Costretti a lavorare come se nulla fosse e sprovvisti di qualsiasi tipo di tutele, i lavoratori delle piattaforme digitali vivono sulla loro pelle la contraddizione fra la tutela della propria salute e il problema quotidiano di “portare il pane a casa”

Una delle tante città del Nord Italia. Strade semi-deserte, quasi tutte le serrande dei negozi sono abbassate, solo quelle dei ristoranti rimangono a metà per permettere ai rider di ritirare i pasti da consegnare. Se la chiusura per i pubblici esercizi di ristorazione è prevista alle 18, tuttavia i sevizi di consegna sono ancora consentiti. I dehors sono vuoti, tutti (o quasi) chiusi nelle proprie case sono in attesa di ricevere il proprio ordine. Lo smart working diventa un privilegio di alcuni, i meno fortunati continuano ad andare a lavoro attraversando la città-sospesa col proprio carico di preoccupazioni. I lavoratori-fantasma si accalcano davanti ai locali, è difficile rispettare la distanza di sicurezza di un metro. Nessuna piattaforma ha rassicurato i propri rider: a Bologna solo Domino’s e Sgnam (non a caso firmatari della Carta dei diritti del lavoro digitale nel contesto urbano) qualche giorno fa hanno finalmente consegnato mascherine e guanti su pressione di Riders Union; i grandi player globali invece (UberEats, JustEat, Deliveroo, Glovo) hanno rimesso all’attenzione e alla cura dei lavoratori e degli esercenti stessi il rispetto e la garanzia degli standard sanitari e di sicurezza. Gli stessi ristoratori hanno smesso in alcuni casi di erogare il servizio internamente (del quale sarebbero stati responsabili) e si sono affidati esclusivamente alle piattaforme (scaricando quindi sempre sui rider la situazione). I colleghi della grande distribuzione sono in condizioni simili e la tensione sta salendo: in alcuni magazzini della logistica stanotte ci sono state proteste mentre i driver di Amazon sono allarmati dalla notizia che un loro collega è ufficialmente contagiato.  Anche loro sono costretti a lavorare come se nulla fosse, senza neanche avere a disposizione qualche dispositivo di sicurezza.

CORTOCIRCUITO

L’urgenza sociale di contenimento del covid-19 e l’esigenza capitalista di mantenere in piedi un sistema produttivo evidentemente in affanno si stanno sviluppando secondo direzioni diametralmente opposte. Produzione e riproduzione vanno in cortocircuito, l’una confligge e viene colpita dall’altra. La forza-lavoro si trova stritolata esattamente nel mezzo di questa contrapposizione fra la tutela della propria salute e il problema quotidiano di “portare il pane a casa”. È questa la situazione attuale dei rider, ma non solo. Come loro, tanti sono costretti a navigare a vista con troppe incertezze fra queste due logiche. In più i rider hanno quasi tutti contratti di prestazione occasionale, quindi nessuna copertura in caso di malattia, nessuna certezza sul salario, solo responsabilità personali in termini di sicurezza sul lavoro e rischio d’impresa. Non a caso i fattorini migranti sono stati tra i primi a procurarsi mascherine e guanti, anche per la comprensibile paura di rimanere fuori dal sistema sanitario nazionale o non poter lavorare per sostenere le proprie famiglie. La retorica del lavoretto, della condivisione, dell’auto-imprenditorialità si sgretolano davanti al rischio del contagio nei luoghi di lavoro e all’impossibilità di restare a casa senza andare economicamente in affanno.

LIFE BEFORE PROFITS

Le piattaforme digitali riassumono in sé una serie di trasformazioni molto più larghe del mondo del lavoro: esternalizzazioni, imprenditorializzazione, deregolemantazione, individualizzazione del welfare. In questo senso esemplificano processi e problemi che colpiscono tanti altri lavoratori, da quelli impiegati nello spettacolo a quelli nei servizi di cura, da quelli del turismo a quelli dei servizi educativi.

Anni di misure di austerità, di politiche di deregulation e di retorica neoliberista passati nell’illusione capitalista di una crescita continua e interminabile hanno portato alla distruzione capillare di welfare pubblico e diritti dei lavoratori. Adesso i nodi vengono al pettine laddove il cortocircuito fra produzione e riproduzione ci impone di scegliere fra la tutela e il rispetto collettivi della salute pubblica e il business as usual. L’emergenza sanitaria si scarica (anche) secondo linee di classe dividendo chi riesce a trovare forme di adattamento alla situazione e chi invece deve adattarsi al rischio di essere contagiato o a quello di rimanere senza soldi.

È in questa cornice che da più parti si sta facendo spazio un’idea fondamentale, quella di sostenere economicamente colori i quali non hanno accesso a forme di sostegno al reddito “tradizionali” per fermare – momentaneamente e nei limiti del possibile – circolazione e produzione perché questo pare essere l’unico modo per contenere il contagio. Reddito di quarantena per tutti e tutte, subito! Non è una questione tecnica: si può far ricorso a una estensione della CIG o del reddito di cittadinanza, si può andare in deficit di bilancio o ricorrere a una patrimoniale sui grandi redditi. Serve però uscire da un paradigma lavorista che ci vorrebbe sempre disponibili alla messa a lavoro e da un individualismo etico-economico che scarica sul singolo la responsabilità della propria e altrui sopravvivenza. Se è tempo di decisioni forti, allora così sia: la vita viene prima del profitto.

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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