Signorina Lechner. Scusi se la disturbo. Spero possa dedicarmi qualche minuto del suo tempo. Posso offrirle un caffè?
Adelaide ha voltato per la Kirchgasse e costeggia il palazzo dove ha sede la facoltà di teologia dell’università di Zurigo, quando quell’uomo le si avvicina. Sembra piuttosto anziano, ha un’aria gentile, per quanto il tono della voce non sembri lasciar spazio ad alcuna esitazione. Parla un perfetto italiano, senza alcun accento. La giovane capisce subito che si tratta di un agente della polizia federale.
Non sono solita accettare un invito da una persona che non conosco.
Capisco, signorina, ma credo che in questo caso possa fare un’eccezione. Penso daremo più nell’occhio qui in strada piuttosto che seduti a un tavolino di un caffè e, come segno di buona volontà, spero apprezzi che ho aspettato che uscisse di casa senza i bambini. Non è necessario che i signori Kammerer sappiano di questo incontro che, le assicuro, sarà breve.
Credo di non poter rifiutare. Capita che due persone si incontrino al caffè e facciano due chiacchiere. Quindi faccia sapere al suo collega al di là della strada che non si può unire a noi. In tre daremmo davvero nell’occhio: potrebbe sembrare un interrogatorio.
L’uomo trattiene a stento un sorriso. Come preferisce, signorina. Scelga pure il posto che vuole.
Quello all’angolo andrà benissimo. A dopo. E Adelaide, cercando di nascondere la preoccupazione per quell’incontro, si allontana, seguita dallo sguardo dell’uomo. Attraversa la strada, si avvicina al caffè, si accomoda a un tavolino un po’ defilato e, quando il cameriere le si avvicina, dice che sta aspettando una persona.
Spero di non essere in ritardo, signorina Lechner. L’uomo intanto è arrivato, saluta Adelaide e poi il cameriere.
Non si preoccupi, signor… Collodi, sono appena arrivata. Per me un tè. Grazie mille.
Un caffè. Grazie.

La ringrazio, mi piace il cognome che ha scelto per me. Credo che Pinocchio sia una favola che gli adulti dovrebbero leggere.
Soprattutto gli adulti. Ma immagino che un agente della polizia federale non mi abbia fermata per parlare di libri per bambini.
Lei è diventata un personaggio noto nei nostri uffici. Inaspettatamente, se mi posso permettere. E per questo ho avuto il desiderio di conoscerla.
Non credevo che insegnare ai bambini di una scuola serale potesse farmi acquistare questa notorietà nella polizia.
A dire il vero, non è una semplice scuola serale, ma questo effettivamente non è un problema. Quando è arrivata la sua richiesta di visto, ovviamente sapevamo già delle idee e delle attività di suo fratello. E non ci ha stupito che lei le condivida, anche quelle più radicali. Peraltro quello che lei fa con quei bambini è meritorio. Personalmente penso che sia nell’interesse di questo paese avere persone che studiano. Finché la vostra attività non costituirà un pericolo per questo paese, e sinceramente non credo sia possibile, non avrà certo problemi. Penso che abbiamo bisogno di bravi insegnanti.
Allora perché siamo qui?
Vorrei capire se lei è semplicemente quello che dice di essere. O meglio che si sforza con grande impegno di sembrare.
Temo di doverla deludere. Io sono quello che dico di essere. E non faccio alcuno sforzo.
Nessuno di noi è quello che cerca di sembrare, ma temo che questo discorso, per quanto interessante, ci porti fuori strada. Mi permetta la franchezza, in queste occasioni preferisco sempre essere diretto. Lei ha avuto un qualche ruolo nel furto al consolato austriaco? Non che la cosa ci riguardi. La Svizzera è assolutamente neutrale e non ci importa quello che gli italiani hanno sottratto quella notte, ma vogliamo sapere se lei è una spia e possibilmente per chi lavora.
Credo lei si stia sbagliando.
Lei non conosce il signor Stanzini?
Non le mentirò, anche perché immagino sappia che ci siamo incontrati una mattina di carnevale al Lindenhof. Perché mi fa domande di cui sa già la risposta.
Lei è una donna intelligente, cara signorina Lechner, non le voglio tendere alcun tranello.
L’ho incontrato, quell’incontro mi ha stupito, ha stupito entrambi, non so perché Stenos fosse in città e non l’ho più visto o sentito da quel giorno.
Le credo.
Siamo a posto allora?
Ci sarebbe un’altra cosa. Lei in questi mesi è l’unica persona qui in Svizzera che è rimasta in contatto con Lenin. Anche in queste settimane in cui il vostro compagno si nasconde dal governo russo. Questo fa di lei, ripeto in maniera inaspettata, una delle personalità più in vista del partito. 
Immagino abbiate letto le lettere e quindi sapete che io sono in contatto unicamente con Nadja Krupskaja, una donna che io considero mia amica. La natura delle nostre lettere non credo possa essere equivocata. Non ci sono messaggi segreti. E immagino che Lenin non si curi di quello che io scrivo a sua moglie; credo abbia cose più importanti a cui pensare, proprio adesso che in Russia sta per scoppiare la rivoluzione.
Vedremo cosa succederà in quel lontano paese. Come ho detto voglio essere franco con lei. Sono io quello che ha letto le lettere tra lei e Nadja. Sono ormai molti anni che faccio questo lavoro e le assicuro che non ne provo alcuna gioia. Detesto i miei colleghi che hanno questa passione morbosa quando scoprono i segreti delle persone. A me non importa quello che lei scrive, ma mi interessa piuttosto come lo scrive. Non ho interesse a sapere come passa le serate o con chi. Né i contrasti con suo fratello. Ha ragione, le sue lettere sono innocenti, non nascondono alcun messaggio segreto, né indicano che lei sia un pericolo per questo paese. Né ci sono utili per sapere dove siano adesso i Lenin. Lo sappiamo benissimo, anche senza le sue lettere. Però queste lettere mi dicono che lei è una persona intelligente. Questo incontro mi è servito a confermare l’idea che mi sono fatto di lei, spiando – mi scusi ancora – la sua vita. So che il mio metodo non è molto apprezzato dai miei colleghi né imitato, ma raramente mi fa sbagliare sulle persone che devo controllare. Lei capisce che il controllo su di lei continuerà. E mi impegno personalmente che sia il più discreto possibile.
Vuole che la ringrazi?
No, ma forse un giorno capirà anche la mia posizione. E le mie scelte. A proposito di scelte, condivido assolutamente il suo giudizio su Busoni. Io amo Puccini. Chissà cosa avrebbe potuto fare con una storia come quella di Turandot.

continua… 


per chi se le ha perse, ecco la “puntate precedenti“…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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