Una nuova sfida

Il Super Tuesday del 3 marzo scorso si è chiuso, come sappiamo, con una important affermazione di Joe Biden. L’ex vicepresidente, arrivato a quella importante tappa nella corsa alla nomination in seconda posizione, è riuscito a convincere afroamericani e anziani, le due fasce votanti meno attratte dal programma di Bernie Sanders, affermandosi in ben 9 Stati e piazzandosi primo nella corsa ai delegati, In questo momento, Biden conduce forte di quasi 100 delegati, avendone conquistati 664 a fronte dei 573 del suo principale sfidante.

Il distacco però non gli è ancora sufficiente e, dunque, avrà bisogno di una conferma, quest’oggi, poiché si vota in altri 6 Stati: Idaho, North Dakota, Washington, Mississippi, Missouri e Michigan. Biden può chiudere la partita? Non ancora; quel che appare certo però, è che marzo potrebbe essere un mese di soddisfazioni per lui e, di fatto, dargli la nomination prima di Pasqua. Numerosi Stati che voteranno nei prossimi 20 giorni, infatti, lo vedono nettamente favorito. Concentriamoci però sulle circoscrizioni impegnate il 10 marzo, per il momento.

Cosa accadrà questa notte

Non possiedo alcuna sfera di cristallo e, dunque, non sono certo che quel che scriverò nelle prossime righe finirà per corrispondere alla verità. Sicuramente, però, i sondaggi e le componenti etnico – sociali dei singoli Stati ci danno alcune indicazioni. A quanto siamo in grado di anticipare, Sanders dovrebbe riuscire ad imporsi nei piccoli Stati come Idaho e North Dakota, una campagna molto concentrata sulle città e i centri abitati importanti, come quella di Biden, attecchirà con più difficoltà in questi distretti. Bernie ha puntato tutto sul Michigan, Stato importante perché i sobborghi di Detroit, cuore pulsante dell’industria automobilistica nazionale, sede di giganti come Ford e General Motors, sono casa di numerosi afroamericani. Queste persone però, potrebbero accogliere il messaggio di Sanders dal momento che il senatore del Vermont ha promesso di ridistribuire opportunità e ricchezze. Per quanto scontato e propagandistico possa apparire questo messaggio, garantisco che sono parole che gli abitanti di uno dei distretti più poveri degli USA, dove il secondo lavoro è la regola per chiunque, se si vuole riuscire a pagare l’affitto, amano sentirsi dire. Naturalmente, in distretti come questo, un politico distantissimo dai valori della sinistra e che usa le parole democratico e riformista solo per inserirsi in un’ottica politica, com’è Joe Biden, non si è neppure fatto vedere in questi giorni di campagna elettorale. Non stupiamocene, ricordiamo che si tratta di uno dei maestri politici di Matteo Renzi e abbiam detto tutto.

D’altra parte, però, negli altri Stati in cui si vota, come il Missouri e il Mississippi, difficilmente Biden potrà perdere. Da quelle parti, non sono in molti a fidarsi della propaganda rivoluzionaria di Sanders. Si preannuncia battaglia nello Stato di Washington – il quale, specifichiamo, è lo Stato più a nord – ovest della federazione, con capitale Olympia e noto soprattutto per i centri di Portland e Seattle, non c’entra nulla con la capitale federale – dove i due candidati sembrano potersela giocare pressoché alla pari. Per la regola della proporzionalità tra numero di abitanti e numero di delegati assegnati, la circoscrizione elettorale di questo Stato è piuttosto ghiotta.

Un ballo a due

Il principale strascico del super martedì è stata la riduzione del numero dei candidati. Nelle ore successive allo spoglio della settimana scorsa, non hanno perso tempo a ritirarsi gli ultimi due candidati importanti restati in gioco: Mike Bloomberg ed Elizabeth Warren. La corsa di Bloomberg è presto divenuta una sorta di barzelletta. Il miliardario si è ritirato dopo aver preso parte soltanto a quella tornata elettorale ed essersi affermato nelle sole Samoa Americane, Davvero troppo poco se spendi mezzo miliardo di dollari in pubblicità. Alcuni analisti sulla tv americana hanno sottolineato come Bloomberg, piuttosto che cedere a questo capriccio, avrebbe potuto donare un milione di dollari a ciascuno dei 370 milioni di cittadini americani, tenere in banca 130 milioni e risparmiarsi una tal figuraccia. Ragionare con questi numeri ci dà misura di quale sia stata la dimensione della debacle dell’ex sindaco di New York.

Elizabeth Warren, progressista vera, ha pagato lo scotto della sua posizione troppo ibrida. Non è schierata tanto a sinistra quanto Sanders, e neppure tanto al centro quanto Biden, dunque le è difficile trovarsi un suo spazio. La sua campagna era al capolinea da ben prima del super tuesday, non giriamoci attorno, non aveva più altra scelta se non il ritiro. Si attende un suo endorsement a Sanders, il quale però non è ancora arrivato. Francamente, avrebbe poco senso non schierarsi con lui, a questo punto.

Resta ancora in gara Tulsi Gabbard, rappresentante delle Hawaii. La sua campagna, però, non ha alcuna speranza di trionfo; il prossimo presidente degli Stati Uniti si chiamerà Donald Trump, Joe Biden o Bernie Sanders.

Al momento, Trump appare ben più forte degli altri due. Siamo però soltanto a marzo e si voterà a novembre. Dobbiamo vederne passare ancora molta di acqua sotto i ponti, prima di poter sondare il terreno in maniera verosimile.

Di Mattia Mezzetti

Mattia Mezzetti. Nato nel 1991 a Fano, scrive per capire e far capire cosa avviene nel mondo. Crede che l’attualità vada letta con un punto di vista oggettivo, estraneo alle logiche partitiche o di categoria che stanno avvelenando la società di oggi. Convinto che l’unica informazione valida sia un’informazione libera, ha aperto un blog per diffonderla chiamato semplicemente Il Blog: http://ilblogmm.blogspot.it.

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