAS per le relazioni con l’estero ha chiarito che in assenza di protezione dalla polizia e dall’esercito i membri del MAS troveranno altri modi per garantire la propria sicurezza. “Se accadrà qualcosa, se qualcuno sarà minacciato, se qualcuno sarà sequestrato, ci solleveremo a difesa di quel fratello o di quella sorella”, ha detto.

Quanto a se le elezioni saranno pulite, Ancieta ha commentato: “Solleciteremo che il mondo intero, che le organizzazioni internazionali partecipino da osservatori… sollecitiamo che le Nazioni  Unite procedano immediatamente a garantire trasparenza. Noi siamo d’accordo. La chiesa cattolica, settori importanti garantiscano trasparenza”.

Il principale veicolo legislativo per i loro tentativi di garantire che il regime della Añez non dirotti le elezioni è una legge generale chiamata Legge delle Garanzie. Come ha spiegato Ancieta: “E’ già approvata dalla nostra Assemblea Legislativa, dalla nostra Camera dei deputati. E oggi la conferenza ha deciso che immediatamente la legge debba procedere al Senato. E poiché l’autoproclamata senatrice Jeanine [Añez] non vorrà metterla in atto, dieci giorni dopo il presidente del Senato sarà obbligato ad attuarla”.

Se non altro il movimento della sinistra in Bolivia è riemerso dalla crisi politica con un senso di unità rafforzato e più militante. E’ l’unica cosa che ha e che la destra non ha.

Ma vincere un sistema elettorale ostile, forze feroci della sicurezza statale e potenti interessi economici internazionali è una sfida che solo un movimento politico insolitamente devoto e disciplinato può superare.

Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Originale:  https://thegrayzone.com/2019/12/15/mas-regroups-bolivia-coup-leaders-eating-alive/#more-17924

Traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2019 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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